Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 gennaio 2018, n. 1173. In tema di licenziamento per giusta causa

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5. Il ricorso e’ infondato e deve essere rigettato.

5.1. La Corte territoriale, in esito ad un attento esame delle emergenze probatorie e sulla base di quanto positivamente accertato dal consulente medico nominato dal Tribunale, con valutazione del materiale probatorio che non si espone alla denunciata censura, ha ritenuto che con la sua condotta il lavoratore non aveva ne’ compromesso ne’ tantomeno ritardato la ripresa dell’attivita’ lavorativa. Va rammentato che in tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attivita’ della vita privata – la cui gravosita’ non e’ comparabile a quella di una attivita’ lavorativa piena – senza svolgere una ulteriore attivita’ lavorativa, non e’ idonea a configurare un inadempimento ai danni dell’interesse del datore di lavoro (cfr. Cass. 05/08/2014 n. 17625). Ed infatti l’espletamento di altra attivita’, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia e’ idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l’attivita’ espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneita’ dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attivita’ ludica o lavorativa (cfr. Cass. 21/04/2009 n. 9474). E’ il datore di lavoro ad essere onerato della prova che in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il comportamento tenuto dal lavoratore durante il periodo di inabilita’ temporanea certificata contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 21/03/2011 n. 6375) senza che il lavoratore sia onerato a provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilita’ temporanea rispetto all’attivita’ lavorativa (Cass. n. 6375 del 2011 cit.).

5.2. Orbene nel caso in esame la Corte di merito ha accertato che la moderata attivita’ fisica svolta dallo (OMISSIS) non era incompatibile con il recupero degli esiti della distorsione al ginocchio. Nel pervenire a tale conclusione il giudice di secondo grado ha espressamente tenuto conto della circostanza che lo (OMISSIS) aveva rifiutato il ricovero ritenendo che la doglianza al riguardo avanzata era priva di una specifica allegazione circa l’incidenza di tale condotta sul recupero fisico non essendo stato chiarito se e come tale ricovero avrebbe reso piu’ rapida la guarigione. Si aggiunga poi che la Corte territoriale, lungi dal pretermetterne l’esame, ha accertato, anche con l’ausilio tecnico del consulente, che la moderata attivita’ fisica svolta non si poneva in contrasto con la guarigione. Neppure la Corte ha trascurato di esaminare se erano emersi comportamenti contrari ai doveri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro ed ha accertato che non era stata offerta alcuna prova che lo (OMISSIS) avesse disatteso le prescrizioni impartitegli per la guarigione. Quanto all’allegata compatibilita’ dell’attivita’ lavorativa con la malattia si osserva che si tratta di deduzione nuova che non risulta essere stata in precedenza sollevata. In definitiva, esclusa la rilevanza disciplinare della condotta tenuta dal lavoratore resta assorbito ogni profilo di censura che attiene alla proporzionalita’ della sanzione.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, poste a carico della societa’ ricorrente e distratte in favore dell’Avvocato (OMISSIS) che se ne e’ dichiarato anticipatario. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiche’ l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non e’ collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (cosi’ Cass., Sez. Un., 17/10/2014 n. 22035).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Con distrazione in favore dell’Avvocato (OMISSIS) che se ne e’ dichiarato anticipatario.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato D.P.R., articolo 13, comma 1 bis.

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