In materia di bancarotta fraudolenta, nella nozione di beni appartenenti al fallito rientrano le cose oggetto del diritto di proprietà, dei diritti “immateriali”, i crediti, ma non quei beni che non siano mai entrati nel di lui patrimonio.

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 17 maggio 2018, n. 21933

La massima estrapolata

In materia di bancarotta fraudolenta, nella nozione di beni appartenenti al fallito rientrano le cose oggetto del diritto di proprietà, dei diritti “immateriali”, i crediti, ma non quei beni che non siano mai entrati nel di lui patrimonio. Non sono beni dell’imprenditore quelli che sono nella sua limitata disponibilità, per averli egli ricevuti a titolo diverso dalla traslatio dominii (locazione, comodato, deposito) e che, quindi, non sono mai usciti dal patrimonio del dominus. Di conseguenza, non è condotta sanzionabile come bancarotta fraudolenta l’atto di disposizione di beni mai entrati nel patrimonio dell’imprenditore, perchè a lui pervenuti attraverso un negozio giuridico affetto da anomalia genetica, non idoneo, quindi, al trasferimento della proprietà.

Sentenza 17 maggio 2018, n. 21933

Data udienza 17 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente

Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

Dott. AMATORE Robert – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/10/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ROBERTO AMATORE;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. MIGNOLO OLGA che ha concluso per il rigetto.
Udito il difensore l’avvocato (OMISSIS), si riporta ai motivi del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato la condanna emessa dal Tribunale di Monza in data 9.3.2016 per i reati di bancarotta patrimoniale e documentale, aggravati ai sensi della L. Fall., articolo 219, comma 2, n. 1.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua impugnativa a ben cinque motivi di doglianza.
1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, vizio di violazione di legge nonche’ vizio argomentativo in punto di mancato accoglimento dell’istanza di rinvio dell’udienza preliminare per legittimo impedimento del difensore. Si stima, pertanto, in riferimento alla predetta doglianza, violazione degli articoli 178, 179, 419, 420 ter e 429 c.p.p. e articolo 24 Cost., con conseguenziale nullita’ del decreto che dispone il giudizio e degli atti successivi.
Si evidenzia, da un lato, che la rilevanza temporale della prima comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare non era tale da giustificare il diniego per altro concorrente impegno professionale non rinviabile.
Osserva ancora la difesa che il diverso procedimento penale pendente innanzi al Tribunale di Como si trovava in una situazione processuale diversa rispetto al procedimento di cui oggi si invoca la lamentata violazione del diritto di difesa, atteso che quel procedimento annoverava la presenza di ben otto imputati.
Si evidenzia, inoltre, che al momento della celebrazione dell’udienza preliminare la prescrizione era ancora lontana dal suo maturarsi.
Osserva, peraltro, la difesa del ricorrente che, nell’udienza preliminare del diverso procedimento per il quale era maturata la ragione dell’impedimento a comparire del difensore, erano stati chiesti riti alternativi che richiedevano inderogabilmente la presenza del difensore.
1.2 Con un secondo motivo si articola vizio di violazione di legge e vizio argomentativo in riferimento alla mancata riqualificazione dei fatti contestati come bancarotta semplice documentale ed in riferimento, dunque, all’insussistenza dell’elemento psicologico del reato di cui all’articolo 216 L. Fall..
1.3 Con un terzo motivo si articola vizio di erronea applicazione della legge penale e vizio argomentativo in relazione alla contestazione della bancarotta patrimoniale distrattiva.
Si evidenzia che, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare e cristallizzate nella relazione ex articolo 33 L. Fall., non era ipotizzabile una distrazione penalmente rilevante atteso che lo stesso curatore aveva evidenziato che i beni oggetto dei contratti di leasing non rinvenuti non sarebbero stati comunque acquisiti al patrimonio fallimentare per antieconomicita’ dell’opzione di subentro e dunque alcun pregiudizio economico era rinvenibile nel mancato ritrovamento dei predetti beni.
1.4 Con un quarto motivo si articola vizio di violazione di legge e vizio argomentativo in relazione alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’articolo 219, u.c., L. Fall..
Si evidenzia che – anche sulla scorta delle valutazioni contenute nel terzo motivo (e secondo le quali le distrazioni dei beni oggetto di leasing non integravano comunque una condotta penalmente rilevante) – il pregiudizio ai creditori discendente dal fallimento dell’imprenditore fallito era stato minimale.
1.5 Con il quinto motivo si articola vizio di violazione di legge e vizio argomentativo per la mancata concessione delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso e’ infondato.
2.1 Gia’ il primo motivo di censura non e’ meritevole di positivo apprezzamento.
2.1.1 Non puo’ che confermarsi (e richiamarsi), anche in questa sede, la corretta risposta argomentativa fornita dalla Corte territoriale alla medesima doglianza gia’ sollevata dalla difesa nei motivi di gravame.
2.1.2 Si aggiunga alla gia’ corretta motivazione fornita in appello che la difesa del ricorrente non ha neanche allegato, per legittimare la sua richiesta di rinvio dell’udienza preliminare per legittimo impedimento del difensore, l’impossibilita’ di farsi sostituire nell’udienza da ultimo indicata con le relative ragioni ostative.
Sul punto va ricordato che, secondo gli insegnamenti di questa Corte in tema di legittimo impedimento a comparire del difensore, non costituisce ostacolo alla possibilita’ di conferire il mandato ad altro legale anche la mera indicazione dell’assistito di volersi avvalere solo del legale di fiducia e non di sostituti processuali, ne’ la sua mancata autorizzazione espressa alla nomina in sostituzione(Sez. 5, Sentenza n. 48912 del 28/09/2016 Ud. (dep. 18/11/2016) Rv. 268166). In realta’, la lettera dell’articolo 102 c.p.p. rimanda al patrono, e non al patrocinato, la competenza sulla nomina di un sostituto processuale.
Orbene, la istanza difensiva volta ad ottenere il reclamato rinvio d’udienza mancava di una compiuta allegazione in ordine al decisivo profilo da ultimo menzionato, profilo la cui mancanza non determina la condizione di legittimo impedimento del difensore a comparire in udienza. Ne consegue la infondatezza della censura processuale cosi’ sollevata.
2.2 Il secondo motivo di ricorso e’ invece inammissibile in ragione della sua evidente genericita’. Si aggredisce la motivazione – resa, peraltro, in termini adeguati e giuridicamente corretti da parte della Corte ambrosiana – sul profilo della sussistenza dell’elemento psicologico dei fatti contestati a titolo di bancarotta documentale, e cio’ con argomentazioni generiche inidonee ad inficiare la complessiva tenuta logica della motivazione resa sul punto da parte della Corte di merito.
2.2.1 Tra i requisiti del ricorso per cassazione vi e’ anche quello, sancito a pena di inammissibilita’, della specificita’ dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o piu’ punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.
Nel caso di specie il ricorso e’ inammissibile perche’ privo dei requisiti prescritti dall’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c) in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza – come accennato – adeguata e corretta, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.
2.3 Il terzo motivo e’ invece infondato.
2.3.1 Sul punto non possono essere dimenticati gli insegnamenti di questa Corte secondo i quali – in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale ed in caso di bene pervenuto all’impresa a seguito di contratto di “leasing” – qualsiasi manomissione del medesimo che ne impedisca l’acquisizione alla massa integra il reato determinando la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell’inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente(Sez. 5, Ordinanza n. 9427 del 03/11/2011 Cc. (dep. 12/03/2012) Rv. 251995).
Invero, quel che rileva, al fine di verificare l’integrazione del reato distrattivo, e’ la disponibilita’ di fatto, in capo all’utilizzatore, dei beni successivamente distratti, considerato che, comunque, la sottrazione del bene comporta un pregiudizio per la massa fallimentare che viene gravata dell’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione (cosi’ anche Sez. 5, Sentenza n. 44350 del 17/06/2016 Ud. (dep. 20/10/2016) Rv. 268469).
2.3.1.1 E’ noto che il contratto di leasing, o locazione finanziaria, e’ il negozio atipico col quale una parte denominata concedente, dietro corrispettivo di un canone periodico, concede ad un’altra parte (utilizzatore) il godimento di un bene, con facolta’ di restituirlo al termine prefissato ovvero di “riscattarlo” dietro pagamento di una specificata somma residua.
Tale essendo la struttura del rapporto giuridico, ne deriva che la proprieta’ del bene, in pendenza del termine di durata, rimane in capo al concedente e il relativo trasferimento e’ solo eventuale in quanto dipende dalla scelta dell’utilizzazione, che sara’ effettuata in base a una valutazione della residua utilita’ economica della cosa, in rapporto all’ammontare del prezzo di “riscatto”.
Ne consegue, ancora, che, in caso di successivo fallimento, qualunque manomissione da parte dell’utilizzatore, tale da impedire l’acquisizione del bene alla massa, comporta distrazione non gia’ del bene medesimo, ma dei diritti esercitabili dal fallimento al termine del contratto, determinando altresi’ per i creditori il pregiudizio derivante dall’inadempimento delle obbligazioni verso il concedente (v. sez. 5, n. 33380 del 18/07/2008, Bottamedi, Rv. 241397; Sez. 5, n. 6882 del 08/04/1999, Trifiletti, Rv. 213604). Nei caso di cessione del contratto ad altro utilizzatore, invece, il nocumento per la massa e’ soltanto eventuale, in quanto si realizza soltanto se possa affermarsi che la prosecuzione del rapporto da parte del curatore avrebbe recato in concreto una risorsa economica positiva e non un onere: e al relativo accertamento e’ condizionata la responsabilita’ dell’imprenditore cedente a titolo di bancarotta fraudolenta patrimoniale (Sez. 5, n. 3612/07 del 06/11/2006, Tralicci, Rv. 236043; Sez. 5, n. 30492 del 23/04/2003, Lazzarini, Rv. 227705).
2.3.1.2 E’ stato, per vero, affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ che “in materia di bancarotta fraudolenta, nella nozione di beni appartenenti al fallito rientrano le cose oggetto del diritto di proprieta’, dei diritti “immateriali”, i crediti, ma non quei beni che non siano mai entrati nel di lui patrimonio. Non sono beni dell’imprenditore quelli che sono nella sua limitata disponibilita’, per averli egli ricevuti a titolo diverso dalla traslatio dominii (locazione, comodato, deposito) e che, quindi, non sono mai usciti dal patrimonio del dominus. Di conseguenza, non e’ condotta sanzionabile come bancarotta fraudolenta l’atto di disposizione di beni mai entrati nel patrimonio dell’imprenditore, perche’ a lui pervenuti attraverso un negozio giuridico affetto da anomalia genetica, non idoneo, quindi, al trasferimento della proprieta’” (Cass., Sez. 5, n. 5423 del 13/01/1997, Panzironi, Rv 207779: la fattispecie di cui alla pronuncia appena richiamata si riferiva alla compravendita di un bene immobile, stipulata con atto notarile sottoscritto dalle parti, ma non trascritto ne’ registrato ne’ inserito a repertorio per la mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica – requisito essenziale prescritto per la validita’ dell’atto, a norma della L. n. 47 del 1985, articolo 18 – e pertanto ritenuta negozio ab origine nullo se non inesistente, come tale inidoneo a determinare il trasferimento del bene dall’alienante all’acquirente).
Piu’ di recente, si e’ precisato che “poiche’ nella nozione di beni appartenenti al fallito rientrano solo le cose che abbiano fatto ingresso nel patrimonio di quest’ultimo, non possono essere oggetto delle condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale i beni sui quali il fallito ha un possesso solo precario e il proprietario vanta un diritto alla restituzione, come nel caso di beni ricevuti in locazione, deposito o comodato” (Cass., Sez. 5, n. 13556 del 27/02/2015, Arlati, Rv 262899).
2.3.1.3 I principi di diritto appena ricordati, tuttavia, debbono essere letti in relazione al decisivo profilo della ravvisabilita’ di un effettivo ingresso del bene nel patrimonio dell’imprenditore, al di la’ della sussistenza o meno di un valido rapporto negoziale quale presupposto dell’acquisizione della disponibilita’ del bene stesso (cosi’, Sez. 5, n. 44350/2016, cit. supra).
Occorre, pertanto, distinguere le ipotesi in cui un bene sia individuabile e reperibile nella sua originaria materialita’ da quelle dove un atto di disposizione di quel bene abbia comportato l’ingresso di denaro nel patrimonio dello stesso fallito, la cui spendita o sottrazione alla massa fallimentare puo’ costituire distrazione penalmente rilevante (v. Cass., Sez. 5, n. 4708 del 06/02/1986, Febbo).
2.3.1.4 A questo punto, va ricordato che – in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione e’ stato anche affermato il principio secondo cui la pregressa cessione di un contratto di locazione finanziaria integra gli estremi della distrazione nel solo caso in cui determini un effettivo nocumento nei confronti dei creditori, il che e’ escluso quando la permanenza del rapporto negoziale nel patrimonio affidato al curatore costituisca in concreto, dal punto di vista economico, un onere e non gia’ una risorsa positiva (Cass., Sez. 5, n. 3612/2007 del 06/11/2006, Tralicci, Rv 236043; v. anche Cass., Sez. 5, n. 29757 del 21/05/2010, D’Agostino).
Tuttavia, occorre ulteriormente precisare che le pronunce ora ricordate da ultimo riguardano la peculiare ipotesi di una cessione del contratto, senza affrontare il tema centrale della concreta acquisizione del bene da parte del fallito, acquisizione che ben puo’ risolversi anche in una disponibilita’ di fatto.
Non a caso, decisioni piu’ recenti hanno chiarito che “in tema di bancarotta per distrazione di beni ottenuti in leasing, ai fini della configurabilita’ del reato in capo all’utilizzatore poi fallito, e’ necessario che tali beni fossero nella sua effettiva disponibilita’, in conseguenza dell’avvenuta consegna, e che di essi vi sia stata appropriazione, non rilevando la tipologia del contratto di leasing (traslativo o di godimento)” (Cass., Sez. 5, n. 44898 del 01/10/2015, Cantore, Rv 265509). Nella motivazione della pronuncia appena richiamata, viene ribadito che la giurisprudenza sopra ricordata – con espresso riferimento alla sentenza D’Agostino – era relativa al caso della cessione del contratto di leasing, e che in quel caso era stato lasciato nell’ombra “un punto nodale della questione, ossia se i beni oggetto del contratto di locazione finanziaria fossero mai entrati, di fatto, nella sfera di disponibilita’ della societa’ fallita, a seguito di consegna. La configurabilita’ del reato di bancarotta per distrazione postula, infatti, che i beni non rinvenuti in sede di inventario siano entrati realmente nella sfera patrimoniale della societa’ fallita, di talche’ possa ipotizzarsi quel distacco ingiustificato che integra sul piano oggettivo la fattispecie incriminatrice”. La sentenza n. 29757 del 2010 cit., peraltro e condivisibilmente, aggiunge che, ove il fallimento, come nel caso di specie, riguardi l’utilizzatore, puo’ venire in rilievo la sola disponibilita’ di fatto, essendo pacifico che il soggetto non realizza la disponibilita’ giuridica del bene in leasing almeno sino alla fine rapporto e, cioe’, sino a quando, previo esercizio del diritto di opzione, il medesimo utilizzatore non abbia corrisposto il prezzo di riscatto, acquisendo cosi’ la proprieta’ del bene.
Ne consegue che anche la mera disponibilita’ di fatto – situazione configurabile in capo all’utilizzatore – postula, pur sempre, l’avvenuta consegna del bene oggetto di contratto di leasing. Orbene, verificatosi tale indefettibile presupposto, la relativa appropriazione da parte sua integra distrazione, in quanto la sottrazione o la dissipazione del bene comporta un pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore dello stesso – che avrebbe potuto essere conseguito mediante riscatto al termine del rapporto negoziale – e, al tempo stesso, gravata di ulteriore onere economico scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione (per l’affermazione degli stessi principi, v. anche, gia’ in precedenza, Cass., Sez. 5, n. 33380 del 18/07/2008, Bottamedi, nonche’ Cass., Sez. 5, n. 9427/2012 del 03/11/2011, Cannarozzo).
2.3.1.5 Oneri, dunque, che si registrano anche nella odierna fattispecie concreta, a nulla rilevando le eventuali scelte negoziali del curatore fallimentare in ordine alla possibilita’ di non subentrare nel contratto di leasing provvisoriamente sospeso ai sensi dell’articolo 72 L.F.ovvero di subentravi. Ed invero, non va trascurato che l’articolo 72 quater L.F. prevede espressamente, al comma 2, che, in caso di scioglimento del contratto, il concedente (che ha diritto alla restituzione del bene) e’ tenuto, tuttavia, a versare alla curatela la differenza tra la maggiore (eventuale) somma ricavata dalla vendita del bene ovvero da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al residuo credito vantato dal concedente in linea capitale per il mancato (eventuale) pagamento dei canoni di leasing.
Ne consegue che l’appropriazione illecita da parte dell’utilizzatore del bene concesso in leasing non solo onera la impresa utilizzatrice (e dunque, dopo il fallimento, anche la curatela fallimentare) del costo economico derivante dall’inadempimento contrattuale all’obbligo di restituzione sopra delineato (e discendente direttamente dal sinallagma contrattuale sotteso al predetto negozio), ma determina per la fallita anche il pregiudizio economico causato dalla perdita del credito conseguente al “differenziale” di valore economico descritto dall’articolo 72 quater, comma 2, per come sopra ricordato. Con la ulteriore conseguenza che diviene evidente e innegabile il pregiudizio economico per il ceto creditorio, determinato, da un lato, dal costo economico insorgente per l’obbligo di restituzione al concedente del bene oggetto del leasing (e successivamente oggetto di appropriazione) e, dall’altro, dalla perdita del credito previsto dal sopra menzionato articolo 72 quater, comma 2, L. Fall..
Pertanto, qualsiasi manomissione o distrazione del bene detenuto in leasing dall’imprenditore fallito impedisce un accrescimento della massa attiva fallimentare, determinando una lesione all’interesse della garanzia patrimoniale dei creditori (articolo 2740 c.c.) e, dunque, un fatto di bancarotta patrimoniale.
Ebbene, se e’ vero che – in base al modello contrattuale in esame – la proprieta’ del bene rimane in capo al concedente fino all’eventuale pagamento del c.d. prezzo di opzione, il diritto di acquistare il bene alla scadenza del contratto e’ un diritto senza dubbio spettante all’utilizzatore, diritto avente ad oggetto un valore economico la cui distrazione, in caso di fallimento, integra la condotta descritta nel comma 1, n. 1, dell’articolo 216 L. Fall..
Va pertanto evidenziato che il disposto normativo di cui all’articolo 72 quater L.F. attribuisce all’utilizzatore un diritto soggettivo, economicamente valutabile, che entra a far parte del patrimonio dello stesso e che dunque puo’ essere oggetto dei fatti di bancarotta.
In realta’, l’utilizzatore, pur non vantando una titolarita’ giuridica del bene in leasing (la cui proprieta’ – e’ bene ricordare, ancora una volta – permane in capo al concedente) gode, comunque, di una disponibilita’ giuridicamente qualificata del medesimo bene (che lo qualifica quale detentore di quest’ultimo), che gli permette, dunque, non solo di destinarlo (fisiologicamente) alle proprie necessita’ imprenditoriali, ma anche eventualmente (e patologicamente) di manometterlo o distrarlo.
Ne deriva che laddove l’imprenditore utilizzatore del bene fallisca, la fattispecie incriminatrice ex articolo 216 L.F. deve ritenersi applicabile ogniqualvolta sia stata, nel concreto, posta in essere con dolo una delle condotte alternativamente descritte dalla suddetta disposizione normativa, condotte che comportino un nocumento della garanzia patrimoniale ex articolo 2740 c.c., impendendo, dunque, al curatore un’integrale ricostruzione ed una efficiente liquidazione del patrimonio del fallito, con conseguente pregiudizio delle ragioni creditorie.
Ne consegue che, alla luce dei principi sopra esposti, la doglianza cosi’ sollevata dal ricorrente nel secondo motivo deve ritenersi infondata.
2.4 Se quanto detto nel paragrafo che precede e’ indiscutibile in riferimento alla integrazione, nel caso di specie, della condotta distrattiva anche in relazione ai beni oggetto di leasing, allora del pari indiscutibile risulta l’infondatezza anche delle censure sollevate dal ricorrente nel quarto motivo di ricorso che collega, invero, la concedibilita’ dell’attenuante di cui alla L. Fall., articolo 219, u.c. alla minor rilevanza del pregiudizio economico discendente dalla bancarotta patrimoniale non comprensiva dei predetti beni concessi in leasing.
2.5 Il quinto motivo e’, invece, addirittura inammissibile.
2.5.1 Sul punto giova ricordare che la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e’ giustificata da motivazione esente da manifesta illogicita’, che, pertanto, e’ insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
Cio’ posto, osserva la Corte come – a fronte di una adeguata motivazione resa dalla Corte di merito sul punto qui da ultimo in esame – le doglianze difensive sono risultate del tutto generiche, con cio’ rendendo inammissibile in parte qua la prodotta impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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