Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 febbraio 2025| n. 2573.
Attendibilità testi: libero convincimento del giudice
Massima: Non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito. In particolare, tanto la valutazione delle deposizioni testimoniali, quanto il giudizio sull’attendibilità dei testi, sulla credibilità e sulla rilevanza probatoria delle loro affermazioni sono rimessi al libero convincimento del giudice del merito. In tema di procedimento civile, infatti, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento ed è, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il peso probatorio di alcune testimonianze rispetto ad altre.
Ordinanza|3 febbraio 2025| n. 2573. Attendibilità testi: libero convincimento del giudice
Integrale
Tag/parola chiave: RICORSO – Ricorso – Motivi – Prove – Diversa valutazione delle prove – Esclusione. (Cpc, articolo 360)
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. ACIERNO Maria – Presidente
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere
Dott. CAPRIOLI Maura – Relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8070/2024 R.G. proposto da
To.Fr., elettivamente domiciliato in BUDRIO VIA A.CO., presso lo studio dell’avvocato PO.AN. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
Contro
Ro.Da., elettivamente domiciliato in BOLOGNA VIA DE.ZE., presso lo studio dell’avvocato MA.VA. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 173/2024 depositata il 24/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere MAURA CAPRIOLI.
Attendibilità testi: libero convincimento del giudice
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che
Con sentenza nr 173/2024 la Corte di appello di Bologna nell’ambito del giudizio di separazione, proposto da To.Fr. nei confronti di Ro.Da. rigettava l’appello diretto ad ottenere una riforma parziale della pronuncia di primo grado sia per quanto riguarda l’addebito della separazione sia per quanto riguardava il riconoscimento dell’assegno di mantenimento.
Sotto il primo profilo la Corte condivideva il ragionamento seguito dal primo Giudice ritenendo che le deposizioni rese dai testi escussi avevano riferito in merito alle condotte violente e aggressive del marito ai danni della moglie avvenute anche in presenza di estranei e a volte sotto l’effetto dell’alcol.
Condotte violente che avevano trovato corpo nelle dichiarazioni dei testi escussi, sintetizzate nei loro passaggi più significativi dovevano considerarsi all’origine della crisi irreversibile dell’unione perfettamente in linea con la circostanziata denuncia della moglie e con la richiesta di rinvio a giudizio del 6.7.2021 per il reato di maltrattamenti in famiglia.
Osservava che il To.Fr. non aveva impugnato il rigetto della domanda di addebito della separazione proposta in primo grado dal marito sicché gli episodi in merito alla pretesa aggressività della moglie svolte in appello dovevano ritenersi irrilevanti, essendo comunque chiaro che l’eventuale conflittualità reciproca di coppia non poteva di per sé giustificare o escludere il disvalore dei fatti di violenza sopra citati e valorizzati ai fini che qui interessano.
Con riguardo all’altro profilo di censura relativo all’eliminazione dell’assegno di mantenimento o alla sua riduzione rilevava che il To.Fr. è titolare di una solida attività imprenditoriale, per la quale si serve del supporto di società di capitali di cui è socio, unitamente a familiari e stretti collaboratori, e godeva di ingenti compensi e redditi.
Sottolineava che, dalle indagini delegate, emergeva che lo stesso, commercialista e libero professionista da oltre un ventennio anche in forma di impresa individuale, aveva dichiarato redditi molto alti per le annualità di interesse(dal 2018 al 2020 pari ad una media di oltre Euro 180.000) ed è comproprietario di alcuni immobili, titolare di una ditta individuale e Presidente del CDA della società Ad. Srl con un elevato volume di affari, titolare/ contitolare di numerosi conti correnti.
Aggiungeva poi che l’appellante, dopo la separazione era tornato a vivere dalla madre ed anche le spese sostenute per il rimborso di un finanziamento e per il pagamento del mutuo gravante sulla casa coniugale non escludeva la forte differenza reddituale e la previsione di un assegno a carico del marito ed in favore della moglie considerate le finalità dell’emolumento ai sensi dell’art 156 c.c.
Osservava che la moglie, certificata invalida civile, non aveva mai lavorato ed aveva reperito una attività lavorativa solo dopo la separazione cercando di reimmettersi nel modo lavorativo ad oltre 50 anni e con una rilevante disabilità.
Sottolineava che allo stato attuale l’appellata aveva ottenuto una proroga del contratto part-time che tuttavia non mutava la valutazione di precarietà della sua condizione già riscontrata dal Tribunale; inoltre non era dimostrato che la stessa traesse dei redditi dagli immobili di cui era divenuta proprietaria/ comproprietaria dopo la morte del padre.
In questo la Corte di appello riteneva che la misura dell’assegno di mantenimento pari ad Euro 400,00 posto a carico dell’appellante dovesse considerarsi adeguato
Avverso tale decisione To.Fr. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, cui ha resistito con controricorso Ro.Da., eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art 366 primo comma nr 4 e 6 c.p.c.
Attendibilità testi: libero convincimento del giudice
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c. co. 1 n. 3 – violazione di norme di diritto – Art. 116 cpc.
Si critica, in particolare, la decisione nella parte in cui la sentenza della Corte d’Appello condivide le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale in merito al rilievo attribuibile alle dichiarazioni dei testi escussi che avevano riferito le condotte violente ed aggressive del marito ai danni della moglie, sostenendo che tali circostanze non corrispondano alle dichiarazioni rese poiché i testi avevano riferito quanto loro raccontato dalla sig.ra Ro.Da., non avendo assistito direttamente ai fatti e non essendo stati in grado di confermare la veridicità di quanto a loro riferito dalla comparente.
La decisione qui impugnata sarebbe incorsa nel vizio denunciato in rubrica non avendo richiamato la natura de relato delle testimonianze dando per accertati fatti che avevano come unica fonte la narrazione della sig.ra Ro.Da.
Con il secondo si deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c. co. 1 n. 5 – per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (mancata valutazione della condotta violenta ed aggressiva della Ro.Da.) – In relazione all’art. 115 cpc e all’ art. 2697 CC.
Si sostiene che sia nella sentenza di primo grado che in quella di secondo grado i Giudici non avrebbero tenuto conto della documentazione depositata in atti, non contestata da parte avversa e, quindi, avente valore di prova anche ex art. 115 cpc, in particolare non hanno tenuto conto di quanto emerso dalle registrazioni effettuate dal To.Fr. e prodotte, previa certificazione di conformità ed autenticità, nel giudizio cautelare e poi nel giudizio di separazione e in quello d’appello.
Dalla disamina delle registrazioni, secondo il ricorrente, sarebbe emersa la forte conflittualità e l’atteggiamento aggressivo e violento, nei modi e nei toni, anche da parte della sig.ra Ro.Da., non solo nei confronti dei figli, bensì nei confronti del marito, al quale rivolgeva frasi ingiuriose ed offensive, denigrandolo e deridendolo avanti ai figli.
La reciprocità delle offese, che sarebbe stata confermata dai testimoni escussi, Ro.An. e To.Fi., non sarebbe stata valorizzata al pari di quella documentale(registrazioni)dai Giudici del merito, con ciò incorrendo nella violazione del disposto normativo che prevede che tutti gli elementi di prova debbano essere valutati ai fini della decisione.
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Da ciò si lamenta la sussistenza di vizio di motivazione in ordine alla statuizione sulle prove, che, se correttamente valutate, avrebbero potuto apportare elementi tali da modificare il convincimento del Giudice, la cui ratio decidendi si sarebbe invece basata su elementi parziali.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c. co. 1 n. 5 – per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti (mancata valutazione della capacità reddituale e delle proprietà mobiliari ed immobiliari della Ro.Da.) – in relazione all’art. 115 cpc
Si censura, inoltre, la mancata valutazione, da parte del Tribunale prima e da parte della Corte d’Appello poi, della valutazione degli elementi di prova documentali forniti da questa difesa, non contestati da controparte, aventi valore di piena prova anche ex art. 115 cpc, relativi alle proprietà immobiliari facenti capo alla sig.ra Ro.Da., così come delle ingenti somme dalla stessa ricevute, in forza della successione in morte del padre, elementi che configurano la violazione del disposto normativo che prevede l’obbligo di valutare fatti decisivi per il giudizio la circostanza che la Ro.Da. avesse ricevuto, a seguito del decesso del padre, un’ingente quota ereditaria, avrebbe dovuto essere valutata dalla Corte territoriale, che, all’opposto, neppure vi ha posto la giusta attenzione, limitandosi a considerare solo l’attività lavorativa svolta dal To.Fr. e la sua capacità reddituale.
Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c. co. 1 n. 3 – la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in ordine all’addebito delle spese di lite al To.Fr. – in relazione all’art. 91 cpc.
Si critica, in particolare, la decisione del giudice del gravame nella parte in cui ha confermato la sentenza di primo grado in punto di regolamentazione delle spese di lite per aver omesso di considerare che la sig.ra Ro.Da. in primo grado aveva modificato alla luce delle risultanze di causa la propria domanda di affidamento dei figli da esclusivo a condiviso.
Il ricorrente, quindi, impugna la sentenza di secondo grado, censurando l’operato del Giudice di prime cure, sulla base di presunti errori mai rilevati nemmeno con l’atto di appello, ove parte appellante, si limitava a chiedere la diversa regolamentazione delle spese del doppio grado di giudizio in funzione dell’accoglimento del gravame.
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Il primo motivo è inammissibile per plurime ragioni concorrenti.
In primo luogo, il motivo il ricorso è redatto in violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c., il quale nel prevedere “la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda, illustrando il contenuto rilevante degli stessi”, dispone che il motivo di censura debba indicare con scrupolosità e precisione l’atto processuale e il documento ad esso inerente. Trattasi del principio di autosufficienza (ritenuto pienamente compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU), strettamente correlato a quello del giusto processo il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi atti a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere alla Corte di Cassazione la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio o di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, a elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (da ultimo Cass. Civ. Sez. II ord. n. 33827 del 4/12/2023, secondo cui “Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., anche alla luce del principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, non è rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, non avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati”).
Nel caso di specie il ricorrente si limita ad una brevissima e insufficiente narrativa della vicenda processuale, che non consente a questa Corte di comprendere a pieno la portata della contestazione laddove ad esempio il sig. To.Fr. lamenta la mancata considerazione della trascrizione della registrazione da lui effettuata e prodotta nel giudizio di separazione e d’appello della quale nulla viene riportato, così come non si fa cenno al contenuto delle presunte frasi ingiuriose ed offensive che la sig.ra Ro.Da. avrebbe proferito.
Neppure si indica in quale fase processuale il documento sarebbe stato prodotto né a quale fascicolo esso sia allegato né con quale indicizzazione.
Attendibilità testi: libero convincimento del giudice
In ordine alla valutazione delle prove deve pure affermarsi la inammissibilità della censura, posta mediante richiamo all’art. 116 cod. proc. civ., giacché per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ. è necessario considerare che, poiché esso prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione (peraltro, e più correttamente ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.) è concepibile solo a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi), come costantemente affermato da questa Corte (Cass. n. 11892 del 2016; in senso conforme Cass. n. 20119 del 18/09/2009; Cass. n. 13960 del 19/06/2014).
Ne consegue, anche sulla base delle affermazioni della giurisprudenza nomofilattica (Sez. U nn, 8053 e 8054 del 07/04/2014) l’inammissibilità della censura.
La motivazione resa dalla Corte territoriale risponde, inoltre e ampiamente, al minimo costituzionale, come delineato dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte a partire dall’anno 2014 (Sez. U. n. 8053 del 7/04/20214 e più di recente Cass. n. 7090 del 03/03/2022) e deve, inoltre, ribadirsi che (Cass. n. 37382 del 21/12/2022) la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali di questa Corte (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le già menzionate valutazioni discrezionali.
Attendibilità testi: libero convincimento del giudice
Non è infatti consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito”; In particolare, tanto la valutazione delle deposizioni testimoniali, quanto il giudizio sull’attendibilità dei testi, sulla credibilità e sulla rilevanza probatoria delle loro affermazioni sono rimessi al libero convincimento del giudice del merito (Cass. sez. III, 07/02/2024, n.3550); in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento ed è, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre (Cass. n. 21187 del 2019)
Il secondo motivo è parimenti inammissibile sotto plurimi profili.
La decisione impugnata ha condiviso la ricostruzione operata dal giudice di primo grado secondo cui la disgregazione del matrimonio era dovuta esclusivamente alla condotta violenta del marito senza che assumesse un qualche rilievo la pretesa aggressività della moglie alla luce della mancata impugnativa da parte dell’appellante del rigetto della domanda di addebito della separazione proposta in primo grado dal marito non senza sottolineare comunque che “l’eventuale conflittualità reciproca di coppia non poteva di per sé giustificare o escludere il disvalore dei fatti di violenza sopra citati e valorizzati ai fini che qui interessano”.
Il motivo non ha attinto detta ratio decidendi incentrandosi sulla mancata valorizzazione di alcuni documenti e sul mancato ingresso delle prove orali diretti a dimostrare una pretesa condotta aggressiva della moglie.
In relazione alla dedotta violazione degli artt. 115 cod. proc. civ., le censure sollevate non si conformano all’orientamento di questa Corte, la quale ha precisato che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa al di fuori dei poteri officiosi riconosciutigli dalla legge (Cass. S.U. n. 20867 del 2020).
Identico epilogo merita la censura di violazione dell’art. 2697 c.c., essendo essa configurabile, sulla base della giurisprudenza di legittimità, soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia asseritamente errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova (Cass. n. 18092 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 10569 del 2018; Cass. n. 15107 del 2013).
Relativamente al terzo motivo vanno ribadite le considerazioni sopra svolte in merito al secondo motivo di ricorso.
Il ricorrente individua l’omesso fatto nella mancata considerazione delle capacità reddituali e delle proprietà mobiliari ed immobiliari della Ro.Da.
Attendibilità testi: libero convincimento del giudice
La censura è inammissibile.
Giova in primo luogo ricordare che Il “fatto” di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve essere un fatto storico vero e proprio avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (ovverosia, un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo del diritto azionato) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dell’aver formato oggetto di controversia tra le parti (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053; Cass. 08/09/2016, n. 17761; Cass. 29/10/2018, n. 27415).
Pertanto, non costituisce omissione censurabile, ai sensi della norma richiamata, l’omesso esame di elementi istruttori qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; del pari, la critica concernente l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio non può ricomprendere “questioni” o “argomentazioni”, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. 06/09/2019, n. 22397; Cass. 18/10/2018, n. 26305).
Ora nel caso in esame la decisione impugnata ha preso in esame le posizioni economiche di entrambe le parti rilevandone una sproporzione e l’inadeguatezza dei redditi dell’appellata a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza.
Il giudice del gravame ha poi considerato l’età anagrafica della richiedente e il suo stato di invalidità che non le consentiva di inserirsi in modo adeguato nel mondo del lavoro se non in termini precari.
Ha altresì rilevato per quanto riguarda le proprietà immobiliari ereditate a seguito della morte del padre che non vi era prova di una loro messa a reddito.
A fronte di tale rappresentazione dei fatti il ricorrente ne contrappone un’altra e diversa tendendo a suscitare dalla Corte di legittimità un apprezzamento di fatto alternativo a quello operato dal giudice del merito e ad esso insindacabilmente riservato.
Quanto poi al mancato rispetto del principio di non contestazione va rammentato che ai fini del rispetto di cui all’art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c., il ricorso per cassazione con cui viene dedotta la violazione del principio di non contestazione deve indicare sia la sede processuale in cui sono state dedotte le tesi ribadite o lamentate come disattese, inserendo nell’atto la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi, sia, specificamente, il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori scritti difensivi, in modo da consentire alla Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 c.p.c. (da ultimo, Cass. n. 15058 del 2024).
Tale onere processuale risulta non assolto, non avendo il ricorrente indicato il contenuto concreto degli atti e comportamenti processuali della controparte da cui ricavare il carattere incontroverso dei fatti in questione.
Peraltro va sottolineato che nel controricorso si dà atto come la circostanza, relativa alle proprietà immobiliari pervenute per via successoria, fosse stata dedotta in sede di replica alla comparsa conclusione sicché nessuna specifica contestazione era stato possibile sollevare se non in sede di costituzione nella fase di gravame ove era stata rilevata la scarsa consistenza dell’asse ereditario costituito da 1/3 di immobili improduttivi di reddito in quanto usufruiti dalla madre.
L’ultimo profilo di censura è inammissibile.
Il ricorrente si duole che il giudice del gravame non avrebbe rilevato un errore del Giudice di primo grado, il quale non avrebbe operato un’equa ripartizione delle spese di lite omettendo di considerare che la sig.ra Ro.Da. in primo grado aveva modificato la propria domanda di affidamento dei figli da esclusivo a condiviso.
La censura non risulta sia stata dedotta avanti al Giudice del gravame.
Giova rilevare che, materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 18128 del 31/08/2020; conf. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 11098 del 24/04/2024).
Violazione questa che non è certamente configurabile nel caso in esame giacché la Corte di appello ha coerentemente con l’esito negativo del gravame posto a carico dell’appellante le spese di lite.
Va peraltro osservato che l’appellante, secondo quanto emerge dall’esame della sentenza qui impugnata, si è limitato a chiedere il favore delle spese come effetto conseguente alla riforma della gravata decisione senza svolgere alcuna critica alla regolamentazione delle spese come disposta dal Tribunale ed è pertanto preclusa in questa sede ogni valutazione al riguardo.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Attendibilità testi: libero convincimento del giudice
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente le spese di questa fase liquidate in Euro 2800,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed al 15 % per spese generali.
Dispone che, in caso di diffusione, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nell’ordinanza, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma il 3 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
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