Mantenimento Figli Maggiorenni: Redditi e Bisogni

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|3 febbraio 2025| n. 2571.

Mantenimento maggiorenni: proporzionalità redditi genitori

Massima: Al fine di quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore per il mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti, sia in caso di genitori separati o divorziati, sia in caso di filiazione naturale, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparativa dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto. (Nella specie, ha osservato la Suprema Corte, le doglianze di parte ricorrente sono fondate per avere la corte di appello omesso l’esame della situazione economica-patrimoniale del padre e della madre e la conseguente doverosa comparazione tra le due posizioni essendosi limitata ad affermare che l’importo [posto a carico del padre, di cui era stata contestualmente dichiarata giudizialmente la paternità] era adeguata alle presumibili esigenze di una ragazza dell’età della parte, con conseguente violazione del principio di proporzionalità, che richiede un valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre che del principio di eguaglianza dei genitori).

Ordinanza|3 febbraio 2025| n. 2571. Mantenimento maggiorenni: proporzionalità redditi genitori

Integrale

Tag/parola chiave: FAMIGLIA E FILIAZIONE – Filiazione – Filiazione naturale – Mantenimento figli maggiorenni non autosufficienti – Principio di proporzionalità – Necessità – Fattispecie. (Cc, articoli 337-bis, 337-ter e 337-septies)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. ACIERNO Maria – Presidente
Dott. TRICOMI Laura – Relatore

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7608/2024 R.G. proposto da

Ze.En., rappresentato e difeso dall’avvocato MA.MA. come da procura speciale in atti.

-ricorrente-

Contro

Sc.He., Sc.Ed., rappresentate e difese dall’avvocato PI.AL. che le rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.

-controricorrenti-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 1008/2023 depositata il 18/09/2023.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/12/2024 dal Consigliere LAURA TRICOMI.

Mantenimento maggiorenni: proporzionalità redditi genitori

RILEVATO CHE

1.- Il Tribunale di Savona con sentenza n.632/2021, resa nel giudizio di riconoscimento di paternità naturale promosso da Sc.Ed., in proprio e in nome e per conto della figlia Sc.He. (n. il 1marzo 2003, all’epoca minorenne), dichiarò il rapporto di paternità tra la minore e Ze.En., dispose l’acquisizione del cognome e, per l’effetto, ordinò all’Ufficiale di Stato Civile competente di procedere alla trascrizione della sentenza; condannò, inoltre, Ze.En. a corrispondere a Sc.Ed., quale mantenimento della figlia minore, la somma mensile di Euro 400,00=, oltre il 50% delle spese straordinarie secondo il protocollo in uso al Tribunale di Savona; condannò Ze.En. al pagamento, in favore di Sc.Ed., della somma complessiva di Euro 45.000,00= a titolo di rimborso della quota dovuta per il mantenimento ordinario della figlia e di Euro 5.962,25= a titolo di rimborso spese straordinarie, oltre interessi dal dovuto al saldo; condannò Ze.En. al risarcimento del danno non patrimoniale patito da Sc.He., complessivamente quantificato in Euro 82.980,00= oltre interessi dalla domanda sino al soddisfo; rigettò la domanda di condanna al risarcimento del danno patrimoniale e pose a carico di Ze.En. le spese di lite.

La Corte di appello di Genova ha respinto l’appello proposto da Ze.En. e confermato la prima decisione.

Ze.En. ha proposto ricorso chiedendo la cassazione della sentenza di appello con sei motivi, illustrati con memoria. Sc.Ed. e Sc.He. hanno replicano con unico controricorso.

È stata disposta la trattazione camerale.

Mantenimento maggiorenni: proporzionalità redditi genitori

CONSIDERATO CHE

2.- Il primo motivo, con il quale si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., in relazione agli artt. 70, 71 e 158 c.p.c., per difetto di costituzione del Pubblico Ministero, è infondato e va respinto.

Nei giudizi civili in cui è previsto l’intervento obbligatorio del P.M., il disposto della legge è osservato, a norma dell’art 71 c.p.c., con la comunicazione degli atti all’ufficio competente del P.M., per consentirgli d’intervenire in giudizio con un proprio rappresentante; nessun’altra comunicazione deve essere fatta a quell’ufficio, che, nell’esercizio delle facoltà e dei poteri di cui all’art 72 c.p.c., può intervenire alle udienze, dedurre prove, prendere conclusioni e proporre impugnazioni, senza, peraltro, che il mancato esercizio di tali poteri implichi la nullità delle udienze disertate dal PM o degli atti ai quali il medesimo non è intervenuto e delle sentenze pronunciate malgrado la mancanza di sue conclusioni (Cass. n. 40377/2021).

Tanto premesso, si osserva che, nel caso di specie, il P.M. venne avvisato in tempo utile per precisare le conclusioni e partecipare all’udienza di discussione della causa ed il fatto che non abbia esercitato i poteri che la legge gli attribuisce non costituisce causa di nullità, né risulta che il P.M. si sia doluto di non aver potuto partecipare al giudizio sin dall’inizio, di guisa che l’eventuale vizio risulterebbe anche sanato.

3.- Il secondo motivo, con il quale si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., in relazione agli artt. 273 e 473 bis 4 c.c., per difetto della condizione di agire e del consenso all’azione del figlio minorenne per l’accertamento giudiziale della paternità, è inammissibile.

Non solo la censura non coglie la ratio espressa dalla Corte di merito, che ha ritenuto validamente espresso il consenso della minore sin dal primo grado in forma scritta, ma trascura di considerare che qualsiasi eventuale vizio è stato sanato dalla costituzione in giudizio in secondo grado della figlia, divenuta nelle more maggiorenne, che nulla ha eccepito in proposito ed ha, invece, inequivocamente resistito all’appello paterno.

4.- Il terzo motivo, con il quale si deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c., per omessa pronuncia su un motivo di gravame in relazione all’art. 262, quarto comma c.c., per assenza di consenso del figlio minore all’attribuzione del cognome paterno, è infondato. Non è previsto il consenso del figlio nel caso di attribuzione del cognome a soggetto minore di età ex art. 262, quarto coma, c.c., e tale era la figlia nel corso del giudizio di primo grado. Non ricorre nemmeno l’interesse ad agire del padre, che fa valere il diritto di veto attribuito al figlio e non ragioni ostative e/o un pregiudizio suo proprio.

5.- Il quarto motivo, con il quale è dedotta la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo coma, n.4, c.p.c., per violazione o falsa applicazione dell’art. 269 c.c. e 116 c.p.c. riguardo alla presunzione di riconoscimento di paternità in assenza dell’esame ematologico, è infondato e va respinto.

Giova ricordare che costituisce orientamento consolidato quello per cui, nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità naturale, le indagini ematologiche e genetiche sul DNA possono fornire elementi di valutazione non solo per escludere, ma anche per affermare il rapporto biologico di paternità (Cass. n. 8451/1991; Cass. n. 15568/2011), anche se, in tale ipotesi, possono essere sufficienti anche altre risultanze processuali (Cass. n. 9412/2004). Inoltre, nella materia della dichiarazione giudiziale di paternità, la consulenza tecnica ematologica è uno strumento istruttorio officioso rivolto verso l’unica indagine decisiva in ordine all’accertamento della verità del rapporto di filiazione e, pertanto, la sua richiesta non può essere ritenuta esplorativa, intendendosi come tale l’istanza rivolta a supplire le deficienze allegative ed istruttorie di parte, così da aggirare il regime dell’onere della prova sul piano sostanziale o i tempi di formulazione delle richieste istruttorie sul piano processuale (cfr. Cass. n.22498/2021; Cass. n.23290/2015, in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale).

Nei giudizi promossi per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale (cfr., tra le altre, Cass. n. 23958/2018 e Cass. n. 32308/2018, in motivazione), l’esame genetico sul presunto padre si svolge mediante consulenza tecnica cd. percipiente, ove il consulente nominato dal giudice non ha solo l’incarico di valutare i fatti acclarati o dati per esistenti, ma anche di accertare i fatti stessi. È necessario e sufficiente, in tal caso, che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche, perché la consulenza costituisca essa stessa fonte oggettiva di prova (cfr. Cass. n. 6155/2009; Cass. n. 4792/2013). Nei procedimenti in questione, tale mezzo istruttorio rappresenta, attesi i progressi della scienza biomedica, lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione naturale, e con esso il giudice accerta l’esistenza o l’inesistenza di incompatibilità genetiche, ossia un fatto biologico di per sé suscettibile di rilevazione solo con l’ausilio di competenze tecniche particolari (cfr. Cass. n. 14462/2008).

Mantenimento maggiorenni: proporzionalità redditi genitori

Nei giudizi suddetti, peraltro, l’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di una relazione o di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall’art. 269, secondo comma, cod. civ., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, né, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di una sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all’esercizio

del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status (cfr. Cass. n. 3479/2016; Cass. n. 23270/2023, in motivazione).

A ciò va aggiunto che, secondo consolidato principio, “Nel giudizio promosso per l’accertamento della paternità naturale, il rifiuto del preteso padre di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex art. 116, comma 2, c. p.c., di così elevato valore indiziario da consentire, esso solo, di ritenere fondata la domanda.” (Cass. n. 28886/2019; Cass. n.7092/2022, tra molte).

La decisione impugnata ha dato retta applicazione ai rammentati principi, rimarcando che il Tribunale, nel caso di specie, non solo aveva valorizzato il rifiuto opposto dall’appellante all’effettuazione della consulenza ematologica, ma aveva anche desunto elementi di prova dalle risultanze testimoniali raccolte.

La censura non si confronta con questa complessa statuizione e trascura di considerare il carattere decisivo che assume il rifiuto opposto alla sottoposizione all’esame del DNA, sollecitando impropriamente una rivalutazione delle acquisizioni probatorie, inammissibile in sede di legittimità.

6.- Il quinto motivo denuncia la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., per violazione o falsa applicazione degli artt. 2059 e 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. riguardo all’esistenza del danno non patrimoniale endo-familiare e, ai sensi degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c. alla sua quantificazione.

Il quinto motivo è infondato perché la Corte di appello non si è discostata dai principi già affermati, secondo i quali in tema di filiazione, la violazione dell’obbligo del genitore di concorrere all’educazione ed al mantenimento dei figli, ai sensi degli artt. 147 e 148 cc., costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, risarcibile equitativamente, attraverso il rinvio, in via analogica e con l’integrazione dei necessari correttivi, alle tabelle per il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in uso nel distretto (Cass. n. 34986/2022) e perché, in materia di responsabilità civile, la natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale deve essere interpretata nel senso che esso può riferirsi a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica, con conseguente obbligo, per il giudice di merito, di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, e con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici; ne deriva che, a fini liquidatori, si deve procedere ad una compiuta istruttoria finalizzata all’accertamento concreto e non astratto del danno, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, valutando distintamente, in sede di quantificazione del danno non patrimoniale alla salute, le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera interiore (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione) rispetto agli effetti incidenti sul piano dinamico-relazionale (che si dipanano nell’ambito delle relazioni di vita esterne), autonomamente risarcibili (Cass. n. 23469/2018).

La censura sollecita impropriamente una rivalutazione delle acquisizioni probatorie circa l’accertamento del danno endo-familiare e della quantificazione del risarcimento compiuta dai giudici di merito in via equitativa, alla stregua dei ricordati principi, e risulta inammissibile in sede di legittimità.

7.- Con il sesto motivo si denuncia la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.7, c.p.c., per violazione o falsa applicazione degli articoli 147-148-277-315-bis, 316-bis e 337-septies c.c. anche in relazione all’art. 2697 c.c. e agli artt. 115 e 116 c.p.c. riguardo alla presunzione di non autosufficienza del figlio

maggiorenne ed alla quantificazione dell’assegno di mantenimento.

Il motivo è parzialmente fondato e va accolto per quanto di ragione.

In materia di mantenimento del figlio maggiorenne e non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l’esclusione del relativo diritto, oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e della cui prova è gravato il genitore che si oppone alla domanda, sono integrati dall’età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento; dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass. n. 38366 /2021).

Nel caso in esame, la Corte di appello ha accertato che la figlia all’epoca della decisione era ancora intesa alla attività di formazione scolastica, di guisa che la censura non coglie nel segno, laddove prospetta il mancato accertamento dell’autosufficienza economica della figlia, della cui prova, peraltro, sarebbe stato onerato proprio il ricorrente.

La censura va accolta invece per la parte in cui viene criticata la quantificazione dell’assegno di mantenimento compiuta in sede di merito.

Al riguardo, va osservato che al fine di quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore per il mantenimento dei figli maggiorenni economicamente non autosufficienti – secondo i principi elaborati nel caso di prole di genitori separati o divorziati – deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. n. 19299/2020; Cass. n. 4145/2023).

Detto ciò, va osservato che, alla luce della richiamata giurisprudenza, le doglianze del ricorrente sono fondate, per aver la Corte d’Appello omesso l’esame della situazione economico-patrimoniale del padre e della madre e la conseguente doverosa comparazione tra le due posizioni, essendosi limitata ad affermare che l’importo era adeguato alle presumibili esigenze di una ragazza dell’età della parte, con conseguente violazione del principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre che del principio di eguaglianza dei coniugi.

8.- In conclusione, il sesto motivo del ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione; la decisione impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di appello di Genova in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi esposti e per la statuizione sulle spese di giudizio anche del presente grado.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Mantenimento maggiorenni: proporzionalità redditi genitori

P.Q.M.

– Accoglie il sesto motivo nei sensi di cui in motivazione, respinti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Genova in diversa composizione anche per le spese;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma il 3 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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