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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 23 giugno 2014, n. 27193. In tema di cause di giustificazione, incombe sull'imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell'esimente. Ne consegue che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un'esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. cod. proc. pen., risolvendosi il dubbio sull'esistenza dell'esimente nell'assoluta mancanza di prova al riguardo. (Nel caso di specie è stato ritenuto irrilevante che l'imputato si fosse allontanato da casa per acquistare un medicinale in quanto "stava male", atteso che non aveva dato neppure dimostrazione di non essersi potuto rivolgere ad un vicino di casa per poter risolvere quel suo problema)

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 23 giugno 2014, n. 27193 Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Firenze riformava parzialmente la pronuncia di primo grado del 07/10/2009, riducendo la pena, e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Tribunale...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 20 giugno 2014, n. 26804. L'evento del reato di lesioni va senz'altro ravvisato nella produzione delle ecchimosi attestate dal certificato rilasciato dal medico curante.

  Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 20 giugno 2014, n. 26804 Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata S.B. veniva ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 582 cod. pen., commesso in Reggio Emilia l’11/11/2006 colpendo la moglie M.G.P. con calci e pugni, e condannato alla pena di €. 400 di multa. L’imputato ricorre...

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Corte Costituzionale, sentenza n. 184 del 23 giugno 2014. Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione di pena, a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale

Sentenza  184/2014 Giudizio Presidente SILVESTRI – Redattore LATTANZI Camera di Consiglio del 07/05/2014    Decisione  del 23/06/2014 Deposito del 25/06/2014   Pubblicazione in G. U. Norme impugnate: Art. 517 del codice di procedura penale. Massime: Atti decisi: ord. 4/2014 SENTENZA N. 184 ANNO 2014     REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 9 giugno 2014, n. 12971. Il diritto del lavoratore di ottenere dall'Inps, in caso d'insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del TFR a carico dello speciale Fondo di cui alla Legge n. 297 del 1982, articolo 2, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed e', percio', distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro (restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale), diritto che si perfeziona (non con la cessazione del rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge (insolvenza del datore di lavoro, verifica dell'esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all'esito di procedura esecutiva), con la conseguenza che, prima che si siano verificati tali presupposti, nessuna domanda di pagamento puo' essere rivolta all'Inps, e, pertanto, non puo' decorrere la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia" (cfr. in termini e su fattispecie identica Cass. 23 luglio 2012 n. 12852 ed anche nn. 10875, 20675 del 2013). Da quanto esposto consegue che le considerazioni svolte dalla Corte d'Appello di Napoli non sono condivisibili poiche', appunto, l'obbligazione assunta dal Fondo aveva natura previdenziale e dunque non era applicabile alla fattispecie in esame la disciplina delle obbligazioni in solido. La prescrizione del diritto alla prestazione non poteva decorrere, ai sensi dell'articolo 2935 c.c., prima del perfezionarsi della fattispecie attributiva, che condiziona la proponibilita' della domanda all'INPS. Il termine di prescrizione di un anno non veniva interrotto nei confronti del Fondo durante la procedura fallimentare a carico del datore di lavoro. Poiche' risulta accertato e non contestato che il ricorrente aveva presentato domanda all'INPS in data 12 maggio 2004 e che il ricorso giudiziario era stato proposto solo il 20 giugno 2007 ne deriva che all'epoca dell'instaurazione del giudizio il termine annuale di prescrizione dei crediti azionati era ormai spirato

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 9 giugno 2014, n. 12971 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE L Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CURZIO Pietro – Presidente Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere Dott. MANCINO Rossana – Consigliere Dott....

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 9 giugno 2014, n. 23958. Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria durante le partite di calcio; In relazione all'obbligo di doppia presentazione anche nel caso di partite giocate in trasferta, è stato rilevato che esso non puo' considerarsi inutilmente vessatorio, presentando invece razionale carattere di strumentante rispetto ai beni da tutelare. E', evidente si legge nella sentenza in commento che, nel disporlo, il legislatore ha avuto presente la necessita' di evitare facili elusioni al divieto di accesso, perche' e' dato di comune conoscenza che la trasferta in senso sportivo non sempre comporta spostamenti rilevanti o, addirittura, in citta' diverse, ben potendo realizzarsi l'ipotesi che una stessa citta' veda giocare in contemporanea due squadre calcistiche, delle quali una "in casa" e l'altra "in trasferta". A cio' va aggiunto che gli incontri in trasferta possono avvenire anche nel raggio di pochi chilometri, sicche' l'obbligo della duplice presentazione ha indubbiamente una sua logica, nel senso che il soggetto – dopo avere adempiuto l'obbligo di una sola firma – molto facilmente potrebbe raggiungere il luogo dove si svolge la competizione sportiva in trasferta ovvero dove transitano i tifosi, per dare sfogo a manifestazioni di aggressivita'

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 9 giugno 2014, n. 23958 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente Dott. RAMACCI Luca – Consigliere Dott. ACETO Aldo – Consigliere Dott. GENTILI Andrea – Consigliere Dott. ANDRONIO A. M....

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 23 giugno 2014, n. 27105. L'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e l'estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identico, ma per l'elemento intenzionale: nell'estorsione, l'agente mira a conseguire un profitto ingiusto con la coscienza che quanto pretende non gli è dovuto; nell'esercizio arbitrario, invece, l'agente è animato dal fine di esercitare un suo preteso diritto nella ragionevole opinione, anche errata, della sua sussistenza, pur se contestata o contestabile; di conseguenza, l'intensità e/o la gravità della violenza o della minaccia non è un elemento del fatto idoneo ad influire sulla qualificazione giuridica del reato (esercizio arbitrario delle proprie ragioni – estorsione), atteso che, ove la minaccia o la violenza siano commesse con le armi, il reato diventa aggravato ex artt. 393/3 o 629-628/3 n. 1 cod. pen. e, se la violenza o la minaccia ledano altri beni giuridici, fanno scattare a carico dell'agente ulteriori reati in concorso (lesioni, omicidio, sequestro di persona ecc.). Pertanto, ove la violenza e/o la minaccia, anche se particolarmente intense o gravi, siano effettuate al solo fine di esercitare un preteso diritto, pur potendo l'agente ricorrere al giudice, non è mai configurabile il diverso delitto di estorsione che ha presupposti giuridici completamente diversi; tuttavia, ove la violenza e/o la minaccia, indipendentemente dalla intensità con la quale siano adoperate dall'agente, siano esercitate al fine di far valere un preteso diritto per il quale, però, non si può ricorrere al giudice, il suddetto comportamento va qualificato come estorsione ma non perché l'agente eserciti una violenza o minaccia particolarmente grave ma perché il suo preteso diritto non è tutelabile davanti all'autorità giudiziaria, sicché, venendo a mancare uno dei requisiti materiali del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, il fatto diventa qualificabile come estorsione

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 23 giugno 2014, n. 27105 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 15/5/2013, la Corte di appello di Catania, confermava la sentenza del Tribunale di Catania, Sezione distaccata di Paterno, in data 12/10/2012, che aveva condannato S.S. alla pena di anni dieci di reclusione ed Euro 2.000,00...