cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 9 ottobre 2014, n. 41992

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente
Dott. FRANCO Amedeo – rel. Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Mari – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso – erroneamente qualificato come appello – proposto da:

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa il 23 novembre 2012 dal giudice del tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana;

udita nella pubblica udienza del 15 luglio 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per le parti civili il difensore avv. (OMISSIS);

udito per l’imputata il difensore avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Francavilla Fontana, dichiaro’ (OMISSIS) colpevole del reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, per avere, nella qualita’ di legale rappresentante di una societa’ che gestiva un bar, non impedendo gli schiamazzi prodotti all’esterno del bar dagli avventori, causando rumori mediante lo spostamento di tavoli e le chiusure di porte, ed abusando di strumenti sonori, in particolare di microfoni ed amplificatori per trasmettere voci e musica ad alto volume, il tutto fino a notte fonda, disturbato il riposo delle persone (accertato il (OMISSIS), con permanenza) e la condanno’ alla pena di euro 200 di ammenda, oltre al risarcimento del danno in favore della costituite parti civili, quantificate per ciascuna parte in euro 1.500.
L’imputata, a mezzo dell’avv. (OMISSIS), propone ricorso per cassazione – erroneamente qualificato come appello – deducendo i seguenti motivi.
Lamenta innanzitutto che manca la prova certa che i rumori in questione arrecavano disturbo al riposo delle persone. L’unico accertamento venne effettuato dall’Arpa il 17.12.2003, e peraltro esistono seri dubbi sulla sua regolarita’: a) in primo luogo perche’ e’ stato effettuato in violazione del contraddittorio con l’imputata; b) perche’ ha avuto esito positivo solo in relazione alla attivita’ di cabaret esercitata in quel momento, e non anche ad altri aspetti e ad altre fonti sonore. Anzi, nel verbale vi e’ la prova che le altre fonti sonore, pur essendo presenti in realta’ non hanno superato il limite legale di tolleranza.
Deduce poi che e’ provato che quello spettacolo di cabaret e’ stato l’unico e l’ultimo che si e’ tenuto nel bar dell’imputata, la quale si attivo’ per evitare il piu’ possibile di procurare rumori. Il giudice non ha adeguatamente motivato in ordine ai criteri adottati per la valutazione delle dichiarazioni testimoniali rese dalle parti offese. Sul punto vi e’ mancanza di motivazione.
Deduce che l’imputata tutt’al piu’ potrebbe essere considerata responsabile del reato ascrittole solo per un preciso episodio, quello accaduto il giorno 17/12/2003 in occasione dello spettacolo di cabaret. Da cio’ deriva: a) un solo episodio non e’ sufficiente a ritenere sussistente il reato di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, che presuppone che i disturbi siano continui e non occasionali; b) che in ogni caso il reato si e’ prescritto, essendosi certamente verificato prima della notifica dell’ordinanza di inibizione del Comune del 09/02/2004. Non vi e’ infatti prova che il reato possa essere considerato permanente.
Lamenta inoltre che e’ stato erroneamente applicato l’articolo 659, comma 1, mentre andava applicato il secondo comma, in quanto il mestiere esercitato dall’imputata rientrava in quelli previsti da tale ultima norma, con la conseguenza che il superamento dei limiti di accettabilita’ integra gli estremi di un illecito amministrativo ai sensi della Legge n. 447 del 1995, articolo 10, comma 2.
Denuncia infine che la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni alle parti civili e’ esagerata e non provata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso si risolvono, per la gran parte, in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimita’, ed e’ comunque infondato.
Innanzitutto, esattamente il giudice del merito ha ritenuto applicabile la disposizione di cui al primo comma dell’articolo 659 c.p., e non quella di cui al secondo comma, avendo accertato che i rumori molesti non erano prodotti dall’utilizzazione dei normali mezzi di esercizio del mestiere, bensi’ da emissioni sonore aggiuntive, non strettamente connesse all’esercizio dell’attivita’ (in particolare musica ad alto volume, in orario notturno, anche a mezzo di altoparlanti posti all’esterno del locale). Non si rientra quindi nell’ipotesi dell’esercizio di un mestiere di per se’ rumoroso, esercitato contro le disposizioni di legge o contro le prescrizioni della autorita’. Del resto, la giurisprudenza ha piu’ volte ritenuto che l’esercizio di un bar non costituisce un mestiere di per se’ rumoroso, sicche’ i rumori molesti provocati da tale esercizio possono integrare la fattispecie di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, (Sez. 1 , 5.12.2006, n. 1561 del 2007, Rey, m. 235883, in una fattispecie relativa ad una orchestrina che si esibiva all’interno di un bar; Sez. 1 , 28.3.2003, n. 16686, Massazza, m. 224802; Sez. 1 , 2.5.1994, n. 7188, Sereni, m. 199730, in un caso di abnorme propagazione di strepiti, schiamazzi, rumori di cucina, “chiamate”, aggiuntivi alla necessaria diffusione, nei locali del canto e della musica connessa alla gestione di un “piano bar”; Sez. 6 , 24.5.1993, n. 7980, Papez, m. 194904, relativamente ai continui schiamazzi e rumori provocati, con disturbo delle persone, dagli avventori di un bar).
Il giudice del merito, poi, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, ha ritenuto provato il fatto che i rumori in questione arrecassero disturbo al riposo delle persone sulla base delle concordi dichiarazioni dei testi residenti nella zona, i quali avevano piu’ volte richiesto l’intervento dell’autorita’, oltre che della documentazione acquisita. In base a tali elementi ha altresi’ ritenuto provato anche che le emissioni sonore in questione superavano i limiti della normale tollerabilita’ e non erano strettamente connesse all’esercizio dell’attivita’ di bar, consistendo in particolare in musica ad alto volume, anche di notte oltre il normale orario di apertura. La circostanza che vi sia stato un solo accertamento da parte dell’Arpa e’ irrilevante, perche’ nella specie si tratta della fattispecie di cui all’articolo 659 c.p., comma 1, in relazione alla quale assume rilievo il superamento dei limiti di normale tollerabilita’, superamento che e’ stato ritenuto accertato dal giudice del merito, con congrua ed adeguata motivazione, sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi. E’ quindi anche irrilevante la circostanza, dedotta con il ricorso, che vi sarebbe stato nel tempo un unico spettacolo di cabaret. Il giudice del merito ha anche motivatamente accertato, poi, che i tentativi posti in essere dall’imputata per limitare le conseguenze dell’emissione dei rumori non si sono dimostrati sufficienti ed idonei ad evitare il disturbo ai vicini.
Il giudice, sempre con congrua ed adeguata motivazione, ha anche ritenuto, sulla base delle dichiarazioni dei testi, che i rumori non si erano verificati solo in occasione dello spettacolo di cabaret, ma erano continuati anche in seguito “con permanenza fino ad oggi” (ossia fino alla data della sentenza di primo grado, emessa il 23 novembre 2012). Esattamente, quindi, ha ritenuto che non potesse considerarsi maturato il termine di prescrizione del reato, termine che, pertanto, non e’ spirato nemmeno alla data odierna.
E’ infine congrua ed adeguata la motivazione con la quale e’ stato determinato, in via equitativa, il danno liquidato in euro 1.500 in favore di ciascuna parte civile costituita.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al rimborso, in favore delle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (tutte difese dall’avv. (OMISSIS)) delle spese di questo grado, che si liquidano in complessivi euro 4.000, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ alla refusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in complessivi euro 4.000, oltre accessori di legge.

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