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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 5 giugno 2015, n. 11667. Lo spazio sottostante al suolo su cui sorge un edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destinazione (per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 cod. civ.)

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 5 giugno 2015, n. 11667 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ODDO Massimo – Presidente Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere Dott. MANNA Felice – Consigliere Dott. ORICCHIO...

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Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 5 giugno 2015, n. 11663. Le disposizioni contenute nel d.P.R. n. 574 del 1988 e, segnatamente, l’art. 8, che consente al cittadino italiano di lingua tedesca, residente nella provincia di Bolzano, di eccepire la nullità dell’atto amministrativo notificatogli, per il mancato rispetto dell’art. 7 dello stesso d.P.R., che impone, in tal caso, l’uso della lingua tedesca, non trovano applicazione nei confronti della cittadina svizzera, di madrelingua tedesca e residente nella medesima

Suprema Corte di Cassazione sezione tributaria sentenza 5 giugno 2015, n. 11663 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCININNI Carlo – Presidente Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere Dott. MARULLI Marco – Consigliere Dott. TRICOMI Laura...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 29 maggio 2015, n. 11223. La comunicazione di informazioni sulla salute del dipendente configura un illecito trattamento di dati quando è possibile una comunicazione parziale che contenga il dato pertinente allo scopo da perseguire, mentre va omessa la visibilità di dati sanitari ultronei con particolare riferimento alla patologia da HIV

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 29 maggio 2015, n. 11223 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente Dott. NAPPI Aniello – Consigliere Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere Dott. BISOGNI...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 giugno 2015, n. 12717. Il danno non patrimoniale non può che essere liquidato in via equitativa e che tale valutazione ha da tempo trovato un utile parametro di riferimento nelle note tabelle che sono state elaborate dagli uffici giudiziari per assicurare una tendenziale omogeneità di trattamento fra situazioni analoghe; com’è noto, al fine di assicurare il massimo grado di uniformità, è stato riconosciuto alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano valenza generale di “parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono”. Con specifico riferimento al danno per perdita del rapporto parentale, le tabelle milanesi prevedono – con riferimento ai vari possibili rapporti di parentela – una forbice che, nel caso di danno subito dal genitore per la morte di un figlio, oscillava (nell’edizione 2011, applicabile al momento in cui venne emessa la sentenza impugnata) fra 154.350,00 e 308.700,00 Euro; per quanto emerge dai “criteri orientativi” che illustrano la tabella, tale forbice consente di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la “qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta”. Deve allora ritenersi che, anche a voler assimilare – come ha fatto la Corte d’appello – la situazione del feto nato morto al decesso di un figlio, non può tuttavia non considerarsi che per il figlio nato morto è ipotizzabile soltanto il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita), ma non anche di una relazione affettiva concreta sulla quale parametrare il risarcimento all’interno della forbice di riferimento.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 19 giugno 2015, n. 12717 Svolgimento del processo Cr.Va. e S.L. convennero in giudizio l’Azienda ASL Roma (…) per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti per il fatto che il loro primo figlio era nato morto, assumendo che ciò era dipeso dalla condotta dei sanitari dell’Ospedale di...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 17 giugno 2015, n. 25364. Integra il delitto di truffa, e non il meno grave reato di omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria (art. 37 della legge 24 novembre 1981, n. 689), la condotta dei datore di lavoro che, per mezzo dell’artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore, induce in errore l’istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto e non già una semplice evasione contributiva. Peraltro, in tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, la produzione all’ente erogatore di una falsa autocertificazione finalizzata a conseguire indebitamente contributi previdenziali integra il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., anziché quello di truffa aggravata, qualora l’ente assistenziale non venga indotto in errore, in quanto chiamato solo a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 17 giugno 2015, n. 25364 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26.10.2011 il Tribunale di Teramo dichiarò M.N. responsabile dei reato di cui all’art. 640 comma 2 cod. pen. in danno dell’ I.N.P.S. e lo condannò alla pena di anni 1 di reclusione ed € 309,00 di...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 16 giugno 2015, n. 25230. La truffa c.d. contrattuale, quale è quella per cui si procede, è un reato di danno che si consuma nel momento in cui si verifica l’effettivo conseguimento dei bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. Danno che non solo deve avere contenuto economico, ma deve consistere anche per il soggetto passivo in una lesione del bene tutelato, concreta ed effettiva, e non soltanto potenziale. Va, infatti, osservato che la truffa è un reato che prevede, come elementi costitutivi, due requisiti: il conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente e il danno da parte dei soggetto leso: solo quando entrambi questi due elementi si sono verificati, la truffa può dirsi consumata proprio perché la condotta ingannatrice (alla quale sono riconducibili causalmente i due suddetti eventi) si è completamente realizzata. Nei casi tipici in cui l’oggetto materiale dei reato è costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è stato indicato in quello dell’acquisizione da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione dei patrimonio della parte offesa. Nel caso in esame, tuttavia, il raggiro è stato realizzato attraverso l’uso di una carta postepay ricaricabile che consente il versamento di denaro su una carta propria o di terzi. Il conseguimento dei profitto da parte dei soggetto truffatore si è verificato nel momento stesso in cui la parte offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta ricaricabile a lui intestata. Detto versamento ha infatti realizzato contestualmente l’effettivo conseguimento dei bene da parte dell’agente, che ha avuto immediatamente a disposizione la somma versata, e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato. La competenza territoriale va quindi radicata nel luogo ove è stato effettuato il versamento

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 16 giugno 2015, n. 25230 Rilevato in fatto 1. Con sentenza resa in data 3 ottobre 2013, il Tribunale di Agrigento in composizione monocratica, investito dei giudizio nei confronti di A.M. imputato del reato di truffa, dichiarava la propria incompetenza territoriale in favore del Tribunale di Brescia, nella...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 18 giugno 2015, n. 25756. La circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso è integrata quando – anche in base alla Convenzione di New York del 7 marzo 1966, resa esecutiva in Italia con la legge n. 654 dei 1975 – l’azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui è maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l’origine etnica o il colore e cioè di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parità, non essendo comunque necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all’esterno – e quindi a suscitare – il riprovevole sentimento o, comunque, il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, anche perché ciò comporterebbe l’irragionevole conseguenza di escludere l’aggravante in questione in tutti i casi in cui l’azione lesiva si svolgesse in assenza di terze persone

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 18 giugno 2015, n. 25756 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 9 novembre 2012 del Tribunale di Cremona, confermata dalla Corte d’appello di Brescia il 19 novembre 2013, M.G. era condannata alla pena di giustizia per il reato di atti persecutori, aggravato dalla finalità di discriminazione...