Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 17 giugno 2015, n. 25364

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 26.10.2011 il Tribunale di Teramo dichiarò M.N. responsabile dei reato di cui all’art. 640 comma 2 cod. pen. in danno dell’ I.N.P.S. e lo condannò alla pena di anni 1 di reclusione ed € 309,00 di multa, pena sospesa.
2. L’imputato propose gravame e la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza in data 8.5.2013, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, dichiarò non doversi procedere limitatamente ai fatti consumati fino all’ottobre 2005, perché estinti per prescrizione e – concesse le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante – rideterminò la pena per la residua parte in mesi 6 di reclusione ed € 200,00 di multa.
3. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo:
1. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata qualificazione dei fatto ai sensi dell’art. 37 legge n. 689/1981; la sentenza ha recepito la tesi dei primo giudice;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei reato; peraltro non vi è in atti prova dell’invito e della diffida al pagamento;
3. violazione di legge in relazione all’intervenuta prescrizione di ulteriori condotte.

Considerato in diritto

1. II primo motivo di ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
Questa Corte ha precisato che integra il delitto di truffa, e non il meno grave reato di omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatoria (art. 37 della legge 24 novembre 1981, n. 689), la condotta dei datore di lavoro che, per mezzo dell’artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore, induce in errore l’istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto e non già una semplice evasione contributiva (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 42937 del 03/10/2012 dep. 07/11/2012 Rv. 253646, citata anche nella sentenza impugnata. La Corte ha precisato che il meno grave reato di cui all’art. 37 citato si differenzia dalla truffa sia per l’assenza di artifici e raggiri sia per la finalizzazione del dolo specifico, diretto ad omettere il versamento in un tutto o in parte di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatoria).
Peraltro, in tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, la produzione all’ente erogatore di una falsa autocertificazione finalizzata a conseguire indebitamente contributi previdenziali integra il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., anziché quello di truffa aggravata, qualora l’ente assistenziale non venga indotto in errore, in quanto chiamato solo a prendere atto dell’esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 49642 del 17/10/2014 dep. 28/11/2014 Rv. 261000).
Nel caso in esame si versa però, in ragione dell’entità della somma (€ 1.140,00), in ipotesi di illecito amministrativo.
2. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata senza rinvio perché, riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 316 ter cod. pen. il fatto non è previsto dalla legge come reato.
3. II secondo ed il terzo motivo di ricorso sono assorbiti nella decisione assunta.

P.Q.M.

Qualificato il fatto quale violazione dell’art. 316 ter cod. pen., annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

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