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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza del 27 ottobre 2015, n. 43315. In tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 3 e art. 609 c.p.p., comma 2 – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perchè non segnalato con i motivi di gravame. D’altra parte “l’obbligo di motivazione da parte del Giudice di appello sussiste soltanto in relazione a quanto dedotto con l’atto di impugnazione o, se si tratta del mancato esercizio di un potere esercitabile di ufficio – come quello relativo alla concessione di benefici ai sensi dell’art. 597 c.p.p., comma 5 anche in relazione a quanto dedotto e richiesto in sede di discussione. Peraltro, perchè sussista l’obbligo della motivazione, è necessario che la richiesta non sia generica ma in qualche modo giustificata con riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della richiesta stessa

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza del 27 ottobre 2015, n. 43315   REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIANDANESE Franco – Presidente – Dott. GALLO Domenic – Consigliere – Dott. CERVADORO Mirella – Consigliere – Dott. AGOSTINACCHIO L....

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 24 novembre 2015, n. 46500. Affermata la piena utilizzabilità nel processo penale del p.v.c. quale atto irripetibile, nella misura in cui riproduca situazioni di fatto esistenti in un determinato momento e suscettibili di modificazioni. Confermato, al contempo, la rilevanza in sede penale del cosiddetto accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 24 novembre 2015, n. 46500 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente Dott. AMORESANO Silvio – rel. Consigliere Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere Dott. ACETO Aldo – Consigliere Dott....

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 30 novembre 2015, n. 24397. In tema di intermediazione immobiliare

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 30 novembre 2015, n. 24397   MEDIAZIONE – PROVVIGIONE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 2 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PETITTI Stefano – Presidente Dott. MANNA Felice – Consigliere Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere Dott. GIUSTI...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 11 dicembre 2015, n. 49145. La millanteria che integra il reato di cui all’art. 346 cod. pen. può essere sia esplicita sia implicita. In tale ultimo caso, non è necessario che l’agente vanti espressamente credito presso un pubblico ufficiale o presso un pubblico impiegato che presti un servizio pubblico, essendo sufficiente un comportamento che ingeneri la ragionevole persuasione di essere in grado di potere usare un particolare ascendente sulle decisioni di organi della pubblica amministrazione. E ciò in quanto, l’interesse primario tutelato dalla norma di cui all’art. 346 cod. pen. è il prestigio della pubblica amministrazione, che è offeso quando un suo organo, anche se non specificamente indicato, viene fatto apparire come corrotto o corruttibile o quando la sua attività funzionale viene fatta apparire come ispirata a caratteri incompatibili con quelli di imparzialità o correttezza cui la stessa pubblica amministrazione deve ispirarsi ex lege. Il reato di millantato credito può concorrere formalmente con quello di truffa, stante la diversità dell’oggetto della tutela penale, rispettivamente consistente nel prestigio della P.A. e nella protezione del patrimonio

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 11 dicembre 2015, n. 49145 Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria riformava parzialmente la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città del 15 ottobre 2012 che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato T.R. responsabile di...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 23 novembre 2015, n. 46359. Integra il delitto di calunnia la condotta dell’imputato che non si limiti a ribadire l’insussistenza delle accuse a suo carico, ma rivolga all’accusatore, di cui conosca l’innocenza, accuse specifiche, circostanziate e determinata di un fatto concreto e dunque idonee a determinare la possibilità dell’inizio di un’indagine penale nei suoi confronti, atteso che, in tale ipotesi, non ricorrono le condizioni richieste perchè si configuri il legittimo esercizio del diritto di difesa e quindi la causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen. Ricorrono dunque gli estremi del reato di calunnia quando l’imputato, travalicando il rigoroso rapporto funzionale tra la sua condotta e la confutazione dell’imputazione, non si limiti a ribadire la insussistenza delle accuse a suo carico, ma assuma ulteriori iniziative dirette a coinvolgere altri, di cui conosce l’innocenza, nella incolpazione, specifica e circostanziata, di un fatto concreto e da ciò derivi la possibilità di inizio di un’indagine penale da parte dell’autorità

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 23 novembre 2015, n. 46359 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente – Dott. MOGINI Stefano – Consigliere – Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere – Dott. SCALIA Laura – Consigliere...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 11 dicembre 2015, n. 25043. Il dovere di diligenza del lavoratore subordinato si riferisce anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare il rapporto obbligatorio di durata e si estende ai comportamenti necessari per rendere possibile l’effettiva utilizzazione della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 11 dicembre 2015, n. 25043 Svolgimento del processo La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 6588 del 2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vigevano, rigettava l’impugnativa proposta da D.R. avverso il licenziamento intimatogli dal datore di lavoro Axitea s.p.a. a causa dell’assenza ingiustificata...