Cassazione10

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 11 dicembre 2015, n. 25063

Premesso in fatto

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
<< 1.- I ricorrenti indicati in epigrafe appellarono la sentenza del Giudice di Pace di Marigliano, con la quale era stata accolta la domanda di risarcimento dei danni causati dallo scontro di veicoli, lamentando l’errata liquidazione dei danni subiti dal veicolo del proprio dante causa, il mancato riconoscimento degli interessi ex art. 1224 cod. civ., il mancato riconoscimento dei danno da c.d. fermo tecnico del veicolo, la non corretta liquidazione delle spese di lite.
Si costituì l’Axa Assicurazioni s.p.a., chiedendo il rigetto dell’appello.
1.1.- Il Tribunale ha accolto il secondo motivo, riconoscendo come dovuti gli interessi dal fatto illecito, e, per il resto, ha confermato la sentenza di primo grado, compensando tra le parti le spese dell’appello.
Il ricorso è proposto con un motivo. Gli intimati non si difendono.
2.- Con l’unico motivo di ricorso si deduce: « Violazione degli arti. 1223, 1226, 2043, 2054, 2056 e 2697 in relazione all’art. 360, comma 3 e 5, c.p.c.», al fine di censurare la statuizione di rigetto del motivo di appello concernente il mancato riconoscimento del danno da c.d. fermo tecnico.
1 ricorrenti espongono che il Tribunale ha seguito un orientamento giurisprudenziale oramai superato richiedendo la prova del danno e disattendendo perciò il più recente orientamento di legittimità, per il quale è possibile la liquidazione equitativa del danno stesso anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso cui esso era destinato.
Deducono che, non essendosi il Tribunale di Nola allineato a siffatto orientamento, malgrado vi fosse stata la possibilità di formarsi, sia pure in via presuntiva, un convincimento sufficiente circa la necessità e la durata del fermo tecnico del veicolo coinvolto nell’incidente «alla luce del preventivo e soprattutto delle foto dello stesso veicolo recante gli effetti del sinistro», la sentenza andrebbe cassata sul punto, con i provvedimenti consequenziali.
3.- Il motivo non merita di essere accolto.
In effetti è corretto il richiamo che i ricorrenti fanno all’orientamento di questa Corte per il quale «in tema di risarcimento del danno derivante da incidente stradale, con riferimento al cosiddetto danno da fermo tecnico subito dal proprietario dell’autovettura danneggiata a causa della impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione, è possibile la liquidazione equitativa di detto danno anche in assenza di prova specifica in ordine al medesimo, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato. L’autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore» (così già Cass. n. 23916106, nonché, tra le altre, di recente Cass. ord. n. 22687/13).
Tuttavia, va ribadito anche un altro principio fondamentale in tema di interpretazione ed applicazione dell’art. 1226 cod. civ., per il quale « l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 cod. proc. civ., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza» (così Cass. n. 10607110, ma cfr. anche Cass. ord. n. 27447/11, tra le altre).
Consegue alla combinazione dei due principi appena richiamati che è vero che il danno da c.d. fermo tecnico può essere presunto nella sua esistenza anche senza che sia necessario provare di aver dovuto sostituire il veicolo o di aver subito dei danni per la sua inutilizzabilità, potendo essere liquidato in via equitativa; tuttavia, spetta alla parte danneggiata che chiede il risarcimento allegare i dati di fatto necessari per la liquidazione, pur se equitativa, del quantum debeatur, specificamente l’importo della tassa di circolazione e dei premi di assicurazione pagati nel periodo di fermo del veicolo, oltre che la tipologia delle riparazioni e la durata di detto periodo (cfr., quanto alla rilevanza della durata del periodo di fermo, Cass. n. 9626113).
3.1.- Nel caso di specie, il Tribunale, ha dichiarato di seguire l’orientamento più restrittivo, superato da quello di cui sopra. Però, in punto di fatto, ha precisato come gli appellanti, odierni ricorrenti, non abbiano dimostrato «né di aver sostenuto spese od oneri per procurarsi un veicolo sostitutivo, né fornito elementi ulteriori (costi assicurativi, valore del mezzo per valutare il deprezzamento, costi tassa di circolazione) onde determinare la misura del pregiudizio di cui si reclama il ristoro». La conclusione è stata l’impossibilità di riconoscere il danno, anche in via equitativa.
Orbene, l’orientamento invocato dai ricorrenti, cui si intende dare continuità, consente di prescindere dalla prova di aver dovuto sostituire il veicolo, non anche, come detto, dalla allegazione delle spese fisse sostenute malgrado il fermo del veicolo e del valore di questo, onde fornire i parametri dei quali il giudice si possa avvalere per la determinazione dell’entità del pregiudizio, sia pure in via equitativa. Poiché risulta dalla sentenza che gli appellanti non hanno allegato gli elementi di fatto (costi assicurativi, valore del mezzo per valutare il deprezzamento, costi tassa di circolazione) a cui commisurare la determinazione equitativa del pregiudizio e poiché questo apprezzamento di
fatto non è stato nemmeno censurato, si propone il rigetto del ricorso. ».
La relazione è stata comunicata e notificata come per legge.

Ritenuto in diritto

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il Collegio, pur condividendo quanto esposto nella relazione in punto di onere della prova gravante in capo al danneggiato (cfr. Cass. ord. n. 15089/15), non può non rilevare come l’indirizzo interpretativo posto a fondamento del ricorso risulti confutato dalla più recente giurisprudenza di legittimità.
In particolare, questa Corte con la sentenza n. 20620/15 ha affermato che l’indisponibilità d’un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni è un danno che deve essere allegato e dimostrato; la prova del
danno non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve consistere nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero nella dimostrazione della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall’uso del mezzo.
In applicazione di tale ultimo principio, oltre che per le ragioni esposte nella relazione, il ricorso va rigettato.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese perché l’intimata non si è difesa.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R, n. 115 del 2002, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13

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