Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 14 marzo 2014, n. 12253 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente Dott. GENTILE Mario – Consigliere Dott. ACETO Aldo – Consigliere Dott. GENTILI Andrea – Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio...
Categoria: Diritto Penale e Procedura Penale
Corte di Cassazione, S.U.P., sentenza 14 marzo 2014, n. 12228. Il reato di cui all'articolo 317 c.p., come novellato dalla Legge n. 190 del 2012, e' designato dall'abuso costrittivo del pubblico ufficiale
Le massime 1) “il reato di cui all’articolo 317 c.p., come novellato dalla Legge n. 190 del 2012, e’ designato dall’abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o – piu’ di frequente – mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto,...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 17 marzo 2014, n. 12418. L’esimente ex art. 598 c.p. costituisce applicazione estensiva del più generale principio posto dall'art. 51 cp, in quanto riconducibile all'art. 24 Cost. e si fonda esclusivamente sul rapporto di strumentalità tra le frasi offensive e le tesi prospettate nell'ambito della controversia giudiziaria in corso, sicché non si richiede che le offese abbiano una base di veridicità o una particolare continenza espressiva (sez. 5 n. 6701 rv 234008 8.2.06). Per l'applicazione della cosiddetta immunità giudiziale non occorre che le offese siano in rapporto di giuridica necessità o utilità con l'esercizio del diritto di difesa del soggetto che le ha scritte, bastando che le espressioni diffamatorie, anche se non rispondenti a verità o dettate da motivi personali di risentimento dell'offensore, siano in qualche modo collegate con la tesi difensiva delle parti in contesa e con l'oggetto della causa
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 17 marzo 2014, n. 12418 Fatto e diritto Con sentenza 5.3.2012, il tribunale di Bologna ha confermato la sentenza 23.2.2010 del giudice di pace della medesima sede, con la quale l’avvocato M.M. era stato condannato,per il reato di diffamazione in danno di S.S. , previa concessione delle attenuanti...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 17 marzo 2014, n. 12473. Sussiste la circostanza aggravante della destrezza (art. 625, comma primo, n. 4, cod. pen.), qualora la condotta di sottrazione e di impossessamento del bene si realizzi mediante approfittamento delle condizioni più favorevoli per cogliere l'attimo del momentaneo distacco del proprietario della cosa e, dunque, di una condizione di attenuata difesa, quale è quella di colui che la perda di vista, per una frazione di tempo, senza precludersi, tuttavia, il controllo e l'immediato ricongiungimento con essa; l'approfitta mento di questa frazione di tempo, in permanenza della vigilanza diretta e immediata della cosa, configura la condotta elusiva che il legislatore intende punire più gravemente, in quanto espressione di una particolare attitudine criminale del soggetto. Ne consegue che detta aggravante non ricorre nel caso in cui il derubato si trovi in altro luogo, ancorché contiguo, rispetto a quello in cui si sia consumata l'azione furtiva o comunque si sia allontanato da esso, in quanto in questo caso la condotta non è caratterizzata da particolare abilità dell'agente nell'eludere il controllo di cui sia consapevole, ma dalla semplice temerarietà di cogliere un'opportunità in assenza di detto controllo, il che è estraneo alla fattispecie dell'aggravante della destrezza
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 17 marzo 2014, n. 12473 Ritenuto in fatto 1. Per quanto ancora rileva, la Corte d’appello de L’Aquila ha confermato l’affermazione di responsabilità di C.R. in relazione al reato di cui agli artt. 624, 625, comma primo, n. 4 e 7, 61 n. 10, cod. pen., per avere...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 13 marzo 2014, n. 12021. Pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio, qualora si trovino davanti ad una condotta la cui riconducibilità ad una fattispecie di reato non è chiara, non possono essere condannati per omessa denuncia ai sensi dell'art. 361 c.p..
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 13 marzo 2014, n. 12021 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE ROBERTO Giovanni – Presidente Dott. CONTI Giovanni – Consigliere Dott. PAOLONI Giacomo – Consigliere Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere Dott. DE...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 17 marzo 2014, n. 12428. Annullata la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per materia in grado di appello in merito al reato di diffamazione, che era stato contestato per avere, quale dirigente dell'Istituto scolastico, offeso la reputazione dei genitori delle classi quinte elementari del suddetto istituto, inviando ai genitori una missiva, contenente le seguenti espressioni "agire subdolamente allo scopo di denigrare l'istituzione….persone pedagogicamente incompetenti" nonché attribuendo, con tecnica retorica ai destinatari, che avevano deciso di iscrivere in altro istituto i propri figli per la scuola media, la mancanza di oculatezza ed intelligenza (Genitori oculati ed intelligenti scelgono la scuola migliore del territorio)
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 17 marzo 2014, n. 12428 Fatto e diritto Con sentenza 17.2.2012, la corte di appello di Ancona, in riforma della sentenza 25.5.09 del tribunale di Macerata, sezione di Civitanova Marche, ha assolto F.F. dal reato di diffamazione, che era stato contestato per avere, quale dirigente dell’Istituto Raffaello Sanzio...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 11 marzo 2014, n. 11804. In tema di responsabilità medica le conseguenze penali per il medico possono essere escluse solo se sussiste colpa lieve, ovvero se la condotta sia stata corretta e virtuosa in osservanza delle linee guida o pratiche terapeutiche mediche accreditate dalla comunità scientifica. Ne consegue che risponde della morte del feto il ginecologo che non abbia tenuto in nessun conto gli allarmanti segnali di pericolo che, anche in seguito ad accertamenti strumentali, si andavano confermando, segnali ignorati o comunque non percepiti nella loro effettiva gravità
Suprema CORTE DI CASSAZIONE sezione V sentenza 11 marzo 2014, n. 11804 Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado, con la quale R.S. era stata condannata a pena di giustizia in quanto riconosciuta colpevole del reato di cui all’articolo...
Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 27 febbraio 2014, n. 9695. Il giudizio di alta probabilità logica non definisce il nesso causale in sé e per sé, ma piuttosto il criterio con il quale procedere all'accertamento probatorio di tale nesso, il quale, diversamente da quanto accade per l'accertamento di ogni altro elemento costitutivo del reato, deve consentire di fondare, all'esito di un completo e attento vaglio critico di tutti gli elementi disponibili, un convincimento sul punto, dotato di un elevato grado di credibilità razionale (nella specie si condannava un medico che, a causa di una errata manovra nei confronti di una donna durante il parto, aveva provocato un intempestivo distacco della placenta che "con un elevato grado di probabilità logica" non si sarebbe diversamente verificato qualora l'imputato non avesse esercitato una o più spinte sull'addome della partoriente, con la mano prima e con il braccio poi, sebbene non risultasse che la testa del bambino avesse già impegnato il canale del parto, e dunque in un momento in cui quella manovra non era consigliabile).
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE IV SENTENZA 27 febbraio 2014, n. 9695 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18/10/2012 la Corte d’Appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva, per insussistenza del fatto, S.A. dal delitto p. e p. dagli artt. 590, commi 1 e 2, e 583, comma 2 n....
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 14 marzo 2014, n. 12286. E' illegittimo il provvedimento disciplinare deliberato dal consiglio di disciplina di istituto penitenziario nei confronti di detenuto per avere egli opposto il rifiuto a perquisizione personale mediante denudamento con flessioni sulle gambe prima di recarsi a colloquio con il difensore senza vetro divisorio, allorché sia motivato non con l'allegazione di effettive e specifiche esigenze di sicurezza interna, ma con il riferimento esclusivo all'astratta previsione regolamentare, in tal modo ritenendo automaticamente imponibile una forma di controllo che, per la sua grave invasività, va adottata solo in circostanze che ne facciano ritenere ineluttabile l'adozione
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 14 marzo 2014, n. 12286 Rilevato in fatto Con ordinanza in data 25.10.2012 il Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia accoglieva il reclamo di D.G.A. per il fatto di essere sottoposto a perquisizione con denudamento in occasione del termine di tutti i colloqui con i familiari. Il Magistrato...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 13 marzo 2014, n. 12179. Ai fini dell'integrazione dell’esimente della provocazione,
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 13 marzo 2014, n. 12179 Ritenuto in fatto P.A. , unitamente al proprio difensore, ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei suoi confronti il 21/07/2010 dal Giudice di pace di Milano; il prevenuto era stato inizialmente accusato di avere offeso l’onore...