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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 17 marzo 2014, n. 12473

Ritenuto in fatto

1. Per quanto ancora rileva, la Corte d’appello de L’Aquila ha confermato l’affermazione di responsabilità di C.R. in relazione al reato di cui agli artt. 624, 625, comma primo, n. 4 e 7, 61 n. 10, cod. pen., per avere sottratto, all’interno di un’aula del Tribunale di Pescara, un pc notebook, una sim postkey, una chiavetta H3, una borsa portacomputer e tre cd, detenuti da un’operatrice di società incaricata del servizio di fonoregistrazione delle udienze.
La Corte territoriale ha, in particolare, considerato che l’imputato, come documentato dalle immagini del sistema di sorveglianza, era entrato nel Palazzo di giustizia alle 13,48, senza alcuna borsa al seguito, tra le 13,57 e le 14,10 era stato ripreso nel corridoio antistante alle aule di udienza, sempre senza borsa, e, infine, alle 14,13 era stato ripreso mentre usciva da un’aula con una borsa porta computer a tracolla e si dirigeva verso l’uscita della struttura. Alla stregua di tale premessa, la Corte d’appello ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante della destrezza, in quanto l’imputato aveva approfittato della momentanea assenza della operatrice, allontanatasi intorno alle 14,00 per recarsi in altra aula, per introdursi con sveltezza e abilità nell’aula d’udienza, eludendo la vigilanza degli addetti al controllo della struttura giudiziaria.
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, con il quale si lamenta erronea applicazione dell’art. 625, comma primo, n. 4, cod. pen., per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza dell’aggravante della destrezza.
In particolare, si rileva che il R. era semplicemente entrato attraverso una porta aperta in un ambiente accessibile a tutti, senza manifestare alcuna sveltezza o abilità e senza eludere alcuna vigilanza, dal momento che non risultava in alcun modo che l’aula fosse in quel momento sottoposto al controllo di terzi. Si aggiunge in ricorso che l’assenza dell’operatrice era durata venti minuti, talché non poteva neanche ritenersi che l’agente avesse approfittato di una momentanea e breve mancanza del detentore per agire in modo repentino.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.
Sussiste la circostanza aggravante della destrezza (art. 625, comma primo, n. 4, cod. pen.), qualora la condotta di sottrazione e di impossessamento del bene si realizzi mediante approfittamento delle condizioni più favorevoli per cogliere l’attimo del momentaneo distacco del proprietario della cosa e, dunque, di una condizione di attenuata difesa, quale è quella di colui che la perda di vista, per una frazione di tempo, senza precludersi, tuttavia, il controllo e l’immediato ricongiungimento con essa; l’approfitta mento di questa frazione di tempo, in permanenza della vigilanza diretta e immediata della cosa, configura la condotta elusiva che il legislatore intende punire più gravemente, in quanto espressione di una particolare attitudine criminale del soggetto. Ne consegue che detta aggravante non ricorre nel caso in cui il derubato si trovi in altro luogo, ancorché contiguo, rispetto a quello in cui si sia consumata l’azione furtiva o comunque si sia allontanato da esso, in quanto in questo caso la condotta non è caratterizzata da particolare abilità dell’agente nell’eludere il controllo di cui sia consapevole, ma dalla semplice temerarietà di cogliere un’opportunità in assenza di detto controllo, il che è estraneo alla fattispecie dell’aggravante della destrezza (Sez. 5, n. 11079 del 22/12/2009 – dep. 23/03/2010, Bonucci, Rv. 246888).
Nella specie, mancando alcun riferimento ad elementi processuali dai quali desumere l’esistenza di un’attuale vigilanza sui locali nei quali il furto è avvenuto, deve solo rilevarsi che, per effetto dell’assenza dell’operatrice, l’imputato si è limitato ad introdursi nei locali, approfittando della particolare situazione, ma senza mostrare quella necessaria destrezza nell’eludere il controllo della detentrice, che rappresenta il fondamento sostanziale dell’aggravante contestata.
Ne segue che la sentenza va annullata, limitatamente alla ritenuta sussistenza di tale aggravante, con rinvio alla Corte d’appello di Perugia per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
2. Occorre, peraltro, ribadire che, attenendo l’accoglimento dei ricorso a profili relativi al trattamento sanzionatorio, il rinvio disposto rende comunque irretrattabile l’accertamento della responsabilità, per il principio di formazione progressiva del giudicato, con conseguente inoperatività dell’istituto della prescrizione (al riguardo, v. Sez. 3, n. 15472 del 20/02/2004, Ragusa, Rv. 228499).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta aggravante della destrezza e rinvia per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio alla Corte d’appello di Perugia.

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