nascituro

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro
sentenza 3 marzo 2014, n. 4919

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido – Presidente
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere
Dott. LORITO Matilde – Consigliere
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6675/2011 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L. c.f. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 328/2010 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 15/04/2010 R.G.N. 97/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 15.4.2010, la Corte di appello di Bologna respingeva il gravame proposto dalla s.r.l. (OMISSIS) avverso la decisione del Tribunale di Reggio Emilia che aveva accolto la domanda proposta da (OMISSIS), intesa ad ottenere il pagamento dell’indennita’ sostitutiva del preavviso di cui al Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 55, con regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale, in seguito alle dimissioni rassegnate il 12.11.2003, in periodo di operativita’ del divieto di licenziamento Decreto Legislativo n. 151 del 2001, ex articolo 54, conseguente a parto gemellare avvenuto in data (OMISSIS).
Osservava la Corte del merito che il testo della norma era estremamente chiaro nel senso di subordinare il diritto alle indennita’ previste da disposizioni di legge unicamente al fatto delle dimissioni rassegnate nel corso del periodo in cui era previsto il divieto di licenziamento, senza richiedere l’esistenza di ulteriori condizioni. L’asserito carattere non innovativo del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, che si sarebbe limitato a coordinare varie disposizioni legislative vigenti in materia non era condivisibile, atteso che, al contrario, con tale decreto si era inteso rafforzare la tutela prevista nel caso di dimissioni in periodo di gravidanza della lavoratrice e nel periodo successivo al parto. La tutela era stata, invero, estesa anche al lavoratore che avesse fruito del congedo di paternita’ ed ai casi di adozione e di affidamento, senza considerare che l’articolo 55 del Decreto citato condizionava espressamente la risoluzione del rapporto alla convalida delle dimissioni da parte del servizio ispettivo del Ministero del Lavoro e che la norma prevedeva espressamente che il lavoratore o lavoratrice non fossero tenuti al preavviso. La norma si basava sulla presunzione che le dimissioni nel periodo di divieto non fossero da ritenere frutto di una libera e volontaria scelta, ma coartate dalle esigenze di allevare la prole. La sentenza della S. C. n. 10994/00 richiamata dall’appellante societa’ era, poi, rimasta isolata nel panorama giurisprudenziale che non attribuiva alcun valore ai motivi delle dimissioni e non subordinava il diritto ad accertamenti ulteriori. Riteneva il giudice del gravame che, a maggior ragione, l’orientamento contrario a quello sostenuto nella suddetta pronunzia di legittimita’ doveva essere ribadito e confermato nella vigenza della nuova normativa, alla luce dell’univoco tenore della norma e della considerazione che, se il legislatore avesse voluto accogliere le diverse conclusioni di cui alla sentenza sopra citata, avrebbe indubbiamente provveduto ad una diversa formulazione dell’articolo 55, esplicitando i limiti e le condizioni di operativita’ del principio di equiparazione delle dimissioni al licenziamento. La ratio di rafforzamento della tutela della lavoratrice madre – chiaramente evincibile dal testo normativo – non appariva compatibile con quanto affermato nel motivo di gravame, che finiva col sottoporre a condizioni e limiti (prova da parte del datore che la lavoratrice senza intervallo di tempo avesse iniziato un nuovo lavoro dopo le dimissioni e prova, da parte della lavoratrice, che il nuovo lavoro fosse per lei meno vantaggioso sul piano patrimoniale e non patrimoniale). Neanche il richiamo alla contrattazione collettiva – articolo 104 c.c.n.l. commercio 20.9.1999, ribadito da articolo 180 c.c.n.l. commercio 2.7.2004 – poteva, poi, rilevare ai fini considerati dall’appellante, atteso che la norma contrattuale aveva ribadito il diritto alla indennita’ sostitutiva senza limiti o condizioni di sorta, subordinando il diritto alla mera presentazione delle dimissioni nel citato arco temporale.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la societa’, con unico motivo di impugnazione. Resiste la (OMISSIS), con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La ricorrente denunzia violazione dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 55, con riferimento all’articolo 3 Cost., comma 2, ed all’articolo 41 Cost., ed in relazione all’articolo 104 c.c.n.l. commercio 20.9.1999, osservando che l’estensione della tutela in materia di dimissioni anche al padre lavoratore ed ai casi di adozione ed affidamento non rafforza la tutela, ma prevede una estensione della stessa, e che il Decreto Legislativo n. 151 del 2001, rappresenta l’esito di una evoluzione legislativa che ha esteso al padre lavoratore ed ai genitori adottivi i diritti, in precedenza spettanti solo alla madre, a protezione preminente degli interessi della prole, in conformita’ alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, intesa a porre su un piano di parita’ ed uguaglianza tutti i genitori. Anche la previsione della necessita’ di convalida delle dimissioni da parte del servizio ispettivo del Ministero Lavoro e’ da ritenere, secondo la ricorrente, strumento finalizzato alla verifica della volontarieta’, autenticita’ e spontaneita’ del recesso della prestatrice di lavoro rispetto alla presunzione di non spontaneita’ del recesso stesso, sicche’ tale imposizione di verifica esterna non puo’ essere considerata come rafforzamento della presunzione di non spontaneita’, ma come dimostrazione del carattere relativo della presunzione stessa, con valorizzazione dei motivi delle dimissioni, che possono essere dovute anche alla maggiore convenienza di passare ad altro impiego. La relativita’ della presunzione di non spontaneita’ delle dimissioni comporta la possibilita’ di provare la spontaneita’ e l’autenticita’ delle stesse, onde l’indennita’ di preavviso non e’ dovuta se il datore provi che la lavoratrice abbia, dopo le dimissioni, iniziato subito un nuovo lavoro e la stessa lavoratrice non provi che questo e’ piu’ svantaggioso del precedente sul piano patrimoniale o non patrimoniale. Richiama la pronunzia della Cassazione n. 10994 del 2000 e le ragioni addotte dalla stessa per affermare la relativita’ della presunzione di non spontaneita’ delle dimissioni, desumibile anche dalla verifica da parte del servizio ispettivo del Ministero, che sarebbe incompatibile con l’assolutezza della presunzione. Peraltro, neanche la prova a carico del datore di lavoro, richiesta in base all’interpretazione fornita da tale pronuncia, sarebbe di estrema difficolta’, riguardando fatti oggettivi, analogamente a quella posta a carico della lavoratrice. Neppure, infine, l’argomento della mancanza di obbligo di preavviso da parte del lavoratore sarebbe idoneo a sostenere la tesi di cui alla sentenza della Corte di Bologna, atteso che la Legge n. 1204 del 1971, articolo 12, non prevedeva l’opzione, consentita, invece, dal Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 55, che consente alla lavoratrice di scegliere se prestare o meno il preavviso lavorativo, con la conseguenza che, in caso di opzione di prestazione dello stesso e di percezione della relativa retribuzione, viene meno il diritto alla percezione (indiscriminata ed incondizionata) dell’indennita’ sostitutiva. Nella fattispecie era stata, peraltro, la stessa lavoratrice a dichiarare ad un pubblico ufficiale che la ragione delle dimissioni era connessa all’inizio di una nuova attivita’ lavorativa, con cio’ cessando la necessita’ di particolare tutela della lavoratrice madre.
In subordine, la ricorrente chiede, ai sensi dell’articolo 374 c.p.c., comma 2, la rimessione alle S. U. della Cassazione sulla questione gia’ decisa in senso difforme dalle sezioni semplici.
Va, preliminarmente disattesa l’eccezione di tardivita’ del ricorso, sollevata dalla resistente sul rilievo dell’applicabilita’ del termine semestrale del ricorso per cassazione, posto che la norma che introduce tale termine, contenuta nella Legge n. 69 del 2009, articolo 46, comma 17, che ha abbreviato in sei mesi il termine di proposizione delle impugnazioni ex articolo 327 c.p.c., trova applicazione, ai sensi dell’articolo 58, comma 1, della stessa legge, ai soli giudizi iniziati dopo il 4 luglio 2009. Nella specie, va, pertanto, affermata la tempestivita’ del ricorso per cassazione, notificato nel precedente termine annuale, trattandosi di giudizio che aveva avuto inizio nel 2004 ed era proseguito in appello nel 2006 (cfr. Cass., 5 ottobre 2012, n. 17060; Cass., 17 aprile 2012, n. 6007, Cass., 21 giugno 2013, n. 15741).
Il ricorso e’ infondato.
La norma di cui al Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, articolo 55, prevede che “in caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui e’ previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennita’ previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento”. Dopo avere precisato che la disposizione si applica anche al padre lavoratore ed ai casi di adozione e di affidamento, la norma prosegue prescrivendo che la richiesta di dimissioni deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio e prevede che “a detta convalida e’ condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro”. Al comma 5, e’, poi, previsto che, nel caso di dimissioni presentate nel periodo indicato, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso.
Ritiene la ricorrente che la norma non abbia un contenuto innovativo rispetto alla precedente previsione di cui alla Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articolo 12, essendosi limitata soltanto ad estendere al padre lavoratore ed ai casi di affidamento e di adozione le medesime tutele, deponendo, invece, nel senso dell’introduzione di deroghe al principio dell’assolutezza della presunzione di non spontaneita’ delle dimissioni presentate in periodo di divieto di licenziamento sia l’articolo 55, comma 4, sia il successivo comma 5.
Viene sottolineato che la verifica del servizio ispettivo del Ministero non possa essere considerata come uno strumento di rafforzamento della presunzione di non spontaneita’, ma piuttosto una dimostrazione del carattere relativo della presunzione, che puo’ essere superata attraverso la prova della spontaneita’ e dell’autenticita’ delle stesse, con la conseguenza che l’indennita’ di preavviso non e’ dovuta ove il datore provi che la lavoratrice abbia, dopo le dimissioni, iniziato subito un nuovo lavoro e la stessa lavoratrice non provi che quest’ultimo e’ piu’ svantaggioso del precedente, sia sul piano patrimoniale che su quello non patrimoniale.
A tali considerazioni aggiunge che ulteriore avallo alla validita’ di una tale impostazione deriva dalla previsione della mancanza di obbligo di preavviso da parte del lavoratore, previsione che non trovava riscontro nella precedente normativa di legge.
Osserva il collegio che la struttura della norma, nella sua articolazione, consente di ravvisare una volonta’ del legislatore diversa da quella ora prospettata, in quanto, la disposizione di cui all’articolo 55, comma 1, Decreto Legislativo citato e’ perentoria nello stabilire che, in caso di dimissioni volontarie durante il periodo per cui e’ previsto il divieto di licenziamento, competono le indennita’ previste per il caso di licenziamento e l’obbligo di corresponsione di tali indennita’ viene esteso dai successivi due commi ai casi del lavoratore padre che abbia fruito del congedo di paternita’ e nei casi di adozione e di affidamento, nei limiti in tale ultimo caso, di un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
Cio’ che risulta, invece, di carattere innovativo e’ la previsione dell’obbligo di convalida della dimissioni presentate nei periodi indicati dal comma 4 da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio, previsione seguita dalla specificazione che “a detta convalida e’ condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro”.
Quest’ultima precisazione consente di ritenere che il comma 1, stabilisca la inderogabilita’ dell’obbligo di corrispondere le indennita’ ivi previste, in ogni caso, laddove il comma 4, prevede, ove intervenga la convalida delle dimissioni presentate da parte della lavoratrice o da parte dei soggetti destinatari della estensione di tutela, che possano ritenersi efficaci a fini risolutori del rapporto le dimissioni cosi’ presentate. In sostanza, mentre non trova deroga il principio della presunzione di non spontaneita’ delle dimissioni che, seppur volontariamente rassegnate, si ritengono dettate da ragioni collegate alla specifica situazione che induce a privilegiare esigenze di tutela della prole rispetto alla stabilita’ dell’occupazione lavorativa, la volontarieta’ delle stesse, accertata dal servizio ispettivo competente, e’ idonea a determinare la risoluzione del rapporto, che, diversamente, non potrebbe verificarsi.
Ne’ rileva ai fini di quanto sostenuto dalla societa’, che il Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 55, comma 5, cit. preveda la mancanza di obbligo di preavviso da parte della lavoratrice o del lavoratore in caso di dimissioni. Tale esonero e’, invero, un ulteriore elemento a conforto del carattere assoluto della presunzione di non spontaneita’ delle dimissioni rassegnate nel periodo di divieto, poiche’ denota l’intenzione del legislatore di tutelare in modo ancora piu’ netto il lavoratore che si trovi in un periodo di particolare disagio rispetto alla prosecuzione della precedente occupazione lavorativa.
Deve, dunque, anche con riferimento all’interpretazione del primo comma dell’ari 55 della nuova normativa, darsi continuita’ all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale non puo’ attribuirsi rilevanza al motivo delle dimissioni presentate in periodo di divieto di licenziamento anche nell’ipotesi in cui le stesse risultino preordinate all’assunzione della lavoratrice (ed ora anche dei soggetti alla stessa equiparati) alle dipendenze di altro datore di lavoro (cfr. Cass., 22 ottobre 1991, n. 11164; Cass., 24 agosto 1995, n. 8970). Tale orientamento, riferito alla interpretazione della Legge n. 1204 del 1971, articolo 12, si fondava sul rilievo che la norma, nell’attribuire alla lavoratrice il diritto alle indennita’ previste da disposizioni di legge o contrattuali per il caso di licenziamento, non prevedeva altra condizione che quella che le “dimissioni volontarie” fossero state presentate “durante il periodo in cui e’ previsto, a norma del procedente articolo 2, il divieto di licenziamento”. In base a tale considerazione veniva esclusa la necessita’ (e la legittimita’) dell’indagine volta ad accertare i motivi che potessero avere indotto la donna a dimettersi, nonche’ a valutare di volta in volta se l’abbandono del posto di lavoro fosse, oppure no, giustificato dall’esigenza di dedicarsi alle cure del bambino. Veniva, poi, ritenuto decisivo, in ogni caso, il rilievo dell’impossibilita’ di introdurre in sede interpretativa, condizioni e limiti che non risultassero neppure implicitamente dal precetto normativo e rilevato che anche il cambio dell’occupazione, dopo la nascita del figlio, poteva essere determinato o influenzato proprio dall’esigenza di rendere compatibile l’espletamento dell’attivita’ lavorativa con l’assolvimento dei doveri materni, ove il nuovo impiego, per una serie di favorevoli fattori, meglio consentisse di provvedere alla cura ed ai bisogni del bambino (cfr, Cass. 11164/91 cit.).
Non puo’, invece, condividersi, in relazione – come gia’ precisato – all’interpretazione di norma successivamente emanata (Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 55), l’impostazione seguita dalla decisione di questa Corte del 19 agosto 2000 n. 10994, secondo la quale la presunzione di non completa spontaneita’ delle dimissioni non puo’ ritenersi operare in modo assoluto, per violazione del principio di ragionevolezza di una interpretazione che consenta l’imposizione indiscriminata di obblighi indennitari al datore di lavoro, introducendo la possibilita’ di prova da parte del datore di circostanze riferite all’inizio di un nuovo lavoro senza intervallo da parte della lavoratrice e la necessita’ di prova contraria, da parte di quest’ultima o di prova, di minore vantaggiosita’ della nuova occupazione. Ed invero, deve ribadirsi quanto sopra rilevato in merito alla presunzione di non spontaneita’ delle dimissioni presentate nel periodo considerato, che e’ concetto diverso da quello della volontarieta’ delle stesse, che, se accertata dal servizio ispettivo, incide, tuttavia, nel senso di rendere valido ed efficace il recesso ed e’ tale da condizionare il conseguente effetto risolutorio del rapporto.
La richiesta subordinata di rimessione della questione al Primo Presidente per l’eventuale pronunzia delle S. U. di questa Corte deve essere considerata assorbita, osservandosi che l’evidenziato contrasto tra le sezioni semplici si e’ verificato con riguardo alla interpretazione della precedente norma di cui alla Legge n. 1204 del 1971, articolo 12, e non in relazione all’interpretazione del Decreto Legislativo n. 151 del 2001, articolo 55, oggetto della presente controversia.
Conclusivamente, deve respingersi il ricorso, confermandosi il diritto della lavoratrice all’indennita’ di preavviso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della societa’ ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

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