www.studiodisa.it

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV

SENTENZA 27 febbraio 2014, n. 9695

Ritenuto in fatto

 1. Con sentenza del 18/10/2012 la Corte d’Appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva, per insussistenza del fatto, S.A. dal delitto p. e p. dagli artt. 590, commi 1 e 2, e 583, comma 2 n. 1, cod. pen., a lui ascritto per aver cagionato, per colpa medica consistita nella esecuzione di inappropriata manovra (c.d. manovra di Kristeller) sulla paziente C.F. durante il parto, il distacco intempestivo della placenta e le conseguenti gravissime lesioni riportate dal bambino: fatto avvenuto in (omissis) .
Premetteva la Corte doversi dare per acquisito, sulla scorta dell’istruttoria espletata nel giudizio di primo grado, che:
– le lesioni gravissime riportate dal bambino sono state direttamente causate da un distacco intempestivo di placenta;
– l’imputato ha effettivamente eseguito durante il parto la manovra suddetta, ha cioè esercitato una o più spinte sull’addome della partoriente con la mano prima e poi con il braccio sebbene non risultasse che la testa del bambino avesse già impegnato il canale del parto, e dunque in un momento in cui quella manovra non era consigliabile;
– la partoriente non presentava alcuno dei fattori di rischio individuati dalla letteratura medica come possibile causa, in alternativa ad eventi di natura traumatica, del distacco di placenta.
Ciò premesso i giudici d’appello osservavano tuttavia che tale ultima circostanza “determina che la probabilità che si verifichi un distacco intempestivo di placenta si attesta intorno allo 0,5%” e che pertanto “non potendo stabilirsi con un grado di certezza ma soltanto con un elevato grado di probabilità logica che, in difetto di esercizio della pressione sull’addome della partoriente da parte dell’imputato, il distacco di placenta non si sarebbe verificato, non può affermarsi al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità penale dell’imputato per il reato oggetto di contestazione”.
Pervenivano pertanto alla pronuncia assolutoria per la ritenuta mancanza di prova certa di un nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e le lesioni personali gravissime riportate dal bambino.
2. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione le parti civili, deducendo violazione di legge e mancanza e contraddittorietà della motivazione.
Deducono in sintesi che, con motivazione erronea e contraddittoria, la Corte d’Appello, pur avendo dato atto della mancanza nel caso concreto di ipotizzabili fattori causali alternativi associati al parto (quali ipertensione in gravidanza, pluriparità, pregresso parto cesareo, rottura prematura della membrana, trombofilia congenita o acquisita, etc.), ha omesso di individuare la condotta dell’imputato (ossia la pur accertata esecuzione di manovra di Kristeller) quale unico possibile antecedente causale dell’evento lesivo.
Rilevano che, a giustificazione del proprio convincimento sul punto, i giudici hanno fatto uso di una erronea nozione di nesso causale, contrastante con quella ormai acquisita in dottrina e giurisprudenza, in particolare a seguito della sentenza Franzese delle Sezioni Unite del 2002.

 Considerato in diritto

 3. Il ricorso si appalesa fondato e merita accoglimento nei sensi di cui in dispositivo.
Emerge evidente dai passaggi della motivazione sopra riportati l’errore concettuale in cui incorre la corte di merito e la conseguente contraddizione in termini rappresentata dall’esclusione del nesso causale che in realtà – proprio in forza degli elementi fattuali dati per certi nella stessa sentenza e dell’elevata probabilità logica assegnata al ragionamento che da essi per via induttiva consentiva di risalire alla spiegazione causale ipotizzata – risultava già implicitamente accertato.
È la stessa Corte d’Appello invero a evidenziare, peraltro del tutto correttamente alla stregua delle emergenze processuali di cui si da conto in motivazione, che i fatti accertati consentono di stabilire “con un elevato grado di probabilità logica” che “in difetto di esercizio della pressione sull’addome della partoriente da parte dell’imputato, il distacco di placenta non si sarebbe verificato”.
Ebbene la Corte non si è avveduta che proprio tale rilievo in sé implica l’accertamento del nesso causale tra condotta ed evento richiesto, ai sensi dell’art. 40 cod. pen., per l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, di tal che la successiva considerazione contenuta in sentenza secondo cui, su tali premesse, a tale affermazione non è possibile pervenire (nella pur certa sussistenza dell’elemento soggettivo: colpa medica ravvisabile nella esecuzione della descritta manovra in mancanza delle condizioni che soltanto l’avrebbero consentita), rappresenta nient’altro che una contraddizione in termini.
3.1. In proposito, è il caso di rammentare che, secondo i principi affermati nella sentenza Franzese (Sez. U, n. 30328 del 10/07/2002, Rv. 222138), al fine di stabilire la sussistenza del nesso di causalità, occorre un duplice controllo:
posta in premessa una spiegazione causale dell’evento sulla base di una legge statistica o universale di copertura sufficientemente valida e astrattamente applicabile al caso concreto, occorre successivamente verificare, attraverso un giudizio di alta probabilità logica, l’attendibilità, in concreto, della spiegazione causale così ipotizzata. Bisogna cioè verificare – sulla base delle evidenze processuali – che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione doverosa omessa o al contrario non compiuta la condotta commissiva assunta a causa dell’evento, esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non si sarebbe verificato, oppure sarebbe avvenuto molto dopo, o avrebbe comunque avuto minore intensità lesiva.
Appare chiaro pertanto che il giudizio di elevata probabilità logica non definisce il nesso causale in sé e per sé (che, sul piano sostanziale, resta invero legato alla rigorosa nozione dettata dalla teoria condizionalistica recepita nel nostro ordinamento dall’art. 40 cod. pen., sia pur temperata dai correttivi della c.d. causalità umana) ma piuttosto il criterio con il quale procedere all’accertamento probatorio di tale nesso causale, il quale (criterio), non diversamente da quanto accade per l’accertamento di ogni altro elemento costitutivo del reato, deve consentire di fondare, all’esito di un completo e attento vaglio critico di tutti gli elementi disponibili, un convincimento sul punto (positivo o negativo che sia) dotato di un elevato grado di credibilità razionale.
Per dirla secondo efficace definizione dottrinale “la probabilità logica alla quale è interessato il giudice non è quella del sapere nomologico utilizzato per la spiegazione del caso, bensì attiene ai profili inferenziali della verifica probatoria condotta in chiave induttiva, cioè alla luce delle emergenze del caso concreto”.
Per converso, e in ciò sta probabilmente l’equivoco in cui è incorsa la corte territoriale, ai fini della prova giudiziaria della causalità, decisivo non è il coefficiente percentuale più o meno elevato (vicino a 100 o a 90 o a 50, etc.) di probabilità frequentistica desumibile dalla legge di copertura utilizzata; ciò che conta è potere ragionevolmente confidare nel fatto che la legge statistica in questione trovi applicazione anche nel caso concreto oggetto di giudizio, stante l’alta probabilità logica che siano da escludere fattori causali alternativi, di tal che, in presenza di un elevato grado di credibilità razionale dell’ipotesi privilegiata, ben può ritenersi consentito per la spiegazione causale dell’evento fare impiego di leggi o criteri probabilistico – statistici con coefficienti percentuali anche medio – bassi; per contro, ove la valutazione degli elementi di prova acquisiti non consentano di assegnare – ad es. per l’impossibilità di escludere ragionevolmente nel caso concreto l’intervento di fattori causali diversi – un elevato grado di ‘ credibilità razionale alla spiegazione causale ipotizzata, quest’ultima non può essere affermata anche se riconducibile a leggi di copertura dotate di frequenza statistica tendenzialmente pari a 100.
L’errore della corte territoriale sta dunque nell’aver presupposto che il criterio di elevata probabilità logica, nel quale si sostanza il ragionamento induttivo inferenziale circa la sussistenza del nesso causale (e l’esclusione di altri ipotizzagli fattori) possa o debba esprimersi in termini percentuali e, correlativamente, l’aver riferito ad esso, intendendolo come fattore che osta alla credibilità razionale del risultato cui esso conduce, la percentuale di frequenza statistica assegnata ad altri fattori in astratto ipotizzabili (nel caso concreto la percentuale dello 0,5% che, in mancanza di alcuno dei fattori di rischio individuati dalla letteratura come possibile causa del distacco di placenta, quest’ultimo possa nondimeno verificarsi per cause naturali).
Ed invece, come è stato affermato in dottrina, la probabilità logica “ha come carattere fondamentale (quello) di non ricercare la determinazione quantitativa delle frequenze relative di classi di eventi, ma di razionalizzare l’incertezza relativa all’ipotesi su un fatto riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (o di prova) disponibili in relazione a quell’ipotesi”.
La probabilità logica, dunque, come criterio di giudizio per la ricostruzione del fatto nel caso concreto, è un concetto che non designa una frequenza statistica, ma piuttosto “un rapporto di conferma tra un’ipotesi e gli elementi che ne fondano l’attendibilità”.
Né può essere diversamente, posto che – come è stato sottolineato – mentre le leggi di copertura riguardano classi di dati, la certezza processuale richiesta si riferisce al caso concreto. Mentre dunque è spesso possibile disporre di un risultato statistico per la legge di copertura che si ritiene governare il fenomeno, è quasi sempre impossibile riferire questo dato al caso concreto da accertare perché la sua non riproducibilità ne fa un evento unico che non tollera inquadramenti statistici su base percentuale.
Insomma le percentuali statistiche possono valere a delimitare l’ambito di applicazione della legge scientifica e possono essere utili come punto di partenza per quanto riguarda l’applicazione della legge al caso concreto. Avendo peraltro esse un’efficacia esclusivamente prognostica, porle a base o a contenuto del ragionamento probatorio circa la sussistenza del nesso causale nel caso concreto rischia di trasformare tale giudizio in una valutazione ex ante, mentre la causalità va sempre accertata ex post con riferimento all’evento concretamente verificatosi.
Con riferimento invece al grado di inferenza probatoria richiesto a supporto del giudizio di fatto sulla spiegazione causale nel caso concreto “non è sensato cristallizzare in precise entità numeriche la probabilità esigibile: la valutazione va piuttosto fatta caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze concrete ed in particolare… considerando il numero e la consistenza delle assunzioni tacite contenute nelle premesse del ragionamento causale”.
Su tale piano probatorio-processuale “può solo richiedersi che il grado di conferma sia alto, o elevato”, senza che in ciò possa vedersi un vulnus del principio di legalità, “dovendo la stessa determinatezza delle fattispecie essere interpretata in rapporto al problema concreto da risolvere”.
Del resto, non è fuor di luogo rammentare che non ad altro può tendere un giudizio di verità o certezza processuale, restando invece fuori delle possibilità dell’esperienza umana – che è pur sempre una esperienza storica e relativa – l’obiettivo della certezza assoluta o verità materiale.
In proposito avvertiva oltre cinquant’anni fa autorevole dottrina che “la pretesa di conseguire una verità totale o assoluta… è fuori delle reali e concrete possibilità umane e può essere concepita o come realtà divina, oppure come estremo limite tendenziale, astratta creazione dell’intelletto o simbolo operativo (come l’infinito matematico). La verità alla quale l’uomo può aspirare e della quale vive, come verità umana, appunto, è di necessità parziale e (o) relativa, concretamente (storicamente) condizionata ed implica limitazioni e scelte, compiute più o meno coscientemente. E dentro tale limite si mantiene sia che si tratti di verità scientifica, empirica o storica”. Conseguentemente “nel campo dell’esperienza giuridica… non ha senso una verità che stia fuori dalle istituzioni giuridiche che la storia umana ha foggiate, e se codesta verità si qualifica giuridica, per essere collegata al tipo di esperienza a cui va riferita, non vuoi dire che si tratti di una (finta) verità, rispetto ad una (astratta) verità (vera), bensì dell’unica verità che si può (e si deve) aspirare a realizzare in quel campo di esperienza. Sulla base di queste considerazioni, è lecito affermare che i limiti posti all’indagine del giudice si traducono in metodi di ricerca (della verità), in altrettanti canoni e precetti tecnici di metodologia ermeneutica…”.
3.2. Alla luce delle considerazioni che precedono appare pertanto evidente come nella specie null’altro o nulla di più poteva pretendersi, per giungere alla conferma, con elevato grado di credibilità razionale, dell’ipotesi causale prospettata nel capo d’imputazione, se non proprio quel giudizio di elevata probabilità logica che la Corte d’appello ha chiaramente espresso e che pertanto di per sé ben poteva portare, a conferma peraltro della sentenza di primo grado, all’affermazione della responsabilità penale dell’imputato.
Né può dubitarsi che tale giudizio di elevato grado di probabilità logica non sia correttamente e coerentemente formato sulla base delle evidenze probatorie che la stessa Corte d’appello pur non manca di evidenziare, quale in particolare:
a) l’accertata genesi ipossica della encefalopatia neonatale che ha colpito il piccolo nato nelle condizioni descritte;
b) l’accertata errata adozione di manovra ostetrica (manovra di Kristeller) in condizioni che non la consentivano, nel senso appunto di renderla estremamente pericolosa per il bambino (in ciò come detto dovendosi ravvisare in dubbio profilo di colpa medica consistita nella grave inosservanza di protocollo medico);
c) l’accertata mancanza di altri ipotizzabili fattori causali, associati alla gravidanza o al parto.
In tale contesto, essendo l’unico antecedente accertato dell’evento dannoso l’esecuzione della detta errata manovra ostetrica, in presenza di una legge di copertura che certamente la indica come idonea a cagionare l’evento in forza di una elevata probabilità statistica, una volta accertata la mancanza nel caso concreto di altri fattori causali noti nella letteratura e ragionevolmente ipotizzabili, congruo e logicamente persuasivo (ossia, per l’appunto, dotato di elevata probabilità logica) è il ragionamento che coordinando tali evidenze e rapportandole alla detta legge di copertura conduce al risultato dell’affermazione (della prova) della responsabilità penale dell’imputato: risultato al quale dunque si addice in tali condizioni il giudizio di elevato grado di credibilità razionale.
Il fatto che la letteratura scientifica dia conto dell’esistenza di una percentuale dello 0,5% di casi in cui il distacco di placenta si riscontri per cause naturali non meglio precisate, distinte dei fattori associati prima indicati (ed esclusi nel caso concreto), non assume rilievo sul piano del ragionamento probatorio e, dunque, della elevata probabilità logica (la quale resterebbe tale anche se mancasse tale dato statistico), ma semmai sul piano della valutazione della validità scientifica della legge indicata a copertura della ipotizzata spiegazione causale.
Appare evidente tuttavia che trattasi di un dato pressoché insignificante e certamente inidoneo a revocare in dubbio la teoria scientifica della spiegazione causale ipotizzata nella specie: ossia quella secondo cui l’evento dannoso sia da ricondurre causalmente alla errata manovra ostetrica, tanto più che non viene nemmeno precisato se il dato statistico (dello 0,5%) riferito a cause non meglio precisate si riferisca anche ad ipotesi in cui risultava eseguita la detta manovra ostetrica.
3.3. Fuori luogo è al riguardo il richiamo al principio dell’oltre il ragionevole dubbio.
Questo infatti segna il limite del ragionamento probatorio, non il requisito di validità della legge scientifica di copertura. Rappresenta nient’altro che, a contrario, la verifica del grado di probabilità logica attribuibile al ragionamento inferenziale con cui il giudice ricollega, sulla base delle prove raccolte, il fatto concreto alla ipotizzata spiegazione causale. Ed invero, intanto tale ragionamento può ritenersi dotato di elevato grado di probabilità logica ed in grado pertanto di supportare il convincimento della sussistenza del nesso causale con “elevato grado di credibilità razionale”, in quanto non permanga un “dubbio ragionevole” (ossia, non meramente congetturale) che l’evento possa essere stato determinato da una causa diversa.
Invocare pertanto il principio dell’oltre il ragionevole dubbio per determinare la validità della legge di copertura, significa confondere il piano processuale con quello sostanziale.
Né ad una diversa conclusione sul punto può indurre la modifica introdotta dall’art. 5 della legge 6 febbraio 2006, n. 46, mediante la sostituzione del comma 1 dell’art. 533 del codice di procedura penale con la disposizione secondo cui “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Secondo l’opinione prevalente in giurisprudenza, tale novella non ha avuto sul punto un reale contenuto innovativo, non avendo introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova, essendosi invece limitata a codificare un principio già desumibile dal sistema, in forza del quale il giudice può pronunciare sentenza di condanna solo quando non ha ragionevoli dubbi sulla responsabilità dell’imputato. La novella, dunque, non avrebbe inciso sulla funzione di controllo del giudice di legittimità che rimarrebbe limitata alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento, con l’impossibilità di procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza e dunque di adottare autonomamente nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (v., in tal senso, tra le ultime pronunce, Sez. 5, n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579, la quale ha precisato, in senso evidentemente conforme all’impostazione sopra accolta, che tale regola di giudizio impone al giudice di giungere alla condanna solo se è possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità; cfr. anche in tal senso Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Javad, Rv. 251507).
4. In accoglimento del ricorso, deve pertanto pervenirsi all’annullamento della sentenza impugnata.
Trattandosi tuttavia di ricorso della sola parte civile e quindi di controversia di natura esclusivamente risarcitoria, si impone il rinvio degli atti al competente giudice civile, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen..

 P.Q.M.

 Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *