contibuto - valore causa

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI
sentenza 13 marzo 2014, n. 12021

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE ROBERTO Giovanni – Presidente
Dott. CONTI Giovanni – Consigliere
Dott. PAOLONI Giacomo – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Firenze;
avverso la sentenza pronunciata il 30 gennaio 2013 dal Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Livorno nei confronti di:
(OMISSIS) e (OMISSIS);
Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
Udita nell’udienza in camera di consiglio la relazione fatta dal Presidente de Roberto;
Udite le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. SELVAGGI Eugenio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori degli imputati, avvocati (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS).
OSSERVA
1. (OMISSIS), Presidente della Provincia di (OMISSIS) e (OMISSIS), dirigente della ragioneria generale della stessa Provincia, venivano rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all’articolo 361 c.p., perche’, essendo a conoscenza in ragione del loro ufficio e nell’esercizio delle loro funzioni di pubblici ufficiali, del fatto che l’assessore (OMISSIS), avendo, per ragioni del suo ufficio la disponibilita’ di una chiavetta dati PMCIA ONDA PC CARO N50, con IMEI relativa alla scheda TIM con utenza (OMISSIS), aveva generato, con condotta costituente reato, un traffico di collegamenti abnorme del costo di 50 mila euro (interamente posto a carico della Provincia) per ragioni esclusivamente o prevalentemente estranee al servizio, concordavano di omettere di darne doverosa comunicazione all’autorita’ giudiziaria, limitandosi a convocare il (OMISSIS) e a richiedere semplicemente il rimborso del costo delle connessioni effettuate; omissione che reiteravano anche successivamente, quando il (OMISSIS) interrompeva deliberatamente il pagamento delle rate in favore dell’ente, avendo versato complessivamente circa 5.100 euro a fronte di un totale di circa 50 mila, limitandosi a quel punto ad effettuare la denuncia alla Corte di Conti.
La posizione del (OMISSIS) era stata separata avendo costui chiesto il giudizio abbreviato all’esito del quale veniva assolto dal delitto di peculato perche’ il fatto non sussiste.
Con sentenza 30 gennaio 2013 il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Livorno dichiarava non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati dal delitto di cui all’articolo 361 c.p., perche’ il fatto non sussiste.
Riferiva il Giudice per le indagini preliminari che, a seguito delle indagini espletate, era risultato un’esorbitante anomalia circa il traffico sul computer assegnato al (OMISSIS), (che, peraltro il (OMISSIS), ne aveva denunciato il furto), e che gli attuali imputati gli avevano imposto il pagamento delle somme dovute.
Successivamente, a seguito di consulenza tecnica della difesa, era risultato un utilizzo della chiavetta per connessione internet del tutto compatibile con l’attivita’ istituzionale per durata, entita’ di traffico e tipologia di connessione. La perizia informatica – disposta nel corso dell’udienza preliminare aveva, in proposito, confermato integralmente l’esito della consulenza di parte; in effetti, il costo derivante dalla connessione era la conseguenza della tariffa convenzionalmente, quanto inopinatamente, stipulata, vale a dire la tariffa MAXI TIM DATA PROFESSIONAL.
Scendendo alla valutazione della condotta addebitata al (OMISSIS) ed al (OMISSIS), il Giudice dell’udienza preliminare osserva come non fosse ipotizzabile qualsivoglia fattispecie di reato al momento in cui gli imputati vennero a conoscenza del fatto. Quando, poi, il (OMISSIS) cesso’ i versamenti, gli imputati si limitarono a fare rapporto alla Corte dei Conti. Il giudice per le indagini preliminari conclude che i soggetti ora imputati avevano disposto immediatamente accertamenti interni e la nomina di una commissione per l’analisi della documentazione al fine di chiarire la vicenda. Una procedura che si era rivelata necessaria e decisiva tanto che al termine del procedimento penale il (OMISSIS) era stato prosciolto perche’ il fatto non sussiste.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Firenze, deducendo difetto di motivazione ed erronea applicazione dell’articolo 361 c.p..
Si contesta, piu’ in particolare, che il pubblico ufficiale che abbia ricevuto una notizia di reato a causa e nell’esercizio delle sue funzioni, possa valutare l’effettiva sussistenza giuridica del reato, restandogli esclusivamente la verifica della probabilita’ della sussistenza del reato stesso; soltanto all’autorita’ giudiziaria compete, infatti, l’accertamento della notitia criminis. Nel caso di specie, in effetti, gli imputati, appresa l’enormita’ della spesa, avendo certamente apprezzato la probabilita’ dell’esistenza del reato, quanto meno, sotto il profilo del peculato d’ uso, erano tenuti ad informare del fatto l’autorita’ giudiziaria. Il successivo proscioglimento del (OMISSIS) perche’ il fatto non sussiste sarebbe del tutto irrilevante, non prevedendo l’articolo 361 c.p., come causa di punibilita’, l’intervenuta assoluzione dal reato di cui e’ stata omessa la denuncia.
3. In prossimita’ dell’odierna udienza in camera di consiglio i difensori hanno depositato memoria con la quale contestano le argomentazioni del Pubblico ministero ricorrente insistendo, piu’ in particolare, sulle circostanze che era subito stata disposta un’inchiesta interna, che era stata successivamente trasmessa un’informativa alla Corte di Conti, che il (OMISSIS) era stato assolto perche’ il fatto non sussiste dal reato presupposto, con conseguente inipotizzabilita’ di quello addebitato agli imputati; riferivano, poi, che costoro non vennero mai a conoscenza di un fatto costituente reato (nessuno aveva addebitato al (OMISSIS) di avere utilizzato l’utenza per scopi personali). Si trattava soltanto di un “dato grezzo” che doveva essere raffinato.
Il ricorso e’ infondato.
4. Occorre premettere che la fattispecie di reato contestata agli imputati va interpretata in consonanza con il disposto dell’articolo 331 c.p.p., comma 1, (un precetto collocato nel titolo 2 del libro 5 , intitolato, appunto, “Notizia di reato”) a norma del quale “i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche se non sia individuata la persona alla quale il reato e’ attribuito”; la norma in parola e’ collocata immediatamente dopo quella regolatrice del regime dell’acquisizione delle notizie di reato.
Cio’ non sta a significare che l’articolo 361 c.p. costituisca una norma in bianco. Il suo contenuto precettivo appare, infatti – pur nell’ampiezza delle soggettivita’ destinatarie del dovere la cui omissione e’ penalmente rilevante, oltre che per la “selezione oggettiva” delle fattispecie, ricavabile dalla necessita’ che del reato si abbia notizia in relazione alla funzione o al servizio -autosufficiente in quanto la detta norma punisce proprio la condotta del pubblico ufficiale il quale omette o ritarda di denunciare all’Autorita’ giudiziaria o ad altra Autorita’ un reato di cui ha avuto notizia a causa o nell’esercizio delle sue funzioni. E’ certo pero’ che la nozione di notizia di reato oggetto della previsione di cui all’articolo 331 c.p.p., comma 1, coincide con “il reato di cui” (il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio) “ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni”.
Il che consente altresi’ di trascurare – perche’ del tutto al di fuori della problematica riguardante l’articolo 361 c.p.p., – la diversa progressione procedimentale vigente all’epoca in cui e’ sorta la norma di diritto sostanziale non certamente condizionata dallo spostamento in avanti, nel sistema del codice del 1989, del momento di esercizio dell’azione penale. Pure se occorre rammentare che la notitia, quale elemento cognitivo, non costituisce un fatto processuale perche’ essa si forma al di fuori del procedimento, costituendo anche la condizione perche’ proprio la sequenza procedimentale possa venire in essere; il che si verifica proprio al momento in cui la notizia di reato viene iscritta nel registro previsto dall’articolo 335 c.p.p..
La necessaria procedimentalizzazione della notitia criminis, rilevabile dagli effetti che ad essa conseguono (basti pensare al dovere di iscrizione dal cui esercizio decorrono i termini per il compimento delle indagini preliminari) impone, dunque, di ravvisare in tale nozione la presenza di dati univoci (di precisione e di attendibilita’), non molto distanti dalla nozione di “probabilita’”, indicata – per l’insorgere del dovere penalmente sanzionato – proprio nel ricorso del Procuratore Generale.
5. Posta tale premessa, occorre verificare se al momento della conoscenza del fatto o al momento in cui gli imputati informarono delle irregolarita’ riscontrate si era in presenza di una notizia di reato a carico del (OMISSIS) che venne deliberatamente nascosta all’autorita’ giudiziaria o ad altra autorita’ che a questa abbia obbligo di riferire. Il che potrebbe comunque escludere nonostante qualche scelta interpretativa che parrebbe di segno contrario; v., ad esempio, Sez. 6 , 11 ottobre 1995, Gastaldi – proprio verificando le esigenze teleologiche alla base del precetto la cui violazione e’ addebitata agli imputati, la stessa perseguibilita’ del secondo momento ritenuto penalmente rilevante alla stregua dell’imputazione; un momento, peraltro, neppure preso in considerazione nel ricorso del Procuratore Generale.
La sentenza impugnata richiama un “quadro di incertezza e di verosimile dubbio da parte della Dirigenza circa la sussistenza e commissione di un reato da parte del (OMISSIS)” che non avrebbe reso doverosa l’immediata denuncia all’autorita’ giudiziaria; non senza evocare i disposti necessari accertamenti interni, la nomina di una commissione per l’analisi della documentazione e la definitiva chiarificazione della vicenda.
Nella sostanza, quindi, al di la’ del lessico talora non rigorosamente utilizzato dal giudice a quo – ad esempio, la dicotomia “certezza-incertezza” (su cui pare insistere il ricorso) appartiene piu’ precisamente quanto meno alla fase processuale, rilevando nel momento procedimentale la sola ipotetica (ma concreta) configurazione di un fatto costituente reato – la situazione che si presentava di fronte agli attuali imputati, non poteva definirsi una vera e propria notitia criminis ma esclusivamente la rappresentazione di un fatto (le descritte anomalie derivanti dall’uso del computer) che nella sua stessa obiettivita’ era insufficiente a delineare una fattispecie di reato, variegate profilandosi le ragioni dell’esorbitante entita’ degli accessi e delle relative conseguenze patrimoniali. In piu’, l’attivita’ spiegata per accertare le rilevate anomalie era presumibilmente funzionale – come pare desumersi, valicando la sommarieta’ argomentativa ed una certa cripticita’ che talora designano la sentenza impugnata – non soltanto a fugare ogni sospetto circa la criminosita’ dell’utilizzatore del computer ma anche alla “formazione” eventuale di una notitia criminis (un tema assolutamente non esplorato dalla giurisprudenza ma che riveste un sicuro valore designante nell’interpretazione teleologicamente orientata dell’articolo 361 c.p.). Del resto la quasi unanime dottrina (in fondo proprio per le ragioni sopra rammentate), pur (ovviamente) non richiedendo la certezza in ordine all’esistenza del reato oggetto della notizia, presuppone che questo si presenti nelle sue linee essenziali, in base ad elementi affidabili; e’ sufficiente, in altri termini, che il fatto abbia la parvenza della verita’; senza per nulla escludere che, soprattutto, nell’area di soggetti estranei a quelli tenuti ad acquisire la notizia di reato, questa possa formarsi progressivamente proprio in forza di piu’ puntuali approfondimenti che consentano al titolare dell’azione penale di dare inizio al procedimento attraverso l’iscrizione. Cio’ anche considerando che se la denuncia e’ funzionale all’inizio delle indagini da parte del pubblico ministero (l’effettivo destinatario della notitia) essa deve tendere al buon esito di tali indagini, con la necessita’, insita in quella che si e’ gia’ definita “selezione oggettiva”, di colmare quelle lacune che impediscono qualificare il fatto conosciuto come vera e propria notizia di reato.
6. Per i soggetti che non rivestano la qualita’ di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria non puo’ attribuirsi alcun potere di indagine in presenza della notitia, a meno che questa non consista nel semplice sospetto, legittimante – come e’ avvenuto nel caso di specie – un’indagine interna da cui ricavare eventualmente la notitia criminis.
Vero e’ che la notizia di reato, benche’ non definita dalla legge, rappresenta, secondo la communis opinio, un’informazione che sia in grado di richiamare la commissione di un reato, un fatto cioe’, corrispondente ad una fattispecie incriminatrice; resta, dunque, sempre da verificare perche’ sorga l’obbligo di denuncia, non soltanto la corrispondenza ma anche il grado di corrispondenza ricavabile dal fatto cosi’ come si presenta al soggetto tenuto al dovere di informazione.
Ne’ potrebbe correttamente sostenersi che una simile valutazione esula dai compiti del destinatario dell’obbligo di informazione perche’ presupposto del concretizzarsi di tale obbligo e’ proprio l’esistenza di una notizia di reato, secondo lo stesso canone che informa i doveri gravanti sull’autorita’ giudiziaria allorche’ l’informazione pervenga direttamente ad essa.
Da cio’ discende che, pur non occorrendo perche’ l’obbligo insorga per i soggetti indicati nell’articolo 331 c.p.p., comma 1, la certezza o anche il solo dubbio sull’esistenza di un reato, e’ necessario che sia profilabile una fattispecie obiettivamente riconducibile – pur in assenza di ogni giudizio di valore complementare (antigiuridicita’, dolo) – ad una ipotesi riconoscibile come fattispecie di reato.
In termini normativi la distinzione tra sospetto e indizio di reato (il secondo soltanto riconducibile alla nozione di notizia di reato) emerge con chiarezza dal raffronto tra l’articolo 116, e l’articolo 220, delle norme di attuazione: il primo richiama il “sospetto di reato” a proposito dell’accertamento della morte ai fini dell’eventuale autopsia (ma v. anche, quale deroga al principio per cui il mero sospetto non fa sorgere il dovere di denuncia, il Decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1990, n. 285, articolo 9, comma 3, a norma del quale “Quando si abbia il sospetto che la morte sia dovuta a reato, il medico settore deve sospendere le operazioni e dare immediata comunicazione all’autorita’ giudiziaria”); il secondo, impone nell’ipotesi in cui nel corso di attivita’ ispettive e di vigilanza emergano “indizi di reato” il dovere di assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’ altro per l’applicazione della legge penale osservando le disposizioni del codice di rito, dando per presupposta l’esistenza di una notizia di reato. Il che, del reato appare conforme – considerando che solo l’informazione che si sostanzi in una notizia di reato in grado di essere iscritta nel registro di cui all’articolo 335, deve essere trasmessa all’autorita’ giudiziaria – alla giurisprudenza di questa Corte, costante nel ritenere che la presenza di meri e generici sospetti non e’ sufficiente per disporre l’iscrizione nel registro degli indagati (v., da ultimo, Sez. 1 , 22 maggio 2013, Longo).
7. Interpretando i dati normativi or ora rammentati, pare evidente che la verifica circa il presupposto del dovere di denuncia richiede – come e’ stato rilevato in dottrina – l’apprensione di un elemento concreto costituente il momento piu’ significativo di una norma incriminatrice. Spingere piu’ avanti un simile argomento e’ reso possibile soltanto considerando la situazione di fatto quale si presenta di fronte al destinatario dell’obbligo (recte, del dovere). Ed a tale riguardo non puo’ prescindersi dalle diverse tipologie di reato e dallo specifico ruolo esponenziale che assumono i momenti di ciascuna fattispecie al fine di determinare il dato significante, il frammento di corrispondenza, individuabile sia nell’elemento oggettivo sia nell’elemento soggettivo. Pure considerando che nei reati ad evento naturalistico – come sarebbe quello nella specie non denunciato (ma solo ipotizzato alla stregua della imputazione) – e’ il momento oggettivo ad assumere valenza dirimente.
Non puo’ negarsi, dunque, al soggetto destinatario del dovere di denuncia, l’altrettanto significativo dovere di verifica per sondarne la sua capacita’ penalmente significativa, pure disponendo accertamenti di ordinamento particolare destinati ad eliminare ogni sospetto sull’esistenza di un reato, ma anche per progredire dalla mera informazione di un fatto non significante ad una verifica che, se positiva, si sostanziera’ nell’emergere di una notizia di reato la cui mancata denuncia integrera’ il delitto di cui all’articolo 361 c.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

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