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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 marzo 2015, n. 5424. Anche nell’ipotesi di invenzione cosiddetta «occasionale» (articolo 24 del Rd n. 1127/1939), la concessione del brevetto costituisce la condicio iuris cui è subordinato l’esercizio del diritto del lavoratore, autore dell’invenzione, al canone o al prezzo, non essendo sufficiente l’asserita utilizzazione di fatto dell’invenzione da parte del datore di lavoro

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 18 marzo 2015, n. 5424 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. STILE Paolo – Presidente Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere Dott. DORONZO...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 31 marzo 2015, n. 13798. Allorquando venga in rilievo l’attribuzione al dichiarante della qualità di indagato o di persona informata sui fatti

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 31 marzo 2015, n. 13798 Ritenuto in fatto 1. T.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, in data 13-6-2014,nella parte in cui è stata confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine, in primo luogo, al delitto di cui all’art....

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 1 aprile 2015, n. 13886. E’ legittima la c.d. “valutazione frazionata” delle dichiarazioni della persona offesa, quando la parte di tali dichiarazioni ritenuta non credibile presenti carattere di marginalità rispetto al nucleo essenziale del narrato

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 1 aprile 2015, n. 13886 Rilevato in fatto Con la sentenza impugnata fu confermato il giudizio di penale responsabilità di F.G. in ordine al reato di lesioni personali volontarie in danno della figlia F. D. per avere, secondo l’accusa, colpito quest’ultima al volto cagionandole “trauma cranico non commotivo,...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 1 aprile 2015, n. 13908. Integra il delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù colui che proceda alla vendita ad altri di un essere umano, atteso che, in tal modo, egli esercita sullo stesso un potere corrispondente al diritto di proprietà. Inoltre, anche volendo considerare la seconda ipotesi considerata dall’art. 600, comma primo, cod. pen., va ribadito che non è necessaria un’integrale negazione della libertà personale, ma è sufficiente una significativa compromissione della capacità di autodeterminazione della persona offesa, idonea a configurare lo stato di soggezione rilevante ai fini dell’integrazione della norma incriminatrice. Pertanto, lo stato di soggezione continuativa – richiesto dall’art. 600 cod. pen. – deve essere rapportato all’intensità del vulnus arrecato all’altrui libertà di autodeterminazione, nel senso che esso non può essere escluso qualora si verifichi una qualche limitata autonomia della vittima, tale da non intaccare il contenuto essenziale della posizione di supremazia del soggetto attivo del reato. Ne discende, pertanto, anche sotto tale profilo la sussistenza dei reato contestato, in quanto risponde del delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù colui che sfrutta la prostituzione della persona offesa eccedendo il normale rapporto di meretricio

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 1 aprile 2015, n. 13908 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 31710/2014, il Tribunale di Lecce ha rigettato la richiesta di riesame proposta, nell’interesse di G.A., nei confronti dell’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al delitto di cui all’art. 600 cod. pen....

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 10 marzo 2015, n. 10133. Ai fini del perfezionamento del reato di abuso d’ufficio, quale reato d’evento, è irrilevante l’adozione di atti amministrativi illegittimi da parte del pubblico ufficiale agente, essendo necessario il concreto verificarsi di un ingiusto vantaggio patrimoniale che il soggetto attivo procura a sé stesso o ad altri con propri atti, ovvero un danno ingiusto provocato a terzi dai medesimi atti

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE VI SENTENZA 10 marzo 2015, n. 10133 Ritenuto in fatto   1. Con sentenza del 19.11.2013 la Corte di appello di Perugia – a seguito di gravame interposto dall’imputato S.A. , rinunciante alla prescrizione, avverso la sentenza emessa il 27.4.2009 dal locale Tribunale – ha confermato detta sentenza con la...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 25 marzo 2015, n. 6025. Il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex art. 116 secondo comma c.p.c., di cosi elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda di accertamento della paternità. Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle dichiarazioni della madre e della portata delle difese del convenuto. Le dichiarazioni della madre vengono ad assumere un rilievo probatorio integrativo, ex art. 116 cod. proc. civ., quale elemento di fatto di cui non si può omettere l’apprezzamento ai fini della decisione, indipendentemente dalla qualità di parte o dalla formale posizione di terzietà della dichiarante, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 246 cod. proc. civ. 14.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I SENTENZA 25 marzo 2015, n. 6025 Fatto e diritto Rilevato che: 1. S.M. , nata a (omissis) da S.S. , ha proposto domanda di accertamento di paternità nei confronti degli eredi di F.F.P., nato il (omissis) e deceduto il (omissis). 2. Il Tribunale di Salerno, con sentenza del 7...