Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 31 marzo 2015, n. 13798

Ritenuto in fatto

1. T.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, in data 13-6-2014,nella parte in cui è stata confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine, in primo luogo, al delitto di cui all’art. 319 cp, in relazione alla promessa della somma di Euro 5000 per la gestione e l’approvazione di una pratica edilizia,presentata dal geometra To.Ma. e istruita dal T. , in qualità di geometra, funzionario del Comune di Ferrara, somma poi non consegnata a causa dell’arresto del T. . In (omissis) (capo R); in secondo luogo, in ordine al delitto di cui all’art. 318 cp, in relazione alla percezione della somma di Euro 750, corrispostagli da B.P.G. e materialmente versatagli da G.M. , per compiere un atto del suo ufficio, ossia per istruire, presso il Comune di Ferrara, una pratica che si concludeva con un parere tecnico positivo espresso dallo stesso T. , in data 15 giugno 2009 (capo T).
2. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in merito al rigetto, da parte della Corte d’appello, dell’istanza difensiva volta ad ottenere l’esame di To.Ma. , a seguito del mutamento del nomen iuris dall’originaria qualificazione giuridica ex art. 317 cp a quella ex art. 319 cp, peraltro operata senza instaurare un contraddittorio in ordine ad essa, come prescritto dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, con la nota sentenza Drassich, e senza che i testi siano mai stati sentiti rispetto all’eventuale reato di corruzione. Ad esempio, alla teste Bo.Ba. , impiegata del To. , non sono mai state poste domande su un eventuale patto corruttivo tra il suo datore di lavoro e l’imputato. D’altronde, se ab origine fosse stato contestato il reato di corruzione, il ricorrente non avrebbe mai optato per il rito abbreviato, precludendosi la possibilità di controesaminare il proprio coimputato To. , che non è dato neanche sapere se sia stato o meno sottoposto a processo o almeno indagato in relazione al reato di corruzione. Né la riqualificazione giuridica poteva considerarsi prevedibile, essendo già stata ritenuta dal giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione della misura interdittiva, perché il pubblico ministero aveva richiesto il rinvio a giudizio per il reato di concussione, onde l’imputato riteneva di doversi difendere esclusivamente in ordine a quest’ultima accusa.
2.1. Con il secondo motivo, si deduce violazione dell’art. 319 cp nonché vizio di motivazione in merito alla responsabilità, poiché l’atto d’ufficio che T. era chiamato a compiere era soltanto la verifica formale in ordine alla sussistenza della documentazione ed alla fattibilità dell’intervento mediante DIA, senza alcuna istruttoria di merito. L’imputato non aveva dunque alcun obbligo di accertare la non conformità dell’intervento al permesso di costruire. In ogni caso, se il rimprovero mosso a T. è quello di aver apposto il visto di ammissibilità sulla DIA in cambio della promessa di denaro, il reato commesso non sarebbe quello di cui all’art. 319 cp ma quello di cui all’art. 318 cp. Se invece si contesta al T. di non aver approfondito il sospetto di non conformità, in cambio della promessa di Euro 5000, deve escludersi l’esistenza di un accordo corruttivo, essendo l’atto contrario ai doveri d’ufficio oggetto soltanto di una promessa indeterminata, senza alcuna certezza tra le parti. Del resto, il T. nulla avrebbe potuto fare per evitare al To. i controlli di merito e l’eventuale diniego della dichiarazione di abitabilità e pertanto la predetta, indeterminata, promessa non poteva concretare alcun reato.
2.2.Con il terzo motivo, si rappresenta che To. , il quale è sempre stato sentito come testimone-vittima di concussione e mai come imputato di reato connesso, in quanto autore di corruzione, è del tutto inattendibile, avendo negato espressamente di aver avuto rapporti di lavoro con T. , affinché quest’ultimo realizzasse disegni tecnici per il Comune di Gabicce Mare, mentre la circostanza è pacificamente vera; ha narrato episodi delittuosi concernenti il costruttore Gr. in modo talmente falso da non dar luogo ad alcuna indagine; ha riferito che l’incontro con T. è avvenuto in data (omissis), laddove il parere favorevole alla DIA è del 20-2-2008; ha sempre riferito di essere stato vittima di concussione mentre i primi giudici lo hanno ritenuto soggetto attivo di corruzione. Egli ha calunniato il T. per ritorsione, poiché quest’ultimo gli aveva fatto presente che gli appartamenti autorizzabili erano 6 e non 12, come To. avrebbe voluto. È d’altronde inverosimile che l’imputato, per eliminare una prova di corruzione, da un lato, abbia portato a casa documenti in originale e, dall’altro, li abbia lasciati nel fascicolo, mentre avrebbe potuto cestinarli, senza che nessuno se ne accorgesse. Erroneamente poi i giudici hanno attribuito rilievo probatorio ai movimenti di danaro sul conto del T. e della moglie, laddove invece tutta l’istruttoria ha dimostrato che, come affermato anche da To. , l’imputato semplicemente svolgeva, al di fuori dell’orario di ufficio, l’attività di disegnatore per conto di professionisti privati.
2.3.L’ultimo motivo di ricorso investe invece l’addebito ex art. 318 cp, poiché G. , presunto latore del prezzo della corruzione a T. , è stato assolto. Del resto, il progetto è stato respinto, onde non si comprende per quale motivo un imprenditore esperto, come B.P. , avrebbe dovuto pagare il prezzo di una corruzione per vedersi poi rigettato il progetto. L’imputato ha sempre riferito di aver ricevuto l’assegno per la redazione di un disegno tecnico commissionatogli dal G. e da utilizzarsi per l’istanza di parere tecnico preventivo. È anche plausibile, sulla base di quanto dichiarato dall’architetto Ba. , che la somma rappresentasse il prezzo di una consulenza prestata dal T. , in vista dell’inoltro della pratica edilizia. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Il principio affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza 11-12-2007, n. 25575, Drassich c. Italia (in Cass. Pen 2008,1646), che ha ravvisato la sussistenza di una violazione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nella riqualificazione giuridica del fatto effettuata ex officio, senza aver dato all’imputato, in alcuna fase della procedura,la possibilità di esserne informato e di predisporre la più opportuna difesa, riguarda l’ipotesi in cui il titolo di reato ravvisato sia più grave e dunque l’imputato venga a subire conseguenze più sfavorevoli per effetto del mutamento del nomen iuris (Sez. VI, 15-5-12 n. 24631, rv. n. 253109). Solo in questa ipotesi occorre ritenere che il diritto al contraddittorio, investendo ogni profilo dell’accusa, vada assicurato, informando l’imputato e il suo difensore dell’eventualità di una qualificazione giuridica del fatto diversa da quella contestata (Cass., Sez. VI, 12-11-2008, n. 45807). Ma nel caso in disamina non occorreva alcuna contestazione, essendo stata attribuita al fatto una qualificazione giuridica meno grave (art. 319 cp) di quella enunciata nell’imputazione (art. 317 cp). Non trattandosi poi di mutamento del fatto contestato ma solo di attribuzione ad esso di un diverso nomen iuris, non vi era alcuna necessità di sentire nuovamente i testi, poiché la vicenda su cui essi avevano deposto, nella sua storicità, è rimasta sempre la stessa. D’altronde, la possibilità, in sede decisoria, di una riqualificazione giuridica del fatto è espressamente contemplata dal codice ed appartiene alla logica del sistema, informata al principio iura novit curia, operante appieno tanto in sede di giudizio abbreviato che di giudizio ordinario. È quindi del tutto fisiologico che l’opzione a favore di quest’ultimo comporti la rinuncia, in cambio di uno sconto di pena, all’esame o al controesame dei testi o degli imputati di reato connesso e ciò a prescindere dalla prevedibilità del mutamento del nomen iuris attribuito, in sentenza, alla fattispecie concreta in disamina. D’altronde, la prevedibilità costituisce categoria logica del tutto estranea alla problematica in disamina.

2.Per quanto attiene alle dichiarazioni del To. , occorre osservare come, ai sensi dell’art. 63, comma 1, cpp, esse, anche a seguito della riqualificazione giuridica operata dal giudice, rimangano utilizzabili nei confronti del T. .

Al riguardo, le Sezioni unite hanno infatti condivisibilmente ritenuto che, allorquando venga in rilievo l’attribuzione al dichiarante della qualità di indagato o di persona informata sui fatti, spetta al giudice il potere di verificare, in termini sostanziali – e quindi al di là del riscontro di indici formali 4 come l’intervenuta iscrizione sul registro notizie di reato- l’ascrivibilità allo stesso dell’una o dell’altra qualità e il relativo accertamento, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. Sez U. n. 15208 del 25-2-2010, Mills, rv. 246581). Così come si è chiarito che la sanzione di inutilizzabilità erga omnes postula che, a carico dell’interessato, siano già acquisiti, prima dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando, a tale proposito, eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante (Cass. Sez. U. n. 23868 del 23-4-2009, Fruci, Rv. 243416). L’inutilizzabilità assoluta, ai sensi dell’art. 63,comma 2, cpp, richiede quindi l’originaria esistenza, a carico dell’escusso, di precisi, anche se non gravi, indizi di reità, che non possono automaticamente inferirsi dal solo fatto che il dichiarante risulti essere stato, in qualche modo, coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti di carattere penale a suo carico. Occorre invece che le predette vicende, così come percepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali da indurre a ravvisare concretamente la sussistenza di elementi di spessore indiziante sufficiente ad attribuire al soggetto la qualità di indagato (Sez III n. 21747 del 26-4-05, rv. n. 231995; Sez VI, n. 28110 del 16-4-10, rv. n. 247773; Sez VI n. 4422/05 del 7-10-04, rv. n. 231446): ciò che, nella fattispecie concreta in disamina,non risulta accertato. Solo in tal caso, d’altronde, il soggetto può ritenersi irritualmente sentito come persona informata sui fatti, giacché avrebbe dovuto essere interrogato ab origine in qualità di imputato o di indagato e dunque le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate né contra se né contra alios. Se invece gli elementi di reità emergono soltanto nel corso dell’audizione o addirittura nelle ulteriori fasi dell’iter giudiziale, come nel caso in disamina, le dichiarazioni rese dal soggetto escusso, a norma dell’art. 63 comma 1 cpp, non sono utilizzabili contro quest’ultimo ma lo sono appieno nei confronti dei terzi.

3.Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento. L’imputazione è infatti chiara nell’addebitare all’imputato la promessa di un compenso “per la gestione e l’approvazione della pratica”. Il T. – precisa il giudice a quo – aveva infatti compiuto un accertamento di merito, laddove aveva convocato il To. per rilevare le irregolarità delle prime tavole allegate alla DIA e sollecitarlo a ridurre il numero degli appartamenti. Del resto, come dichiarato dallo stesso imputato, egli controllava che la variante rientrasse nella casistica che consente la sola DIA, sicché non è possibile affermare che, una volta presentato il progetto con gli otto appartamenti, il T. si spogliasse del relativo intervento di controllo. Dunque i due avevano espressamente affrontato il problema e l’intervento, dietro compenso, del T. era volto a compiacere al massimo le aspettative dell’imprenditore, cercando di trovare una formula (che il successivo tecnico, dr.ssa g. , avrebbe giudicato del tutto lacunosa) idonea a consentire l’approvazione del progetto, senza futuri ostacoli.

  1. Il terzo motivo di ricorso esula dal novero delle censure deducibili in sede di legittimità, collocandosi sul terreno del merito. Il giudice a quo, richiamando anche la motivazione della sentenza di primo grado, ha sottolineato come la versione del To. risulti sostanzialmente precisa, in particolare sulla tempistica, e lineare, descrivendo un contesto di facile verificabilità (le date delle telefonate; l’incontro con il T. ). Del resto, le dichiarazioni del To. – rileva la Corte d’appello – rappresentano solo una delle fonti di prova ma ve ne sono altre, orali e documentali, che confermano l’accusa. Fra le prove documentali è da segnalare la convocazione, in originale, con relativa notifica, della ditta Bata del To. , presso gli uffici del Comune di Ferrara, per chiarimenti in relazione ad una variante in corso d’opera: documentazione trovata nell’abitazione del T. , a seguito di perquisizione. In secondo luogo vi sono le risultanze degli accertamenti espletati dal tecnico istruttore, g.p. , che prese in carico la pratica dopo il T. e che riscontrò numerose irregolarità e lacune, osservando come il progetto non apparisse conforme alla concessione edilizia. La stessa conservazione riservata di tali atti-argomenta il giudice di secondo grado- appare volta a non far apparire nel fascicolo di ufficio che l’imputato si era messo in contatto con To. , non essendovi alcuna ragione perché l’imputato dovesse portarsi a casa documenti dell’ufficio. Anomalo anche il fatto di recarsi presso lo studio del privato, soggetto a controllo. Infine gli accertamenti bancari sui conti correnti riconducibili all’imputato e alla moglie, semplice impiegata, mostrano movimenti, in entrata, di somme di danaro,in contanti, del tutto anomale.

L’impianto argomentativo a sostegno del decisum si sostanzia in un apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie logiche e perciò del tutto idoneo a superare lo scrutinio di legittimità.

  1. Anche l’ultimo motivo di ricorso si colloca al di fuori dell’area della deducibilità nel giudizio di cassazione, involgendo profili di merito. Il giudice a quo ha rimarcato come il disegno asseritamente redatto dal T. non risulti affatto, così come del tutto astratte sono le ipotesi alternative prospettate dal ricorrente, il quale, peraltro, già durante la fase delle indagini preliminari, aveva offerto una versione, circa la provenienza del titolo, nebulosa e oggetto di successivi aggiustamenti, nel corso delle ulteriori audizioni. A fronte di ciò vi è il fatto oggettivo che il T. era istruttore della pratica e nel medesimo giorno, 15 giugno 2007, incassò il denaro e formulò, con tempismo quanto mai significativo, il proprio parere favorevole. Il fatto che successivamente la commissione edilizia abbia respinto il progetto non vale a confutare le prove a carico, avendo il T. fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità per l’avanzamento della pratica, senza poter immaginare l’inopinato parere contrario della commissione edilizia.

Trattasi, come si vede, di una motivazione precisa, fondata su specifiche risultanze processuali e del tutto idonea a illustrare l’itinerario concettuale esperito dal giudice di merito.

Il ricorso va dunque rigettato, poiché basato su motivi infondati, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

RIGETTA IL RICORSO E CONDANNA IL RICORRENTE AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI.

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