CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 18 marzo 2015, n. 5424

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STILE Paolo – Presidente

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26476-2012 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (STUDIO (OMISSIS) – (OMISSIS)), che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

(OMISSIS) S.R.L. c.f. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 390/2011 della CORTE D’APPELLO di LECCE sez. distaccata di Taranto, depositata il 15/11/2011 R.G.N. 149/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/12/2014 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. (OMISSIS) e’ stato dipendente della (OMISSIS) s.r.l. (d’ora in avanti (OMISSIS)) dal 1981 al giugno 1990 in qualita’ di addetto al settore vendite e, successivamente, ha lavorato come agente fino al 1997; nel 1988, pur non facendo parte del gruppo di ricerca della societa’, invento’ un prodotto sigillante per coperchi e porte della cokeria, al fine di impedire la fuoriuscita di gas e vapori; per tale invenzione la (OMISSIS) dell’Illinois deposito’ presso l’Ufficio Industria, Commercio e Artigianato di Roma la domanda di brevetto, indicando il (OMISSIS) e altro dipendente quali inventori. Alla data di cessazione del rapporto di lavoro subordinato e del successivo rapporto di agenzia, il (OMISSIS) propose al Tribunale di Taranto domanda diretta ad ottenere la condanna della convenuta al pagamento del compenso, o equo premio o prezzo, per l’invenzione realizzata, nella misura da determinarsi a mezzo di c.t.u..

1.1. Il Tribunale di Taranto rigetto’ la domanda e la decisione e’ stata confermata dalla Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, la quale, con la sentenza qui impugnata, depositata in data 15/11/2011, ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento del diritto vantato: in particolare, dopo aver qualificato l’invenzione come “occasionale” e ritenuto che, per tale tipo di invenzione (secondo la disciplina vigente pro tempore), il prezzo e’ dovuto solo dopo che il lavoratore ne abbia richiesto il brevetto, ha escluso il diritto in difetto di quest’ultima condizione.

1.2. Contro la sentenza, il (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, sostenuto da due motivi, cui resiste con controricorso la (OMISSIS) s.r.l. Entrambe le parti depositano memorie difensive ex articolo 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso, dopo l’indicazione del giudice adito e delle parti, prosegue con un breve riassunto dello svolgimento del processo, seguito da una parte intitolata “Motivi”, in cui sono concisamente riepilogate le questioni sostanziali della controversia. Ritiene pertanto il Collegio che, pur in assenza di una parte espressamente dedicata alla loro illustrazione, i fatti di causa sono chiaramente desumibili dal contenuto dell’atto: e tanto e’ sufficiente per escludere l’inammissibilita’ del ricorso per violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 3 (v. Cass., Sez. Un., 18 maggio 2006, n. 11653; Cass., 24 luglio 2007, n. 16315; Cass., 8 luglio 2014, n. 15478; v. pure Cass., Sez. Un. 22 maggio 2014, n. 11308, che connette l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione solo alla completa mancanza dell’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del provvedimento impugnato).

1.1. Deve anche respingersi l’eccezione proposta dalla controricorrente ai sensi dell’articolo 360 bis c.p.c., n. 1, -, applicabile ratione temporis, in quanto la sentenza e’ stata depositata il 15/11/2011, e quindi nel vigore della norma -, che sanziona con l’inammissibilita’ il ricorso per cassazione allorquando la sentenza impugnata abbia deciso questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimita’. Nel caso in esame, il ricorso non tende a rimettere in discussione principi ormai consolidati di questa Corte e richiamati dalle sentenze citate dalla societa’ controricorrente, bensi’ la riconducibilita’ della fattispecie concreta a quei principi, prospettando anche una diversa lettura delle norme e deducendo vizi di motivazione della sentenza impugnata.

1.2. E’poi infondata l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso fondata sul cumulo in un unico motivo delle censure di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, poiche’ in esso risultano comunque evidenziate la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (v. Cass., 23 aprile 2013, n.9793; Cass., Sez. Un., 31 marzo 2009, n. 7770).

1.3. Infine, e sempre in via preliminare, deve escludersi che costituisca causa di inammissibilita’ del ricorso la prospettazione delle censure sotto il paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, anziche’ sotto quello dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, previsto per gli errores in procedendo, allorche’ il motivo, come nel caso in esame e secondo quanto in seguito si dira’, contenga l’espresso riferimento all’omessa pronuncia sulle domande che si assumono proposte, anche in via alternativa o subordinata (Cass., 29 agosto 2013, n. 19882; Cass., Sez. Un, 24 luglio 2013, n. 17931).

2. Con il primo motivo il (OMISSIS) lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articoli 99, 414, 420, 112 e 437 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5.

2.1. Ritiene che erroneamente la corte territoriale ha ritenuto di qualificare la domanda come riferita esclusivamente alla fattispecie dell’invenzione occasionale, disciplinata dal Regio Decreto 29 giugno 1939, n. 1127, articolo 24 senza considerare il riferimento anche letterale al “premio” o “prezzo”, contenuto nelle conclusioni del ricorso ex articolo 414 c.p.c., termini che, invece, qualificano le diverse fattispecie previste dall’articolo 23 Regio Decreto citato, e senza altresi’ dare il dovuto rilievo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, anche in via alternativa o subordinata.

2.2. Aggiunge che l’aver considerato che le precisazioni fatte da esso ricorrente all’udienza del 19/12/2003 – intese a ricondurre l’invenzione alla categoria delle “invenzioni di azienda” – costituivano una mutatio libelli, violava i principi sull’identificazione della domanda, la quale – in quanto fondata su di un diritto cosiddetto autodeterminato – era insensibile ai mutamenti non incidenti sul fatto genetico, generatore del diritto, costituito dall’invenzione. Era pertanto censurabile l’omesso esame della domanda alla luce delle previsioni di cui al Regio Decreto n. 1127 del 1939, articolo 23, commi 1 e 2.

3. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del Regio Decreto n. 1127 del 1939, articoli 4, 18, 23, 24 e 27 in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

3.1. Assume che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che, per conseguire il beneficio economico nell’ipotesi di invenzione occasionale, il lavoratore deve aver provveduto a brevettare l’invenzione stessa. Al riguardo, sostiene che la formula prevista nell’articolo 24, secondo cui il diritto di prelazione (oggi piu’ opportunamente definito “opzione” dal Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30) riconosciuto al datore di lavoro puo’ essere esercitato entro tre mesi dalla data di ricevimento della comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di brevetto, individua solo il dies ad quem per l’esercizio del diritto, non anche la brevettazione quale presupposto imprescindibile dell’opzione medesima.

3.2. Aggiunge che tale diritto puo’ essere esercitato dal datore di lavoro anche implicitamente, attraverso l’utilizzo o la disponibilita’ del ritrovato, e indipendentemente dal brevetto. Alla luce di questa ricostruzione delle norme, ritiene che, una volta comunicata l’invenzione da parte del (OMISSIS) alla societa’ datrice di lavoro, quest’ultima, attraverso la cessione dei diritti alla holding capogruppo statunitense (OMISSIS), ha esercitato il diritto di opzione sull’invenzione, cosi’ facendo sorgere in capo al dipendente il diritto al compenso.

4. Il primo motivo e’ infondato.

4.1. E’ opportuno premettere che, secondo un orientamento di questa Corte che puo’ dirsi ormai consolidato, il principio secondo cui l’interpretazione di qualsiasi domanda, eccezione o deduzione di parte da luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, non trova applicazione quando si denunci un vizio che sia riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato oppure del principio del tantum devolutum quantum appellatimi, trattandosi, in tali casi, della denuncia di un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass., 12 maggio 2006, n. 11039; Cass., 11 luglio 2007, n. 15496; Cass., 22 luglio 2009, n. 17109; Cass., 10 ottobre 2014, n. 21421).

4.2. In particolare, con riferimento all’ipotesi, come quella in esame, di errata qualificazione della domanda e di omessa pronuncia su capi della stessa che si assumono correttamente formulati, si e’ in presenza di un “error in procedendo”, con la conseguenza che spetta al giudice di legittimita’ il potere-dovere di procedere direttamente all’esame e alla interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti (Cass., 14 marzo 2006, n. 5442).

4.3. Questi principi sono stati confermati della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza del 22 maggio 2012, n. 8077, hanno affermato che, in tutti i casi accomunati dalla natura processuale del vizio denunciato dal ricorrente e dalla sua interdipendenza con l’interpretazione da dare ad una domanda o ad un’eccezione di parte, l’oggetto dello scrutinio del giudice di legittimita’ (a differenza di quel che accade con riferimento agli errores in iudicando denunciati a norma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), non e’ costituito dal contenuto della decisione formulata nella sentenza, bensi’ direttamente dal modo in cui il processo si e’ svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato. E’ percio’ del tutto naturale che la Corte di cassazione debba prendere essa stessa cognizione di quei fatti (Cass. Sez. Un., n. 8077/2012, cit), sempre che la censura sia proposta dal ricorrente in conformita’ “alle regole di ammissibilita’ e di procedibilita’ stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della corte”, e quindi anche nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass. Sez. Un. n. 8077/2012).

Alla luce di questi chiari ed autorevoli principi, compete a questa Corte l’esame degli atti, nei limiti in cui essi sono stati compiutamente portati alla cognizione del Collegio.

5. Ora, negli atti di causa (trascritti nelle loro parti salienti nel ricorso per cassazione, in ossequio al principio di autosufficienza), e in particolare nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, si leggono le seguenti affermazioni: “l’ingegner (OMISSIS), sempre nell’ambito del settore vendite della societa’ convenuta, ha disimpegnato le mansioni di district manager… Nel 1998, pur non facendo parte del gruppo di ricerca della societa’, inventava un prodotto sigillante… il rapporto di lavoro del (OMISSIS) non ha mai previsto un’obbligazione inventiva, ne’, peraltro, l’attivita’ dal medesimo disimpegnata si e’ mai inserita nel contesto tecnico riguardanti processi di lavorazione del carbone… e’ palese, inoltre, che dall’attivita’ svolta da (OMISSIS) non ci si potesse attendere, neppure occasionalmente un’opera inventiva, nei termini in cui essa si e’ verificata.

5.1. Dalla piana lettura del ricorso, si desume che il fatto posto a fondamento della richiesta di compenso e’ costituito da un’invenzione che non costituiva oggetto della prestazione lavorativa del lavoratore, ed a tale scopo retribuita, ne’ comunque essa risultava causalmente collegata all’esecuzione o all’adempimento del contratto di lavoro, pur senza una specifica ed adeguata remunerazione.

Il ricorrente ha, infatti, precisato di essere stato sempre addetto al settore vendite e di non essere mai stato inserito nei processi di lavorazione del carbone. La sua attivita’ di invenzione era dunque “non dovuta” nell’ambito del contratto di lavoro, in quanto del tutto estranea ad eventuali incarichi di ricerca, o di studio, ed in nessun modo connessa all’attivita’ produttiva, cui l’invenzione si e’ rivelata funzionale.

5.2. A fronte di questa situazione di fatto, puntualmente e chiaramente delineata, correttamente i giudici di merito hanno inquadrato la domanda proposta dal (OMISSIS) nell’ambito della fattispecie prevista dal Regio Decreto n. 1127 del 1939, articolo 24 la quale costituisce un’ipotesi residuale, ma del tutto distinta e autonoma, rispetto alle ipotesi previste nel precedente articolo 23.

6. Si impongono al riguardo alcune considerazioni di carattere generale, al fine di meglio qualificare la domanda e di individuare con esattezza la fattispecie normativa in cui essa deve essere sussunta.

6.1. La norma fondamentale di riferimento rimane quella codicistica in materia di invenzione del prestatore di lavoro, contenuta nell’articolo 2590 c.c., il quale dopo aver affermato che il prestatore di lavoro ha diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto, rinvia alle leggi speciali per la regolamentazione dei diritti e degli obblighi delle parti relativi, all’invenzione.

6.2. Il Regio Decreto 29 giugno 1939, n. 1127, articoli 23 e 24 (applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, in quanto ricadente sotto il vigore del detto decreto, prima della sua abrogazione per effetto del Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, che ha introdotto il codice della proprieta’ industriale), insieme ai successivi articoli 24 bis (introdotto dalla Legge 18 ottobre 2001, n. 383, articolo 7), 25 e 26, regolano i diritti patrimoniali sull’invenzione.

6.3. La prima delle dette disposizioni opera una scissione tra il diritto morale d’autore, che in linea generale spetta al suo autore (Regio Decreto cit., articolo 18), e i diritti patrimoniali, che spettano invece al datore di lavoro, in ragione della predisposizione dei mezzi materiali che hanno reso possibile l’invenzione.

Affinche’ operi tale scissione tra diritti patrimoniali di utilizzazione dell’invenzione e diritto morale, e’ tuttavia necessario che l’invenzione avvenga, non solo, genericamente, nell’ambito di un rapporto di lavoro, ma, specificamente, nell’esecuzione della prestazione lavorativa (cosiddetta “invenzione di servizio”: articolo 23, comma 1), oppure nell’adempimento degli obblighi nascenti dal contratto di lavoro (cosiddetta “invenzione d’azienda”: articolo 23, comma 2).

6.4. Entrambe le ipotesi contemplate nell’articolo 23, nell’ormai pacifica interpretazione che ne danno la dottrina e la giurisprudenza (v. Cass., 12 maggio 1990, n. 4091; Cass., 6 marzo 1992, n. 2732; Cass., 5 novembre 1997, n. 10851; Cass., 21 luglio 1998, n. 7161; Cass., 19 luglio 2003; n. 11305), presuppongono lo svolgimento, da parte del dipendente, di un’attivita’ lavorativa di ricerca volta all’invenzione, mentre l’elemento distintivo tra le due ipotesi risiede principalmente nella presenza o meno di un’esplicita previsione contrattuale di una speciale retribuzione costituente il corrispettivo dell’attivita’ inventiva, in difetto della quale (ed il relativo onere probatorio incombe sul datore di lavoro) compete al dipendente, autore dell’invenzione, l’attribuzione dell’equo premio previsto dallo stesso articolo 23, comma 2 (Cass., 21 marzo 2011, n. 6367; Cass., 24 gennaio 2006, n. 1285; 19 luglio 2003, n. 11305).

6.5. Piu’ specificamente, la differenza tra l’invenzione di servizio e l’invenzione d’azienda e’ che, nella prima, l’attivita’ inventiva e’ espressamente prevista come oggetto della prestazione lavorativa, e’ “dovuta” (e a tal fine retribuita), mentre, nella seconda, la prestazione del lavoratore non ha ad oggetto il conseguimento di un risultato inventivo, il quale non rientra nell’attivita’ dovuta, ma e’ a quest’ultima collegato come frutto “non dovuto ne’ previsto della prestazione lavorativa”, nel senso che essa puo’ si’ concernere applicazioni, analisi e ricerche suscettibili di condurre ad un’invenzione, ma tale risultato va al di la’ di cio’ che contrattualmente il datore di lavoro si aspetta dal lavoratore (Cass., 12 maggio 1990, n. 4091).

6.6. In tal caso, in luogo dello specifico corrispettivo, costituito dalla retribuzione, la legge prevede l’equo premio, che risponde alla logica di indennizzare il dipendente espropriato del diritto di utilizzazione economica e che deve essere determinato in base all’importanza dell’invenzione (Cass., 21 luglio 1998, n. 7161). L’equo premio spetta anche in caso di invenzione di servizio nel caso in cui non sia stata prevista una specifica retribuzione.

La giurisprudenza di questa Corte aggiunge che spetta poi al giudice del merito – con accertamento ex ante e non ex post – valutare se le parti abbiano voluto pattuire una retribuzione quale corrispettivo dell’obbligo del dipendente di svolgere una attivita’ inventiva (v. Cass., 21 marzo 2011, n. 6367; Cass., 6 mar. 1992, n. 2732; Cass. 2 apr. 1990, n. 2646).

6.7. Ipotesi del tutto distinta e’ quella prevista nell’articolo 24, la quale prevede le “invenzioni libere” o “non vincolate”, o “occasionali” sussistenti “qualora non ricorrano le condizioni previste all’articolo precedente e si tratti di invenzione industriale che rientri nel campo di attivita’ dell’azienda privata a cui e’ addetto l’inventore ” e che la citata disposizione normativa regolamenta in modo particolare (Cass., 6 novembre 2000, n. 14439). In questa ipotesi, l’invenzione e’ del tutto indipendente dalle mansioni svolte dal lavoratore ed esorbita dal loro espletamento: si e’ autorevolmente affermato che “con valutazione ex ante, la prestazione lavorativa deve atteggiarsi come assolutamente inidonea, secondo l’id quod plerumque accidit, a svilupparsi in una attivita’ inventiva”, essendo tuttavia necessario che l’invenzione rientri nel campo di attivita’ dell’azienda privata (o dell’amministrazione pubblica) a cui e’ addetto il dipendente-inventore.

6.8. Con l’invenzione occasionale, ritorna ad essere operante la regola generale che attribuisce all’inventore il diritto di brevetto nel suo contenuto pieno: tuttavia, in conseguenza della connessione con la prestazione lavorativa e della coincidenza cronologica tra la permanenza del rapporto di lavoro ed il conseguimento del risultato inventivo (arg. ex articolo 26 Regio Decreto cit), il legislatore ha attribuito al datore di lavoro il diritto di prelazione (oggi “opzione”: v. Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 64, comma 3, cit.) per l’uso esclusivo, o non esclusivo, dell’invenzione stessa o per l’acquisto del brevetto verso la corresponsione di un canone o un prezzo.

7. Dalla descrizione delle tre ipotesi disciplinate dalle norme richiamate, discende la loro autonomia – peraltro indiscussa per unanime dottrina e giurisprudenza (da ultimo, v. Cass., 25 giugno 2014, n. 14371, in Foro it., 2014,1, 2819) – e, conseguentemente, la diversita’ delle azioni esperibili a tutela dei diritti in esse consacrati. Esse, benche’ accomunate dallo scopo pratico cui tendono -, ovvero l’attribuzione al lavoratore di un corrispettivo economico per l’invenzione, diversamente qualificato dalla stessa legge come “retribuzione” per l’invenzione di servizio”, o “equo compenso” per quella d’azienda o, infine, “canone” o “prezzo” per l’invenzione occasionale – si distinguono nettamente per la natura delle situazioni giuridiche poste a loro fondamento: all’analogia del petitum non corrisponde, invero, quella delle rispettive causae petendi, legate, come si e’ visto, a presupposti fattuali del tutto distinti ed autonomi, in quanto connessi al diverso atteggiarsi del risultato inventivo rispetto all’originaria prestazione di lavoro.

7.1. Ora, alla luce di queste considerazioni, la qualificazione della domanda compiuta dai giudici di merito e’ corretta e rispondente al contenuto sostanziale della pretesa, come desumibile dalle precise allegazioni del ricorso introduttivo del giudizio, in cui, alla richiesta indifferente di “prezzo dell’invenzione, compenso o equo premio”, si sono descritte, a fissazione della causa petendi, specifiche circostanze fattuali, quali l'”estraneita’” e l'”autonomia” del settore cui era addetto il (OMISSIS) (commerciale e vendite), rispetto a quello nel quale l’invenzione era maturata; si e’ espressamente escluso che l’attivita’ inventiva potesse essere definita come “invenzione di servizio” (pag. 12 del ricorso per cassazione); si e’ precisato, con consapevole e sapiente uso delle espressioni letterali, che “dall’attivita’ svolta da (OMISSIS) non ci si potesse attendere neppure occasionalmente un’opera inventiva”.

7.2. In definitiva, l’assunto del ricorrente di aver proposto la domanda, anche in via alternativa o subordinata, ai sensi dell’articolo 23, commi 1 e 2, e’ smentito dall’intero contesto del ricorso, laddove le successive richieste istruttorie avanzate nel corso del processo (in particolare, all’udienza del 19/12/2003, di cui peraltro il ricorrente non trascrive il contenuto, ne’ indica dove il verbale sarebbe attualmente rinvenibile, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, come delineato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza del 3 novembre 2011, n. 22726), tese a dimostrare l’ammontare dell’equo premio ai sensi delle norme citate, costituiscono senz’altro un tentativo di mutatio libelli non consentito nel corso del giudizio, giacche’ con le stesse si mira, attraverso la nuova prospettazione dei fatti, ad ampliare il tema di indagine, ai fini di far valere una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, siccome fondata su un fatto costitutivo radicalmente differente (v. in genere, sulla mutatio libelli, Cass., 20 luglio 2012, n. 12621; Cass., 8 ottobre 2007, n. 21017).

7.3. Conseguentemente, deve negarsi il rilievo che il ricorrente pretende di attribuire al petitum, come indicato nelle conclusioni con terminologia indifferentemente (ma impropriamente: cfr. Cass., 6 marzo 1992, n. 2732, che traccia le differenze tra i diversi corrispettivi) mutuata da entrambi gli articoli 23 e 24 Regio Decreto, giacche’ la differenza tra le varie ipotesi regolate dalle norme citate non e’ data dalla natura del provvedimento invocato (che e’ pur sempre una pronuncia di condanna al pagamento del corrispettivo economico spettante al dipendente-inventore) e dal bene della vita richiesto (che rimane una somma di danaro) – e che delineano il petitum immediato e mediato della domanda -, bensi’ dal tipo di collegamento che si afferma esistente tra l’invenzione e la prestazione lavorativa e che connota la causa petendi, la cui sola modificazione e’ sufficiente a configurare una mutatio libelli (Cass., 27 luglio 2009, n. 17457).

7.4. In proposito, non puo’ convenirsi con la difesa del ricorrente, secondo cui il diritto azionato e’ un diritto cosiddetto “autodeterminato”, con la conseguenza che, unico essendo il fattore genetico, la causa petendi non assume alcuna efficacia individuatrice, come invece avviene per i diritti cosiddetti eterodeterminati. L’azione proposta, come si e’ sopra evidenziato, ha natura e contenuto patrimoniale, e’ diretta alla soddisfazione di un vero e proprio diritto di credito ad una somma di danaro (e non gia’, come invece sembra alludere il ricorrente, del diverso, e assoluto, diritto morale d’autore), che, in quanto tale, costituisce un tipico diritto c.d. eterodeterminato, cioe’ uno di quei diritti che sono individuati non gia’ dall’indicazione della sola tipologia normativa di diritto fatta valere e del bene che ne e’ oggetto, ma anche e necessariamente dai fatti costitutivi che l’hanno originato (si veda gia’ Cass., Sez. Un., 22 maggio 1996, n. 4712, e Cass.,12 ottobre 2012, n. 17408). Il motivo in esame deve, pertanto, essere disatteso.

8. Resta cosi’ superata l’eccezione di giudicato sollevata dalla controricorrente, sul presupposto che il (OMISSIS) non avrebbe censurato la sentenza nella parte in cui avrebbe confermato la statuizione del primo giudice sull’infondatezza nel merito delle domande proposte ai sensi dell’articolo 23, Regio Decreto citato.

Ed invero, l’affermazione della corte territoriale, che peraltro si e’ limitata rinviare alla sentenza del tribunale in modo affatto generico, senza indicare neppure sommariamente il percorso logico seguito (“le deduzioni nuove, tendenti all’eventuale configurazione… dell’ipotesi dell’invenzione d’azienda, sono state correttamente ritenute inammissibili nella sentenza impugnata, che per mera completezza le ha esaminate, giungendo ad affermarne comunque l’infondatezza”), non ha l’autonomia di una vera e propria ratio decidendi, ma ha valore di una mera argomentazione ad abundantiam, proveniente da giudice ormai privo di potestas iudicandi in relazione al merito della domanda, per averla dichiarata inammissibile. Ne consegue che, relativamente a tale argomentazione sul merito, inserita in sentenza subordinatamente alla statuizione di inammissibilita’ della domanda per la sua novita’, la parte soccombente non aveva l’onere, ne’ ovviamente l’interesse, ad impugnare (Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2007, n. 3840; Cass., Sez. Un., 2 aprile 2007, n. 8087; Cass., 24 gennaio 2012, n. 930; Cass., 1 marzo 2012, n. 3229; Cass., sez. Un., 30 ottobre 2013, n. 24469).

9. Anche il secondo motivo e’ infondato. La lettura dell’articolo 24 Regio Decreto cit. proposta dal ricorrente confligge con l’interpretazione della norma (lo si rammenta, nel testo qui applicabile ratione temporis), offerta dall’unanime giurisprudenza di questa Corte, nonche’ da autorevole dottrina, secondo cui la Legge sui brevetti, articoli 23, 24 e 26, se introducono una deroga al principio stabilito dall’articolo 18 Regio Decreto cit, secondo cui il diritto di brevetto spetta all’autore dell’invenzione e ai suoi aventi causa, non derogano invece al disposto dell’articolo 4 del Regio Decreto cit. (come modificato dal Decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 1979, n. 338), secondo cui i diritti esclusivi considerati dal suddetto decreto sono conferiti con la concessione del brevetto.

Tale principio si raccorda con quanto stabilisce il successivo articolo 27, che prevede, al secondo comma, la presunzione che, dinanzi all’Ufficio Centrale Brevetti, colui che richieda il brevetto sia titolare del diritto allo stesso e sia legittimato ad esercitarlo. Completa il sistema l’articolo 27 bis, aggiunto dal Decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 1979, n. 338, articolo 14 il quale tutela la posizione del titolare del diritto al brevetto nei confronti dell’usurpatore, ovvero di colui che, senza averne diritto, abbia chiesto o ottenuto il brevetto, riconoscendo al primo il diritto di agire per ottenere, a sua scelta, una sentenza, avente efficacia retroattiva, di trasferimento a suo nome del brevetto, ovvero la declaratoria della nullita’ del brevetto rilasciato a chi non ne aveva diritto (v. pure articolo 59, n. 4 Regio Decreto cit.).

8.1. Da tale complesso normativo si desume che il diritto al brevetto, ossia la facolta’ di chiedere la registrazione, e’ la posizione giuridica che si riconosce in caso all’inventore ovvero a colui che a titolo derivativo acquista la completa descrizione dell’invenzione. Esso, tuttavia, come emerge dagli articoli 2588 e 2589 c.c., nonche’ dal Regio Decreto n. 1127 del 1939, articolo 7, comma 1, articoli 18 e 19 puo’ circolare, e dunque puo’ essere oggetto di negozi in tal senso.

Invece, il diritto sul brevetto consiste nella facolta’ esclusiva di attuare e di godere della invenzione. Esso si costituisce con la registrazione, tant’e’ che la norma dell’articolo 2584 c.c. chiarisce che solo chi ha ottenuto un brevetto per un’invenzione industriale ha il diritto esclusivo di attuare l’invenzione e di disporne, nei limiti stabiliti dalla legge.

8.2. Si delinea dunque la natura complessa del titolo di acquisto del brevetto, il quale non e’ costituito solo dalla brevettazione come atto formale, bensi’ anche dalla attitudine a richiederla sul rilievo della invenzione, o del suo acquisto.

Da cio’ deriva che, se e’ possibile distinguere il diritto al brevetto da quello sul brevetto, e dunque una circolazione distinta di entrambi, cio’ non vuoi dire che tale circolazione possa contraddire la logica insita nel sistema normativo su richiamato, il quale pretende siffatto complesso titolo di acquisto del brevetto perche’ adotta quale fondamentale principio che soltanto chi brevetta bene ha il potere di esclusiva. Cosicche’ tale potere non e’ riconosciuto a chi non brevetta, ovvero a chi brevetta male, perche’ non ha titolo per farlo (cosi’ Cass., 17 maggio 2000, 6392; su una fattispecie di lesione del diritto del lavoratore in conseguenza di un’attivita’ extraziendale, v. Cass., 12 marzo 1965, n. 412).

8.3. In altri termini, e con riferimento alle invenzioni del dipendente, il brevetto costituisce la condicio iuris non solo perche’ il lavoratore-inventore acquisisca il diritto al corrispettivo (Cass. 5 giugno 2000, n. 7484; Cass., 13 aprile 1991, n. 3991; Cass., 2 aprile 1990, n.2646; Cass., 10 gennaio 1989, n. 30; Cass. 5 dicembre 1985, n. 6117), ma anche perche’ il datore di lavoro possa acquisire definitivamente il diritto allo sfruttamento del ritrovato, con la ulteriore conseguenza, rilevata in dottrina con riferimento all’ipotesi dell’invenzione occasionale, che, se il lavoratore non intende presentare domanda di brevetto, il datore di lavoro non ha alcuna tutela del suo (eventuale) interesse all’acquisto del brevetto potenzialmente riconoscibile.

Si e’ dunque in presenza di un vero e proprio vincolo sinallagmatico, in forza del quale il diritto del lavoratore puo’ essere esercitato nei confronti del datore di lavoro, solo nel caso in cui questi abbia provveduto a brevettare l’invenzione (articolo 23 Regio Decreto cit), oppure abbia esercitato, previa brevettazione da parte del lavoratore, l’opzione di acquisto dello stesso, o del suo uso esclusivo o non esclusivo (articolo 24 Regio Decreto cit.).

8.4. Nel caso di specie, e’ pacifico che societa’ (OMISSIS) non ha mai esercitato tale diritto, cosi’ come e’ altrettanto incontestato che, proprio perche’ non e’ titolare del brevetto, il (OMISSIS) non gli ha mai ceduto (ne’ poteva farlo) i diritti di sfruttamento economico (articolo ex articolo 2584 c.c.).

8.5. Non puo’ condividersi la tesi del ricorrente secondo cui il brevetto richiesto dalla (OMISSIS), societa’ che esercita il controllo sull’odierna controricorrente, costituirebbe la prova di un uso di fatto dell’invenzione da parte di quest’ultima, sufficiente a far sorgere il diritto al compenso del ricorrente.

8.6. E tanto per un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, perche’ essa contrasta con le disposizioni su richiamate (Regio Decreto n. 1127 del 1939, articoli 4 e 24 e articolo 2584 c.c.), le quali delineano un quadro normativo conchiuso e rigoroso, che non ammette un esercizio di fatto del diritto di prelazione (v. Cass., 10 settembre 2014, n. 19009); in secondo luogo, perche’ l’asserzione del ricorrente circa l’esistenza di un collegamento economico-funzionale tra la societa’ datrice di lavoro e la (OMISSIS) (definita “capogruppo”), tale da farne un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro, e’ rimasta, secondo la corte territoriale, una mera asserzione, non suffragata da allegazioni in fatto ed in diritto e, in ogni caso, non provata, essendo state le richieste istruttorie rigettate perche’ tardive.

8.7. Questa affermazione dei giudici tarantini non e’ stata affatto censurata, dovendosi peraltro rilevare che, li’ dove afferma in ricorso che e’ “circostanza pacifica tra le parti” che la casa madre (OMISSIS) esercitava l'”intero controllo ” sulla filiale italiana (pag. 37 ricorso per cassazione), il ricorrente non assolve l’onere di autosufficienza, la cui osservanza si impone anche quando si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum, in quanto non contestata, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo e’ tenuto ad indicare le modalita’ e la ritualita’ della sua allegazione e del tempo e luogo in cui sarebbe stata provata o divenuta pacifica (Cass., 18 luglio 2007, n. 15961; cfr., anche Cass., 19 aprile 2006, n. 9076; Cass., 23 luglio 2009, n. 17253; Cass., 20 luglio 2012, n. 12664). Onere che il (OMISSIS) non ha adempiuto.

9. Alla luce di queste considerazioni, ritiene il Collegio di mantener fermo l’orientamento di questa Corte, secondo cui, nel regime precedente l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, anche nell’ipotesi di invenzione cosiddetta “occasionale” disciplinata dal Regio Decreto n. 1127 del 1939, articolo 24 la concessione del brevetto costituisce la condicio iuris cui e’ subordinato l’esercizio del diritto del lavoratore, autore dell’invenzione, al canone o al prezzo, non essendo sufficiente l’asserita utilizzazione di fatto dell’invenzione da parte del datore di lavoro.

10. Il ricorso deve dunque essere rigettato. In applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente

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