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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 19 febbraio 2015, n. 7611. L'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile riguardante l'affidamento di minori può concretarsi in un qualunque comportamento da cui derivi la “frustrazione” delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo. Sono state, altresì, valorizzate in senso negativo quelle condotte di non collaborazione da parte del genitore non affidatario come idonee ad integrare il concetto di elusione e la loro equipollenza rispetto al rifiuto espresso di ottemperare al provvedimento giudiziale (in fattispecie in cui era stato impedito all'altro genitore di trascorrere con il figlio il periodo di vacanza prestabilito). Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, appare del tutto irrilevante la circostanza che la fattispecie in esame riguardi un unico episodio, del tutto residuale rispetto alla dedotta complessità dell'intera vicenda della separazione coniugale.

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 19 febbraio 2015, n. 7611 Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Lecce ha confermato quella emessa il 16/ 12/2009 dal Tribunale di Brindisi – Sezione Distaccata di Ostuni, con la quale D.L.V. era stata condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di Euro 70,00...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 5 febbraio 2015, n. 2070. Ai fini dell’individuazione del luogo di pervenimento della corrispondenza all’indirizzo del destinatario agli effetti dell’articolo 1335 del Cc, quando costui abbia stipulato con l’ente postale un contratto per il trattenimento della corrispondenza presso una casella postale, presso la quale possa ritirarla, l’ufficio del luogo di destinazione della corrispondenza presso il quale l’ente postale, una volta pervenutagli la corrispondenza, ne rileva la riferibilità al destinatario e dà corso all’attività diretta a inserirla nella casella si identifica anche se la casella sia allocata presso altro ufficio del medesimo luogo per il ritiro come indirizzo di pervenimento del destinatario, giacché l’attività a tanto diretta dell’ente postale è compiuta per conto del destinatario in forza della convenzione di ricezione tramite casella e come tale, essendo a quest’ultimo riferibile implica che la corrispondenza si debba considerare pervenuta in un luogo che è di sua pertinenza e che per sua scelta si identifica come suo indirizzo

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 5 febbraio 2015, n. 2070 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere Dott. SESTINI Danilo – Consigliere Dott. PELLECCHIA...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 17 febbraio 2015, n. 6821. La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilità, attraverso cui si convinca una persona minore di età ad intrattenere rapporti sessuali con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al primo dell'art. 600 bis del codice penale", precisando, altresì, che: l'atto sessuale compiuto dal minore prostituito, a differenza di quanto avviene per i maggiorenni, non può essere inquadrato in un'area di libertà; da tale assenza di libertà della prostituzione minorile; di cui il fruitore della prestazione sessuale non può non essere a conoscenza, discende, in forza della precisa incriminazione prevista dal co. 2 dell'art. 600 bis cod.pen., la punibilità della condotta del cliente medesimo, che diversamente è immune da sanzione quando viene in rapporto, sempre da cliente, con la prostituzione del soggetto adulto; in tale logica punitiva del cliente del minorenne, la condotta di induzione alla prostituzione minorile di cui al primo comma della citata disposizione deve essere sganciata dal rapporto sessuale con l'agente, dovendo avere riguardo alla prostituzione esercitata nei confronti di terzi, anche identificabili in un solo soggetto, purché diverso dall'induttore

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza  17 febbraio 2015, n. 6821 Ritenuto in fatto Il Gup presso il Tribunale di Milano, con sentenza del 14/4/2011, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava V.S. , D.F.R. e R.N. corresponsabili dei reati di cui agli artt. 600 bis co. 1 e 600 ter co. 1 cod.pen.,...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 17 febbraio 2015, n. 6842. In tema di operazioni inesistenti sulla base di fatture "d'acconto": l'emissione di fatture per operazioni inesistenti è un delitto di pericolo astratto per la configurazione del quale è sufficiente il mero compimento dell'atto; ai fini dell'individuazione del momento di consumazione del reato rileva il momento dell'emissione della fattura, trattandosi di reato istantaneo; la presenza di un'ulteriore finalità nell'azione delittuosa non incide sull'integrazione della suddetta fattispecie "attesa la natura di reato di pericolo astratto per la cui configurabilità è sufficiente il mero compimento dell'atto; nel delitto de quo il dolo è comunque ravvisabile allorché l'autore abbia la coscienza e volontà di emettere o di utilizzare fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti idonee a frodare il fisco, essendo irrilevante il concorrente fine diverso di ottenere indebiti contributi; l'evasione d'imposta non è elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice del delitto d'emissione di fatture per operazioni inesistenti, ma configura un elemento del dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità dell'agente, in quanto per integrare il reato è necessario che l'emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte su redditi e sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo consegua effettivamente la programmata evasione

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 17 febbraio 2015, n. 6842 Ritenuto in fatto La C.A. di Torino con sentenza 17.3.2014 ha confermato la responsabilità penale di P.C.P. in ordine ai seguenti delitti: A) emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8 D. Lvo n. 74/2000 contestato al capo A) con riferimento ad una...

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Corte di Cassazione, sezione II,sentenza 17 febbraio 2015, n. 6847. L'art. 641 c.p. (insolvenza fraudolenta) ha come finalità la tutela dei diritto dei creditore adempiente contro particolari, preordinati, successivi inadempimenti fraudolenti, consumati dalla controparte, di un'obbligazione di contenuto patrimoniale e di fonte contrattuale; inadempimenti realizzati con modalità tali da rendere inadeguata la tutela apprestata dalla legge civile. Il discrimine tra mero inadempimento di natura civilistica e commissione dei reato poggia sull'elemento ispiratore della condotta; con la conseguenza che il comportamento consistente nel tenere il creditore all'oscuro dello stato di insolvenza in cui si versa al momento di contrarre l'obbligazione ha rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non effettuare la dovuta prestazione, mentre l'inadempimento contrattuale non preordinato non costituisce tale delitto e ricade, normalmente, solo nell'ambito della responsabilità civile. La prova della preordinazione può essere desunta anche da argomenti induttivi seri ed univoci, ricavabili dal contesto dell'azione. Si è così affermato che anche il silenzio può assumere rilievo quale forma di preordinata dissimulazione del proprio stato di insolvenza, quando sin dal momento in cui il contratto è stato stipulato vi era l'intenzione di non far fronte agli obblighi conseguenti. Sintomo pregnante della condotta penalmente rilevante può anche essere il fatto che l'agente assuma un'obbligazione con un comportamento idoneo ad ingannare la controparte sulle sue reali intenzioni

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 17 febbraio 2015, n. 6847 Motivi della decisione La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza in data 9 gennaio 2014, in parziale riforma della sentenza del tribunale di Brindisi sezione distaccata di Francavilla Fontana che in data 26 aprile 2012 aveva condannato S.M. per truffa aggravata in danno...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 14 gennaio 2015, n. 1381. Ai fini dell'art. 643 c.p. si richiede non solo l'abuso delle particolari condizioni del soggetto passivo, ma anche la sua induzione a compiere atti giuridici potenzialmente pregiudizievoli per sé o per altri, induzione intesa non già come semplice richiesta di compiere l'atto, bensì come apprezzabile attività di pressione morale, di suggestione o di persuasione, o comunque di spinta psicologica.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II   SENTENZA 14 gennaio 2015, n.1381 Ritenuto in fatto   Con sentenza 12.12.2013 la Corte d’Appello di Torino confermava la condanna emessa il 5.5.11 dal Tribunale della stessa sede nei confronti di T.L. alias M.L. (nata in (…)) e di I.P. per il delitto di circonvenzione di incapace continuata ed...