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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 11 gennaio 2016, n. 591. Il giudice dell’esecuzione, a pena di nullità dell’ordinanza pronunciata, non può decidere il merito della questione sottoposta alla sua cognizione laddove non abbia acquisito e valutato le dichiarazioni in precedenza rese dall’interessato in vinculis al magistrato di sorveglianza

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 11 gennaio 2016, n. 591 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VECCHIO Massimo – Presidente Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere Dott. TARDIO Angela – Consigliere Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere Dott....

Ai fini della configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di provvedimento del giudice (art. 388 c.p.)
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Ai fini della configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di provvedimento del giudice (art. 388 c.p.)

Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 11 gennaio 2016, n. 578. Ai fini della configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di provvedimento del giudice (art. 388 c.p.), è necessario e sufficiente che vi sia stata una richiesta di adempimento (o una messa in mora), anche informale, purché si tratti di intimazione che sia precisa...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 22 gennaio 2016, n. 3048. Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza” (art. 326, comma primo, cod. pen.) risulta infatti integrato da un dolo generico, che consiste nella coscienza e volontà di rivelare notizie o di agevolarne la loro conoscenza da parte di terzi, nella consapevolezza del loro carattere segreto e della violazione dei loro doveri di funzione. Per gli indicati contenuti quindi l’intento dell’agente non è quello di recare danno al privato che pertanto patisce per la descritta condotta di eventuali pregiudizi non in via diretta, ma quale riflessa conseguenza destinata a rilevare ai fini della risarcibilità derivante da reato, ma non a legittimare il privato stesso all’esercizio dei poteri processuali destinati ad incidere sulle sorti dell’azione penale (artt. 408, 409, 410 cod. proc. pen.).

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 22 gennaio 2016, n. 3048 Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento adottato de plano in data 18 settembre 2014, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha disposto l’archiviazione del procedimento iscritto a carico di V.R. , sostituto Procuratore presso il Tribunale di Salerno, per...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 25 gennaio 2016, n. 3250. Sollevata alle sezioni unite la questione concernente la possibilità di rilevare in sede di legittimità la prescrizione maturata precedentemente alla pronuncia della sentenza di secondo grado, ancorché non eccepita né rilevata in sede di appello, soprattutto allorché ciò non richieda alcuna attività di apprezzamento delle prove

Suprema Corte di Cassazione sezione V ordinanza  25 gennaio 2016, n. 3250 Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza emessa in data 27/05/2008 dal Tribunale di Massa in composizione monocratica nei confronti di M.D. , condannato a pena di giustizia per il delitto di cui agli...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 25 gennaio 2016, n. 3098. L’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 configura reato omissivo proprio (di mera condotta e, dunque, c.d. formale) e di danno, il cui oggetto specifico della tutela penale è costituito dall’interesse dello Stato alla percezione dei tributi ed i cui elementi costitutivi sono: a) la situazione tipica da cui sorge l’obbligo di agire; b) la condotta omissiva (non tacere quod debetur) la quale deve risolversi in un mancato versamento che raggiunge o supera la soglia quantitativa richiesta per l’integrazione del fatto tipico; c) il termine, esplicito o implicito, alla cui scadenza l’inadempimento dell’obbligo assume rilevanza e si consuma l’illecito; d) il dolo generico, con la conseguenza che, per la commissione del reato, è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario l’imposta sul valore aggiunto legalmente dovuta. Ne consegue che tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di punibilità (ora di Euro duecentocinquantamila a seguito del d.lgs. n. 158 del 2015), che è un elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo a definirne il disvalore e che dunque deve rientrare, in uno agli elementi costitutivi del fatto tipico, nel fuoco del dolo, con la sottolineatura che la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, ora, di Euro duecentocinquantamila, entro il termine lungo previsto. Il debito verso il fisco relativo ai versamenti Iva è collegato al compimento delle operazioni imponibili sicché ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’Iva dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter, alla scadenza, adempiere all’obbligazione tributaria. Nel caso in cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato, l’assoluzione dell’imputato va deliberata con la formula “il fatto non sussiste”, non con quella “il fatto non è previsto dalla legge come reato”, che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 25 gennaio 2016, n. 3098 Ritenuto in fatto 1. V.P. ricorre per cassazione impugnando per saltum la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Grosseto ha assolto l’imputata con la formula il fatto non è previsto dalla legge come reato. Alla ricorrente era stato addebitato...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 8 gennaio 2016, n. 546. L’obbligo di motivazione c.d. rafforzata che deve porsi alla base di una sentenza di riforma radicale di una precedentemente adottata deve trovare la propria legittimazione anche nel motivo di appello che contempli le ragioni giustificative del sovvertito decisum del giudice a quo, non essendo, all’uopo, sufficienti motivazioni pencolanti e riproduttive di temi già ritenuti insufficienti ed inidonei nel precedente grado di giudizio.

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 8 gennaio 2016, n. 546 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente Dott. CITTERIO Carlo – Consigliere Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere Dott. RICCIARELLI Massimo – rel. Consigliere Dott....