Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 8 gennaio 2016, n. 546

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente

Dott. CITTERIO Carlo – Consigliere

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – rel. Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI MILANO;

nei confronti di:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

inoltre:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 7462/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del 13/03/2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/11/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO RICCIARELLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CANEVELLI Paolo che ha concluso per l’annullamento con rinvio per (OMISSIS) in ordine ai capi C1), C2), C3) e C4), per (OMISSIS) in ordine al capo C1), per (OMISSIS) in ordina ai capi C1), C2) e C3); rigetto dei ricorsi degli imputati;

uditi gli avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) anche in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) che hanno concluso per l’accoglimento dei propri ricorsi e per l’inammissibilita’ o per il rigetto del ricorso del Procuratore Generale.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano rispettivamente chiamati a rispondere:

sub C1) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) del delitto di importazione di cocaina dalla Colombia, risalente al 7/3/2012, aggravato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 6, articolo 80 e Legge n. 146 del 2006, articolo 4;

sub C2) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) del delitto di importazione di cocaina dalla Colombia, aggravato come sub C1), risalente al 30/3/2012;

sub C3) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) del delitto di importazione di cocaina dalla Colombia, aggravato come sub C1), risalente al 30/5/2012;

sub C4) (OMISSIS), (OMISSIS) e i due (OMISSIS) del delitto di importazione di cocaina dalla Colombia, aggravato come sub C1), risalente al 14/6/2012;

sub C5) (OMISSIS) del delitto di cessione di cocaina a consumatori finali, commesso fino al 14/6/2012;

sub C6) e sub C7) (OMISSIS) dei delitti di cessione a consumatori nonche’ di detenzione e cessione di cocaina presso il Bar Tabaccheria (OMISSIS), commessi dal maggio 2012;

sub C8) (OMISSIS) del delitto di cessione di cocaina a (OMISSIS) fino al 5/6/2012;

sub C9) (OMISSIS) del delitto di detenzione di cocaina, risalente al 7/11/2012.

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza con sentenza del 20/3/2014, in sede di giudizio abbreviato, qualificato il fatto sub C2) come tentativo, riconosceva (OMISSIS) colpevole di tutti i reati a lui ascritti, fatta eccezione per quello sub C1); (OMISSIS) colpevole di tutti i reati a lui ascritti; (OMISSIS) colpevole del reato sub C2); (OMISSIS) colpevole dei delitti sub C4) e C5); escluse le aggravanti contestate, ravvisata la continuazione, condannava (OMISSIS) alla pena di anni sei mesi quattro di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, (OMISSIS) alla pena di anni sei mesi otto di reclusione ed euro 32.000,00 di multa, (OMISSIS) alla pena di anni 2 di reclusione ed euro 10.000,00 di multa, (OMISSIS) alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 22.000,00 di multa.

Il Giudice assolveva (OMISSIS) da tutti i reati a lui ascritti, (OMISSIS) dal reato sub CI), (OMISSIS) dai reati sub C1), C2) e C3), per non aver commesso il fatto.

2. Con sentenza del 13/3/2015 la Corte di Appello di Milano, giudicando sugli appelli degli imputati condannati e su quello del Procuratore della Repubblica quanto ai proscioglimenti, concedeva a (OMISSIS) le attenuanti generiche e lo condannava alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 24.000,00 di multa, mentre confermava la sentenza nel resto, peraltro applicando a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) le pene accessorie di legge.

2.1. La Corte condivideva l’impianto della sentenza appellata, incentrata sull’analisi delle conversazioni intercettate, intercorse tra i protagonisti dell’accertato traffico di stupefacenti provenienti dalla Colombia, corroborate dai sequestri della sostanza e dagli arresti di (OMISSIS), nonche’ di (OMISSIS) e (OMISSIS), eseguiti in corrispondenza delle importazioni contestate sub C3) e C4).

Accoglieva in parte l’appello del (OMISSIS), dando atto della sua ampia collaborazione e dunque concedendo le attenuanti generiche e riducendo la pena.

2.2. Quanto al resto osservava che si sarebbe dovuta ribadire la colpevolezza di (OMISSIS), risultando inconsistenti, a fronte degli altri elementi e delle conversazioni intercettate, le discolpe inerenti all’asserita costrizione subita, in forza della quale egli avrebbe ritirato la cocaina in Colombia, ma se ne sarebbe poi sbarazzato, recandosi in Madagascar come previsto, ma solo fingendo di mostrarsi sodale degli altri organizzatori dell’importazione, salvo alla fine rendersi irreperibile.

Ne’ sarebbe potuta concedersi la sospensione condizionale della pena.

2.3. La Corte inoltre riteneva di poter suffragare la fondatezza delle accuse mosse al (OMISSIS) sub C4) e C5) – i capi che nell’appello avevano formato oggetto di contestazione nel merito -, rilevando che egli era consapevole dell’oggetto dei traffici, anche perche’ in famiglia vi era stato il precedente coinvolgimento del padre, dedito a consimili azioni, e che se anche si fosse potuto dire provato che egli aveva contribuito economicamente all’importazione sub C4) in misura marginale, al predetto sarebbe dovuta comunque attribuirsi la corresponsabilita’ per l’intero carico, peraltro avvalorata dalla chiamata in correita’ di (OMISSIS). Non si sarebbe potuto parlare di semplice favoreggiamento, giacche’ la condotta era finalizzata alla conservazione della sostanza stupefacente.

Quanto alle singole cessioni, la prova, desumibile dalle intercettazioni, era stata suffragata dalle dichiarazioni di (OMISSIS) e dal sequestro eseguito nei confronti di (OMISSIS).

Non si sarebbe potuta ravvisare l’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e non si sarebbero potute concedere le attenuanti di cui agli articoli 62-bis e 114 cod. pen..

2.4. Relativamente a (OMISSIS), che aveva contestato le accuse formulate sub C2), C6) e C7), la Corte richiamava la motivazione della sentenza appellata, incentrata su conversazioni intercettate, peraltro avvalorate quanto al capo C6) dai contatti con (OMISSIS) nonche’ dal sequestro di cocaina nei confronti di tal (OMISSIS), subito dopo un incontro con l’imputato.

Non vi era margine per la riduzione della pena e per la concessione di attenuanti, a fronte dell’irrilevanza degli elementi invocati.

2.5. Relativamente all’appello del Pubblico ministero, la Corte in primo luogo rilevava che lo stesso si sarebbe dovuto valutare a prescindere dalla memoria depositata dal Procuratore Generale, che inammissibilmente aveva introdotto temi nuovi.

In concreto si sarebbe dovuto seguire l’orientamento in forza del quale la riforma di una sentenza assolutoria presuppone una motivazione idonea a vincere il ragionevole dubbio e non solo una valutazione alternativa, non piu’ plausibile.

A fronte delle osservazioni contenute nella sentenza impugnata, l’appello non individuava passaggi critici in conflitto con gli elementi di prova acquisiti, ma si limitava ad una lettura plausibile degli stessi, peraltro non la sola possibile.

3. Presentavano ricorso gli imputati condannati e il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano.

4. (OMISSIS) con ricorso presentato personalmente deduceva agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), contraddittorieta’ e illogicita’ della sentenza sul punto della determinazione della pena, non avendo la Corte assolto al suo compito di motivare la sua decisione in ordine alle censure formulate nell’atto di appello.

5. (OMISSIS) presentava ricorso con atto a firma dell’Avv. (OMISSIS).

5.1. Con il primo motivo denunciava contraddittorieta’, manifesta illogicita’ della motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato, agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).

Dopo aver premesso la propria ricostruzione della vicenda, il ricorrente segnalava che la Corte aveva erroneamente ritenuto inverosimili le discolpe fornite, non essendo state considerate le ragioni addotte, in particolare il mancato ritrovamento della droga o di ingenti somme di denaro in Madagascar e il carattere non incontrovertibile delle conversazioni intercettate, fermo restando che il ricorrente aveva agito in stato di necessita’ ai sensi dell’articolo 54 cod. pen., in conseguenza delle minacce subite, non avendo avuto alcuna intenzione di portare la cocaina di cui si era comunque disfatto.

5.2. Con il secondo motivo denunciava inosservanza o erronea applicazione della legge penale gli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

La Corte non aveva fornito valida risposta alle censure formulate sulla base di un idoneo ragionamento giuridico, posto che il (OMISSIS) non era inserito in alcun contesto di elevato spessore criminale e si era trovato accidentalmente coinvolto nella vicenda, ben potendosi formulare un favorevole giudizio prognostico, come avvenuto in occasione della revoca della misura cautelare.

6. (OMISSIS) presentava ricorso con atto a firma dell’Avv. (OMISSIS).

6.1. Con il primo motivo deduceva contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento all’articolo 192 cod. proc. pen. e al mancato proscioglimento dai reati di cui ai capi C2), C6) e C7), agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).

La motivazione era incongruente rispetto ai dati fattuali e probatori acquisiti, valutati in modo non corretto.

In relazione al capo C2) le telefonate non dimostravano la compartecipazione del (OMISSIS), che comunque (OMISSIS) aveva dichiarato di non conoscere.

Inoltre non si sarebbe potuto valorizzare il fatto della partecipazione ai diversi episodi sub C3) e C4), di per se’ non oggetto di impugnazione.

In relazione al capo C6) l’intercettazione invocata era riferita ad un dialogo tra il (OMISSIS) e la moglie in cui era stato riferito solo un sogno e non un fatto reale, fermo restando che non erano stati visti il (OMISSIS) e il preteso acquirente (OMISSIS) intenti alla cessione di droga o di somme di denaro.

Con riguardo al capo C7), non era stata riscontrata l’ipotesi della cessione di droga da parte del ricorrente, posto che le intercettazioni non avevano consentito di individuare gli acquirenti, i quantitativi di sostanza e l’epoca delle cessioni.

Nella conversazione invocata dalla Corte territoriale si parlava di cifre non associate ad alcun oggetto.

6.2. Con il secondo motivo denunciava inosservanza o erronea applicazione della legge penale agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), con riguardo ai criteri di determinazione della pena e di concessione o diniego delle attenuanti generiche.

La Corte aveva fornito una laconica risposta omettendo di indicare gli elementi per cui il (OMISSIS) non avrebbe potuto godere delle attenuanti e di una minor pena.

6.3. Con il terzo motivo denunciava inosservanza ed erronea applicazione della legge penale agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione all’applicazione delle pene accessorie: la Corte non aveva offerto sul punto alcuna motivazione.

7. Presentava ricorso (OMISSIS) con atto a firma dell’Avv. (OMISSIS).

7.1. Con il primo motivo deduceva violazione e falsa applicazione degli articoli 192 e 530 cod. proc. pen., articolo 110 cod. pen. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 e della normativa in materia di favoreggiamento, motivazione apparente e contraddittoria in ordine alla partecipazione del ricorrente al reato sub C4).

La Corte aveva fondato il suo giudizio sulla desumibilita’ del dolo dal contesto familiare del (OMISSIS), stante il pregresso arresto del padre, sul tenore delle conversazioni e sul versamento di euro 1.500,00 tramite (OMISSIS) in favore del (OMISSIS). Ma non aveva potuto spiegare se il (OMISSIS) fosse consapevole del quantitativo di sostanza trattato e se lo stesso fosse stato reso edotto del contenuto delle trattative con i sudamericani, in assenza di prova di accordo preventivo con il (OMISSIS), sul quantitativo e sul prezzo.

La motivazione era dunque illogica e contraddittoria non essendo sufficiente invocare una serie di conversazioni e il precedente coinvolgimento del padre in affari illeciti.

Era certo solo il versamento di euro 1.500,00, insufficiente per l’acquisto di kg. 1,3 di stupefacente.

Inoltre non era stato spiegato come fosse desumibile l’adesione del (OMISSIS) al piano criminoso, essendosi fatto ricorso a congetture.

Peraltro si sarebbe dovuto aver riguardo all’elemento psicologico, al fine di distinguere il concorso nel reato permanente dal semplice favoreggiamento, unico reato nel caso di specie semmai configurabile.

Ed ancora, il versamento di euro 1.500,00 avrebbe dovuto comportare la responsabilita’ del (OMISSIS) in relazione ad un quantitativo di valore corrispondente, in tal caso riconducibile all’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.

7.2. Con il secondo motivo denunciava violazione e falsa applicazione degli articoli 192 e 530 cod. proc. pen., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 difetto di motivazione o motivazione contraddittoria, agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), con riguardo al capo C5).

La Corte si era basata sulle conversazioni intercettate e sul recupero di sostanza stupefacente nei confronti di tale (OMISSIS): ma si era trattato di un unico caso, a fronte di condotte che si sarebbero protratte per tre mesi, e inoltre le intercettazioni telefoniche non avrebbero potuto valutarsi, in assenza di riscontri sul fatto, come elemento idoneo a fondare la responsabilita’ dell’imputato, dovendosi comunque vagliare la chiarezza e decifrabilita’ dei dialoghi.

Dall’attivita’ di intercettazione non era stata comunque provata la trattativa, la disponibilita’ del venditore, il passaggio del denaro e della sostanza.

Il ragionamento del Giudice di merito era stato dunque carente e condotto in violazione dei principi in materia di valutazione della prova.

In ogni caso sarebbe stata configurabile l’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, per le modalita’ del fatto, il tempo in cui si sarebbe protratta la condotta, lo stato di dipendenza dalla cocaina, le difficolta’ economiche dell’imputato, nulla rilevando la semplice reiterazione delle condotte.

L’illogico ragionamento condotto aveva violato il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.

7.3. Con il terzo motivo deduceva violazione e falsa applicazione degli articoli 62-bis e 133 cod. pen., insufficienza e illogicita’ della motivazione, agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla pena.

A fronte della censura sollevata in appello di difetto di motivazione sul punto delle attenuanti generiche, la Corte aveva liquidato la questione in poche righe, con motivazione valida per tutti gli imputati, senza dare contezza del potere esercitato.

In ogni caso aveva erroneamente compiuto una duplice valutazione degli stessi elementi in contrasto con il principio del ne bis in idem sostanziale.

L’articolo 62-bis cod. pen. non costituisce infatti un doppione dell’articolo 133 cod. pen., dovendosi consentire al giudice di valutare elementi differenti rispetto a quelli indicati da tale norma per l’esercizio del potere discrezionale nella commisurazione della pena.

Si sarebbe dovuta inoltre ravvisare insufficienza della motivazione, in quanto la Corte non aveva fornito adeguata giustificazione dello scostamento dai minimi edittali.

8. Presentava ricorso anche il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano, denunciando:

erronea applicazione della legge penale agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 192 c.p.p., comma 3, all’articolo 192 c.p.p., comma 1 e all’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e);

mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione risultante dal testo del provvedimento e da altri atti del processo specificamente indicati agli effetti dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).

8.1. Segnalava l’errore commesso dalla Corte territoriale all’esordio, allorche’ aveva ritenuto di non poter valutare la memoria presentata dal Procuratore Generale in udienza, in quanto avrebbe introdotto nuovi temi di gravame.

Tale condizionante affermazione sottendeva la genericita’ dell’originario appello del Pubblico ministero e l’assunto che una memoria avrebbe introdotto motivi nuovi e diversi, avulsi dal contesto di quelli ritualmente presentati.

In realta’ l’originario appello non sarebbe potuto considerarsi generico, in quanto in sede di appello si sarebbe dovuto valutare il contenuto devolutivo, atto a provocare un nuovo esame nel merito, per il quale sarebbe stata sufficiente l’indicazione dei punti della sentenza da riesaminare e delle ragioni della richiesta.

In tale prospettiva veniva riprodotto l’appello del Pubblico ministero e si segnalava che lo stesso aveva focalizzato l’attenzione sulle dichiarazioni rese da (OMISSIS) in data 7/3/2013, che tuttavia non erano state valutate ne’ in primo grado ne’ in sede di appello.

Del resto la Corte territoriale aveva dato atto dell’esistenza di dichiarazioni del (OMISSIS) alla luce delle quali erano state concesse a costui le attenuanti generiche.

8.2. Il Procuratore Generale procedeva quindi nell’analisi per ciascun capo cui si riferivano i proscioglimenti.

In ordine al capo C1), riportava le dichiarazioni del (OMISSIS) e ripercorreva la motivazione del primo Giudice, facendo rilevare che quelle dichiarazioni non erano state valutate e che il giudizio si era basato sull’interpretazione di conversazioni e di sms intercettati.

La Corte aveva omesso di spiegare il motivo per cui la chiamata di correo coinvolgente anche i due (OMISSIS) e il (OMISSIS), non potesse ritenersi assistita da riscontri, ritraibili dall’appello e comunque dalla stessa sentenza di primo grado.

In tale prospettiva il ricorrente si soffermava sull’analisi di conversazioni e di sms.

8.3. In relazione al capo C2) parimenti si sarebbero dovuti ravvisare riscontri validi a corroborare la chiamata in correita’, insita nella dichiarazione del (OMISSIS) del 7/3/2013, nella parte in cui aveva ricondotto sostanzialmente ai due (OMISSIS) tutte le vicende.

Dialoghi ed sms avrebbero costituito fondamento di prova anche a carico di (OMISSIS), come emergeva anche da conversazioni menzionate dal primo Giudice.

D’altronde i riscontri avrebbero potuto essere di qualsiasi tipo e concernere anche solo una parte del narrato, se riguardante fatti in stretta connessione tra loro.

8.4. In relazione al capo C3) le dichiarazioni del (OMISSIS) corroboravano la responsabilita’ di tutti gli imputati e certamente anche del (OMISSIS), gia’ suffragata dalle risultanze delle conversazioni intercettate che venivano di nuovo riportate e analizzate, peraltro direttamente coinvolgenti anche (OMISSIS).

In particolare veniva segnalata l’opportunita’ di valutare le conversazioni nel loro insieme, quali segmenti indiziari, da conciliare con il complesso del materiale probatorio e indicanti la cointeressenza dei fratelli (OMISSIS).

8.5. Con riguardo al capo C4), si faceva rilevare che i messaggi coinvolgenti (OMISSIS) non erano generici e che inoltre sarebbe dovuta considerarsi la chiamata di correo del 7/3/2013 da parte del (OMISSIS), in ordine alla quale il primo Giudice aveva solo segnalato la natura etero-accusatoria delle dichiarazioni.

8.6. Di qui la richiesta di annullamento con rinvio con riferimento alle posizioni per cui era stato pronunciato proscioglimento.

9. Con memoria recante motivi aggiunti, depositata il 29/10/2015, l’Avv. (OMISSIS), difensore del ricorrente (OMISSIS), deduceva violazione e falsa applicazione dell’articolo 581 c.p.p., lettera c), in relazione all’appello del Pubblico Ministero, con conseguente inammissibilita’ del ricorso del Procuratore Generale.

Segnalava che nel giudizio di appello aveva eccepito l’inammissibilita’ dell’appello del Pubblico ministero per genericita’, in quanto conteneva rinvio ad atti del procedimento (informative, intercettazioni, ordinanza di custodia cautelare), senza specificare, in relazione a capi e punti ben individuati della sentenza impugnata e con riguardo a ciascun imputato, le puntuali censure e gli elementi che erano a base delle stesse.

Ne’ sarebbe potuta valere a colmare la lacuna la memoria del P.G., depositata in udienza.

Alla luce di tali considerazioni deduceva l’inammissibilita’ del ricorso presentato dal Procuratore Generale.

Veniva condiviso l’assunto della Corte secondo cui l’appello aveva solo prospettato una diversa e non maggiormente persuasiva lettura dello stesso materiale probatorio e si faceva rilevare che anche il ricorso aveva offerto una lettura alternativa di detto materiale, senza censurare la motivazione del giudice di merito nei modi e nei limiti in cui cio’ era consentito nel giudizio di legittimita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso presentato da (OMISSIS) e’ inammissibile.

In modo del tutto generico viene dedotto che la Corte territoriale si sarebbe limitata a valorizzare la gravita’ delle condotte, omettendo di fornire una motivazione a fondamento della decisione con cui erano state disattese le censure proposte con l’atto di appello.

In realta’, non solo va rilevato che la natura di tali omissioni non ha formato oggetto di puntuale indicazione, ma va anche osservato che la Corte ha debitamente valutato la collaborazione prestata dal (OMISSIS), per questo concedendo al predetto le attenuanti generiche, che hanno fortemente inciso sull’entita’ della pena in concreto irrogata, per il resto dando atto della gravita’ delle condotte (gia’ sottolineata dal primo Giudice, anche in relazione alla loro reiterazione e al loro riferirsi a quantitativi significativi), fermo restando che la pena base, prima delle riduzione per le generiche, e’ stata determinata in anni sette di reclusione ed euro 30.000,00, cioe’ in misura non lontana dai minimi edittali, e che assai contenuti sono risultati gli aumenti per la continuazione con gli ulteriori reati.

Alla declaratoria di inammissibilita’ segue la condanna al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa sottesi alla causa di inammissibilita’, della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.

2. Deve considerarsi inammissibile anche il ricorso presentato nell’interesse di (OMISSIS).

2.1. Con il primo motivo il ricorrente ha riproposto i medesimi argomenti sui quali si era fondato l’appello, peraltro conformi alla linea difensiva incentrata sulle pretese minacce subite in Colombia, a fronte delle quali il (OMISSIS) avrebbe prelevato la droga, disfacendosene immediatamente e poi fingendo con i sodali di stare al gioco, prima di rendersi irreperibile.

Ma quegli argomenti erano stati giudicati insufficienti dal primo Giudice e sono stati ritenuti del tutto infondati dalla Corte territoriale sulla base di valutazioni che hanno tenuto conto del materiale probatorio acquisito e che non presentano vizi logici o profili di manifesta illogicita’.

In particolare e’ stato rilevato come, a fronte delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), gli elementi addotti a sostegno, costituiti dal mancato rintraccio della droga o di denaro in Madagascar e dal fatto che il ricorrente avesse superato controlli presso altri scali aeroportuali, non potessero in alcun modo dirsi conducenti, in quanto la droga non era stata neppure cercata, men che mai nel luogo in cui il (OMISSIS) si era nascosto, e che il superamento di eventuali controlli avrebbe dovuto costituire la base stessa dell’operazione, anche per il (OMISSIS) che avrebbe dovuto ritirare la droga in Madagascar.

Per il resto la Corte ha osservato che a carico del ricorrente militava anche la chiamata in correita’ operata da (OMISSIS) e che l’assunto difensivo era rimasto indimostrato, in senso contrario deponendo invece le numerose conversazioni intercettate, non compatibili con la tesi del costringimento mediante armi da fuoco e del conseguente timore, che avrebbe determinato uno stato di necessita’.

A fronte di tali valutazioni il ricorrente si e’ limitato a dedurre che le intercettazioni non sarebbero state idonee a far dubitare della genuinita’ della tesi difensiva e a ribadire quest’ultima, in tal modo proponendo inammissibili censure di merito in favore di una diversa ipotesi ricostruttiva e omettendo di confrontarsi con le valutazioni della Corte e soprattutto con l’argomento incentrato sulla confermativa chiamata in correita’.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha contestato la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale, censurando la motivazione incentrata sull’asserito coinvolgimento in un contesto di notevole spessore criminale, rappresentato da trafficanti sudamericani.

Ma anche in questo caso il ricorrente ha omesso di confrontarsi con il quadro complessivo degli elementi a carico, debitamente valutati dalla Corte territoriale, giunta al riconoscimento della penale responsabilita’ proprio sulla base di quell’inserimento, che aveva consentito al (OMISSIS) di farsi consegnare il quantitativo di sostanza stupefacente da trasportare in Madagascar, d’intesa con gli altri sodali italiani.

Assume rilievo a questo riguardo quanto rilevato dal primo Giudice in ordine alle fotografie risalenti al 27/28 febbraio 2012, che gia’ ritraevano insieme il (OMISSIS) e il (OMISSIS) in Colombia (pag. 90), nonche’ in ordine alle rimostranze di (OMISSIS) per un pregresso debito del (OMISSIS) nei suoi confronti di euro 4.500,00 (pag. 64).

Corretta risulta dunque la valutazione che ha condotto la Corte territoriale a negare l’invocato beneficio, essendosi fatto riferimento ad un dato personologico significativo, evocante la capacita’ del ricorrente di varcare la soglia del crimine.

2.3. Anche nei confronti del (OMISSIS), attesa l’inammissibilita’ del ricorso, va in conclusione pronunciata condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.

3. Parimenti inammissibile risulta il ricorso presentato nell’interesse di (OMISSIS).

3.1. Relativamente al capo C2), si deduce che le conversazioni intercettate, poste dalla Corte territoriale a fondamento della conferma della condanna, non dimostrerebbero la compartecipazione del (OMISSIS) all’operazione, ma solo il fatto che egli ne fosse consapevole, in assenza di conversazioni intercorrenti tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) e a fronte del fatto che il (OMISSIS) aveva sostenuto di conoscere solo il (OMISSIS).

Ma in tal modo sono stati semplicemente riproposti i temi oggetto dell’atto di appello, a sostegno di una ricostruzione di merito reputata preferibile, senza alcuna considerazione delle ragioni poste dalla Corte alla base della condanna e in particolare senza specifica contestazione della valenza delle conversazioni riportate dal primo Giudice alle pagine da 66 a 69, richiamate dalla Corte, che ha da esse, tutt’altro che illogicamente (considerando il rincrescimento espresso dal (OMISSIS) e i non benevoli propositi da lui manifestati), tratto la piena prova del coinvolgimento del ricorrente.

D’altro canto non puo’ dirsi illegittimo neppure il riferimento fatto dalla Corte territoriale al coinvolgimento del (OMISSIS) negli episodi sub C3) e C4), non oggetto di contestazione con l’atto di appello: ed invero se tali episodi da soli non avrebbero potuto comprovare la responsabilita’ del (OMISSIS) per l’ulteriore spedizione sub C2), ben avrebbero potuto invece invocarsi a supporto, per segnalare la medesimezza delle condotte e dei soggetti coinvolti.

3.2. Relativamente al capo C6) il motivo di ricorso e’ nel contempo generico e manifestamente infondato.

In primo luogo non si formula alcun rilievo con riguardo alla cessione di sostanza stupefacente da parte del (OMISSIS) a tale (OMISSIS), peraltro rinvenuto in possesso di un quantitativo di cocaina subito dopo un incontro con il ricorrente.

In secondo luogo si muove dall’assunto che la prova della cessione in favore di tale (OMISSIS) sarebbe stata desunta da una conversazione tra il (OMISSIS) e la moglie, nella quale sarebbe stato raccontato un sogno e non un fatto reale.

Ma in realta’ la Corte territoriale, anche sulla scorta di quanto osservato dal primo Giudice, non ha affatto fondato il proprio giudizio su dati onirici, bensi’ su elementi calati nella realta’, costituiti essenzialmente dai contatti telefonici intercorsi tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), che in una circostanza si era accordato con l’altro per comprare “il pane”: in effetti, come accertato dal primo Giudice, l’incontro era stato direttamente osservato dalla P.G. ed era risultato fugace, con il (OMISSIS) che, recatosi in auto presso la banca in cui lavorava il (OMISSIS), lo aveva fatto salire a bordo, facendogli fare un giro dell’isolato e facendolo scendere subito dopo.

Solo a conferma il primo Giudice aveva riportato una conversazione tra il (OMISSIS) e la moglie nella quale il ricorrente in risposta al racconto di un sogno della moglie, aveva raccontato di aver sognato di essersi incontrato con l’amico Giancarlo che lavorava in banca e di avergli mostrato la droga.

Cio’ significa che il ricorrente ha formulato un rilievo deassiale rispetto al reale quadro probatorio e non si e’ debitamente confrontato con quest’ultimo.

3.3. Relativamente al capo C7), il motivo di ricorso e’ all’evidenza generico. Viene infatti dedotto che l’assunto dell’attivita’ di spaccio compiuta presso il bar-tabaccheria (OMISSIS) non avrebbe trovato riscontri probatori diversi da conversazioni intercorse nell’auto tra il (OMISSIS) e la moglie e che per tale via non sarebbe comunque risultato chi fossero gli acquirenti e quali quantitativi fossero stati ceduti: riassuntivamente si afferma che gli stralci di conversazione di cui alle pagine 10, 11 e 12 della sentenza dimostrerebbero l’errata valutazione delle prove.

Ma in realta’ proprio tale ultimo asserto suffraga invece l’inammissibilita’ del ricorso, che non si cala nella concreta realta’ delle conversazioni, ampiamente richiamate sia dal primo Giudice che dalla Corte territoriale, conversazioni nelle quali si da conto della continuativa attivita’ di spaccio e dei lucri attraverso di essa conseguiti e conseguibili, oltre che dei relativi rischi. In ogni caso il ricorrente non censura specificamente il significato attribuito a quelle conversazioni ne’ la loro genuinita’, che la Corte ha con valutazione immune da vizi ritenuto quanto mai elevata, atteso il contesto riservato (nell’autovettura) in cui le conversazioni erano intercorse.

3.4. Generico risulta il secondo motivo di ricorso riguardante il trattamento sanzionatorio e le attenuanti generiche.

Si assume che la Corte non avrebbe debitamente giustificato l’uso del potere discrezionale, limitandosi a rilevare che non vi era spazio per la riduzione della pena e per la concessione delle attenuanti generiche.

Ma in realta’ gia’ il primo Giudice aveva specificamente valorizzato la gravita’ e la continuita’ delle condotte, in tal modo dando conto della valutazione degli elementi rilevanti ai fini della determinazione della pena.

La Corte ha osservato che non vi era spazio per una riduzione della stessa, non essendo state indicate le ragioni per cui essa si sarebbe dovuta reputare eccessiva e non essendosi invocati validi elementi a sostegno della richiesta di concessione delle attenuanti generiche: in particolare la Corte ha ritenuto di non poter attribuire rilievo all’asserita confessione, in quanto assolutamente necessitata, e neppure all’inconferente percorso terapeutico per vincere la dipendenza dal gioco d’azzardo.

Si tratta di valutazioni pienamente in linea con i parametri cui e’ legata sia l’individuazione di elementi specifici che giustificano la concessione delle atipiche attenuanti di cui all’articolo 62-bis cod. pen. sia la concreta determinazione della pena ai sensi dell’articolo 133 cod. pen.: a fronte di cio’ non sono state formulate specifiche censure, essendosi omesso di considerare l’esatto contenuto di quelle valutazioni.

3.5. Il terzo motivo di ricorso, riguardante le pene accessorie, e’ manifestamente infondato.

Del tutto correttamente la Corte ha applicato d’ufficio le pene accessorie di legge, applicazione non legata a valutazioni discrezionali, ma dipendente dall’entita’ della pena irrogata (sul punto Cass. Sez. U. n. 8411 del 27/5/1998, Ishaka, rv. 210979): non sarebbe stata dunque necessaria alcuna motivazione specifica.

3.6. Anche nei confronti di (OMISSIS) va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.

4. Inammissibile risulta il ricorso presentato nell’interesse di (OMISSIS).

4.1. Il primo motivo, concernente l’imputazione sub C4), si risolve in mere asserzioni, che non si confrontano in alcun modo con il discorso giustificativo della decisione contenuto nella sentenza di primo grado e in quella della Corte territoriale, posto che le motivazioni, in presenza di cd. doppia conforme, si saldano tra loro.

Ed invero si assume dal ricorrente che il giudizio di penale responsabilita’ sarebbe stato fondato sul fatto che il (OMISSIS) era inserito in un contesto familiare, coinvolgente nel medesimo giro anche il padre (OMISSIS), sul tenore delle conversazioni telefoniche e sul versamento della somma di euro 1.500,00, ma in assenza di prove in ordine alla consapevolezza da parte del (OMISSIS) del quantitativo trattato e delle trattative intercorse con i sudamericani e dunque in assenza di prove del coinvolgimento del (OMISSIS) negli accordi intercorsi ai fini della spedizione di cui al capo C4).

Ma si tratta, come detto, di assunti apodittici, che non trovano conferma nel contenuto delle sentenze di merito.

Il primo Giudice aveva riportato il testo di numerose conversazioni telefoniche coinvolgenti il (OMISSIS) e tra queste le conversazioni che davano conto dei contatti intercorsi tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) da un lato e tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS) dall’altro per l’organizzazione del viaggio nonche’ specificamente le conversazioni dalle quali era emerso che il (OMISSIS), con l’ausilio del (OMISSIS), aveva deciso di trovare direttamente un accordo con il fornitore colombiano scavalcando il (OMISSIS).

In particolare il primo Giudice aveva riportato (a pag. 48) la conversazione tra (OMISSIS) e (OMISSIS), dalla quale era emerso che il (OMISSIS) in Colombia aveva preso accordi in modo che “siamo solo io e te” e che peraltro sarebbe occorso l’immediato invio di una somma di denaro (aveva detto (OMISSIS) al (OMISSIS): “cio’ se gli mandiamo ste 1500 allora lui ti fa lavorare pure a te, diciamo”): di seguito, come accertato dal primo Giudice, il (OMISSIS) aveva effettivamente provveduto ad inviare quella somma.

L’operazione si era conclusa con l’arrivo in Italia del (OMISSIS), che, dopo aver riferito al (OMISSIS) di essere “scarico”, si era fatto venire a prendere dal (OMISSIS): in quel frangente la vettura del (OMISSIS) con a bordo il predetto e il (OMISSIS) era stata fermata e controllata, cio’ che aveva condotto al rinvenimento di due bottiglie contenenti cocaina liquida.

La Corte territoriale ha segnalato come il (OMISSIS) fosse inserito in un contesto familiare di spaccio, in ragione del coinvolgimento del padre (OMISSIS), gia’ tratto in arresto, e ha sottolineato che il (OMISSIS) ben sapeva cio’ di cui si stava parlando in occasione dei colloqui intercettati.

Ha aggiunto che il predetto aveva consapevolezza dell’operazione di importazione cui stava partecipando, al di la’ del controvalore della somma da lui inviata, posto che lo stupefacente era destinato a piu’ soggetti.

Ma la Corte territoriale, oltre a segnalare la valenza dell’arresto del (OMISSIS), avvenuto dopo che egli si era recato a prendere il (OMISSIS) di ritorno dalla Colombia, ha introdotto l’argomento specifico costituito dalla chiamata in correita’ del (OMISSIS), precisando infine che il proscioglimento del (OMISSIS) dai reati sub C1), C2) e C3) era dipeso dalla mancanza di prove circa la sua diretta partecipazione, pur essendo egli a conoscenza delle operazioni.

Si tratta di una serie di argomenti che da un lato erano idonei a rispondere alle censure formulate nell’atto di appello, sostanzialmente riproposte in questa sede, e che dall’altro non vengono specificamente contrastati nel motivo di ricorso, che si limita ad assumere apoditticamente che per quel tramite non sarebbe stata acquisita prova del consapevole coinvolgimento del (OMISSIS) nell’operazione nel suo complesso, senza che pero’ venga spiegato perche’ le conversazioni riportate dal primo Giudice e sostanzialmente richiamate dalla Corte territoriale, valutate alla luce degli altri elementi, non fossero idonee a spiegare il tipo di coinvolgimento del (OMISSIS), quale diretto sodale del (OMISSIS), intenzionato ad estromettere il (OMISSIS) dall’affare.

Del resto non consta che la Corte abbia fondato la conferma della condanna sul pregresso coinvolgimento del padre, ma ha invece debitamente inserito tale elemento nel quadro degli elementi probatori a carico del (OMISSIS), in quanto contribuente a delineare il contesto relazionale nel quale il predetto si muoveva.

Inoltre il ricorrente omette di considerare il riferimento fatto alla chiamata in correita’ da parte del (OMISSIS), il che vale di per se’ a segnalare la genericita’ del motivo.

4.2. Non corrisponde al vero che la Corte territoriale abbia escluso l’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, sulla sola base del rilievo che, anche considerando il controvalore di euro 1.500,00, non si sarebbe trattato di quantitativo trascurabile.

Deve osservarsi in via generale che la questione, sostanzialmente irrilevante al momento del fatto, allorche’ l’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, costituiva una mera attenuante, assume maggiore rilievo a seguito della modifica introdotta dal Decreto Legge 20 marzo 2014, n. 36, articolo 1, comma 24-ter, lettera a), convertito con modificazioni dalla Legge 16 maggio 2014, n. 79, per effetto della quale la norma contempla un reato autonomo, del quale va specificamente valutato l’elemento psicologico.

Ma in realta’ la Corte ha solo dialetticamente aggiunto quell’argomento (senza riconoscere la verosimiglianza dell’assunto difensivo) alla complessiva motivazione, essenzialmente incentrata sulla compartecipazione del (OMISSIS) all’intera operazione, destinata ad assicurare l’importazione di un quantitativo di cocaina rilevante, tale in effetti risultato, tenendo conto delle due bottiglie di cocaina liquida recuperate.

Del tutto inconferente risulta dunque anche la censura volta a segnalare la mancanza di riscontro tra l’importo di euro 1.500,00 e l’effettivo quantitativo di stupefacente, censura peraltro contraddittoria in se’, in quanto nel contempo non potrebbe trarsi dal riferimento all’importo neppure la conclusione della sua compatibilita’ con l’ipotesi invocata.

Va comunque osservato che la Corte territoriale, seguendo l’impostazione del primo Giudice, ha correttamente ritenuto che il (OMISSIS) avesse partecipato all’operazione come tale e che la somma di euro 1.500,00 avesse costituito l’immediato contributo fornito dal (OMISSIS) alla sua riuscita, contributo che, sulla base della citata conversazione richiamata nella sentenza di primo grado, risultava in quella fase necessario, fermo restando che sul piano difensivo non e’ stato dedotto come un importo di euro 1.500,00 potesse farsi rientrare nell’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5, anche alla luce degli altri parametri presi in considerazione dalla norma.

4.3. Manifestamente infondata risulta la tesi della configurabilita’ del delitto di favoreggiamento.

Tale tesi invero si fonda semmai solo sull’atto finale, ma elimina dalla scena tutto cio’ che ha preceduto il viaggio di ritorno del (OMISSIS) in Italia, compreso l’invio da parte del (OMISSIS) della somma di euro 1.500,00, invio sul quale primariamente si focalizza il contributo materiale del ricorrente, suggellandone la corresponsabilita’ a titolo di concorso nel reato.

In ogni caso, anche valutando l’atto finale sul piano fenomenologico, a fronte dell’importazione della cocaina ormai perfezionatasi con il ritorno del (OMISSIS) in Italia, giammai si sarebbe potuto ravvisare il delitto di favoreggiamento, posto che la condotta del (OMISSIS), come spiegata dai giudici di merito, era volta ad assicurare non la cessazione della detenzione bensi’ il sicuro trasporto anche della droga, che il (OMISSIS) recava con se’ (piu’ in generale si rinvia a Cass. Sez. U. n. 36258 del 24/5/2012, Biondi, rv. 253151, secondo cui il reato di favoreggiamento non e’ configurabile rispetto alla illecita detenzione di stupefacenti, in costanza di detta detenzione, perche’ nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole posta in essere prima che la condotta sia cessata, si risolve in un concorso nel reato).

4.4. Generico e comunque manifestamente infondato e’ il secondo motivo di ricorso, riguardante l’imputazione sub C5).

Il ricorrente formula ancora una volta rilievi astratti, mediante proposizioni apodittiche che non si confrontano con la realta’ della prova, posta dai Giudici di merito a fondamento del giudizio di penale responsabilita’.

E’ inconferente la generica contestazione delle conversazioni intercettate se non si spiega puntualmente sotto quale profilo le stesse dovrebbero considerarsi inidonee a suffragare l’ipotesi accusatoria.

Parimenti inconferente risulta l’assunto incentrato sulla mancanza di indizi gravi, previsti e concordanti, ove non si segnali la concreta lacuna emergente dal quadro probatorio utilizzato dalla Corte territoriale e dal primo Giudice.

In realta’ l’accertamento riguardante il capo C5), incentrato su plurime condotte di spaccio di stupefacenti, si fonda su una serie di analoghi colloqui intercettati con i titolari di diverse utenze, con i quali con cadenza quasi giornaliera il (OMISSIS) si incontrava, incontri il cui significato e’ stato valutato alla luce del tenore dei colloqui e di due elementi ulteriori, costituiti dal recupero di 3 grammi di cocaina in possesso di tale (OMISSIS), dopo che lo stesso si era incontrato con il (OMISSIS), e dalle dichiarazioni di (OMISSIS), a detta del quale il (OMISSIS) gli aveva fornito cocaina per 4/5 anni.

Se questo e’ il concreto accertamento, sinteticamente richiamato dalla Corte territoriale, risulta evidente la genericita’ del motivo, che fra l’altro non si confronta in alcun modo con le dichiarazioni dell’ (OMISSIS) (nel ricorso si confonde peraltro la posizione dell’ (OMISSIS) con quella dell’ (OMISSIS)).

4.5. Ancora una volta generiche risultano le censure riferite al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, essendosi semplicemente riproposti i profili gia’ dedotti nell’atto di appello, riguardanti le modalita’ del fatto, con cessione di piccoli quantitativi, il tempo in cui si sarebbe protratta la condotta, lo stato di dipendenza da cocaina, le difficolta’ economiche.

In realta’ questo profilo del secondo motivo non si misura con i parametri indicati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e con l’interpretazione corrente della norma secondo cui tale ipotesi ricorre solo nel caso di minima offensivita’, desumibile dal dato quantitativo e qualitativo nonche’ dagli altri parametri, cioe’ i mezzi, le modalita’ e le circostanze dell’azione, con la conseguenza che ove uno degli indici risulti negativamente assorbente ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (Cass. Sez. U. n. 35737 del 24/6/2010, Rico, rv. 247911; Cass. Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, Xhihani, rv. 263651; Cass. Sez. 6, n. 39977 del 19/9/2013, Tayb, rv. 256610).

E’ vero che l’ipotesi invocata e’ compatibile anche con condotte reiterate, nel quadro del cd. piccolo spaccio: tuttavia la Corte territoriale ha correttamente fatto leva sulla posizione complessiva del ricorrente e rilevato che lo stesso non occupava un ruolo marginale, fermo restando il significato della pressoche’ quotidiana capacita’, emergente dalla sentenza di primo grado, di rifornire una pluralita’ di acquirenti, la quale implicava la disponibilita’ di canali di approvvigionamento e la previa acquisizione di sufficienti quantitativi da riversare nel minuto spaccio.

Cio’ si colloca al di fuori del piccolo spaccio, cioe’ al di fuori del mero riscontro estrinseco di una pluralita’ di condotte di spaccio al minuto, compatibili con il giudizio di minima offensivita’, rientrando invece in una dimensione qualificata dal numero degli acquirenti e dei quantitativi a disposizione.

D’altro canto la gran parte dei profili invocati dal ricorrente sono inidonei a suffragare la concreta configurabilita’ dell’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5, cit.: anche a voler reputare rilevanti le circostanze soggettive dell’azione (secondo quanto prospettato da Corte cost. n. 333 del 1991, peraltro in un quadro normativo diverso) e a voler dunque riconoscere la valenza delle finalita’ perseguite dal reo, in quanto tossicodipendente, dovrebbe nondimeno inquadrarsi tale elemento all’interno di una complessiva valutazione dei parametri di riferimento, non potendosi attribuire allo stesso significato dirimente, soprattutto quando si accerti un’attivita’ di spaccio di dimensioni ragguardevoli (Cass. Sez. 3, n. 27/3/2015, Genco, rv. 264490); va aggiunto che nel caso di specie la dipendenza da cocaina e la difficolta’ economica sono solo assertivamente invocate in questa sede e che l’assunto del ristretto ambito temporale, non tiene conto delle dichiarazioni rese dal citato (OMISSIS), secondo cui il (OMISSIS) lo riforniva da anni.

4.6. Manifestamente infondato e ancora una volta generico risulta il terzo motivo riguardante il trattamento sanzionatorio.

Si assume che si sarebbe tenuto conto due volte di uno stesso elemento, sia ai fini della determinazione della pena sia ai fini del diniego delle attenuanti generiche e che inoltre sarebbe mancata una motivazione adeguata in punto di commisurazione della pena.

Ma, quanto alle attenuanti generiche, il primo giudice aveva espressamente negato la concessione, osservando che, a fronte della gravita’ dei fatti, non militava in favore delle attenuanti atipiche il comportamento processuale, caratterizzato al piu’ da confessioni parziali e comunque necessitate.

La Corte territoriale ha sottolineato per parte sua che non sussisteva alcun elemento di positiva valutazione, al fine del riconoscimento delle attenuanti generiche.

In tale prospettiva il motivo di ricorso risulta all’evidenza privo di qualsivoglia riscontro negli argomenti utilizzati dai giudici di merito, i quali, se per un verso hanno segnalato la gravita’ dei fatti, dall’altro hanno semplicemente preso atto dell’insussistenza di elementi specificamente valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti invocate.

Ne’ il motivo di ricorso segnala profili gia’ invocati, di cui non si sia tenuto conto e che dunque siano stati indebitamente pretermessi in sede di valutazione della concedibilita’ delle attenuanti atipiche.

Va infatti osservato che l’articolo 62-bis cod. pen. rimette al Giudice la facolta’ di trarre motivo di riduzione della pena da circostanze diverse da quelle specificamente tipizzate, solitamente desunte da uno o piu’ dei parametri che presiedono alla determinazione della pena, contemplati dall’articolo 133 cod. pen., esclusa peraltro, per disposizione di legge, la possibilita’ di attribuire rilievo alla mera incensuratezza.

In sostanza la concessione delle attenuanti postula comunque l’individuazione di un elemento positivamente valutabile a tal fine, inerente al fatto o alla personalita’ del reo, che giustifichi in concreto l’attenuazione della pena (Corte Cost. n. 183 del 2011 fa riferimento ad un “principio generale che governa la complessa attivita’ commisurativa della pena da parte del giudice, saldando i criteri di determinazione della pena base con quelli mediante i quali essa, secondo un processo finalisticamente indirizzato dall’articolo 27 Cost., comma 3, diviene adeguata al caso di specie anche per mezzo dell’applicazione delle circostanze”).

Ed allora la motivazione dei giudici di merito, che hanno ritenuto di non poter attribuire rilievo ad alcun specifico elemento, risulta corretta e rispettosa del relativo onere di motivazione, in assenza di puntuali indicazioni rivenienti dalla parte interessata e in assenza di specifiche censure rilevanti in questa sede.

Ne’ puo’ porsi in concreto un problema di violazione del bis in idem sostanziale.

In via astratta va effettivamente osservato che “il giudice di merito non puo’ valutare un fatto integrante una specifica circostanza attenuante o aggravante sia ai fini della quantificazione della pena base che ai fini della sua successiva attenuazione o aggravamento, atteso che, ai sensi dell’articolo 63 c.p., comma 1, l’aumento o la diminuzione della pena previsti da circostanze tipizzate presuppongono una base di calcolo che esclude dai suoi elementi di valutazione lo stesso fatto integrante la circostanza” (Cass. Sez. 3, n. 40765 del 30/4/2015, Brutto, rv. 264905). Tale principio, riferito alle attenuanti generiche, implica che una volta individuato l’elemento positivamente valutabile ai fini dell’attenuazione, non si possa allo stesso attribuirsi valore anche in sede di determinazione della pena, il che non coincide con la prospettiva invocata dal ricorrente.

Semmai il problema potrebbe porsi allorche’ l’elemento in teoria valutabile, sia stato reputato in concreto inidoneo, in quanto sub-valente rispetto ad altri, nel quadro di una globale valutazione dei parametri di cui all’articolo 133 cod. pen. (insegna invero Cass. Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic, rv. 256172, che per il diniego della concessione delle attenuanti generiche non e’ necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purche’ la valutazione di tale rilevanza tenga obbligatoriamente conto, a pena di illegittimita’ della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato): cio’ tuttavia non porrebbe un problema di bis in idem, in quanto semplicemente sarebbe stato fatto uso del potere discrezionale nei limiti consentiti, da un lato per escludere una ragione di attenuazione e dall’altro per addivenire al calcolo della pena.

Sta di fatto che comunque nel caso di specie il problema non si pone in alcun modo, in quanto i giudici di merito, come rilevato, non hanno individuato alcun elemento in concreto valutabile ai fini della concessione delle attenuanti generiche, cosicche’ non rileva il riferimento alla gravita’ dei fatti, la quale ha costituito invece il parametro fondamentale di determinazione della pena e non ha assunto il significato ulteriore di contrastare la valenza di eventuali elementi atipici.

Quanto poi alla determinazione della pena, e’ dirimente osservare che il primo Giudice, discostatosi in misura modesta dal minimo edittale rispetto alla pena base del reato sub C4), ha comunque valorizzato un parametro legittimamente valutabile, costituito dalla gravita’ e reiterazione dei fatti, e che la Corte territoriale ha asseverato tale giudizio, peraltro rilevando che il (OMISSIS) non aveva avuto un ruolo marginale e nel contempo osservando che la pena non si sarebbe potuta ridurre, in quanto gia’ irrogata in misura contenuta, sia con riferimento alla pena base sia con riguardo all’aumento per la continuazione, tenendo conto che gli episodi sub C5) avrebbero implicato anche un computo della continuazione interna.

Deve dunque escludersi che sia mancata una motivazione congrua e adeguata in punto di determinazione della pena, dovendosi invece ritenere che il giudizio sia stato fondato sulla presa d’atto completa degli elementi in concreto valorizzagli, alla luce di quanto previsto dall’articolo 133 cod. pen., e risulti dunque suscettibile di adeguato controllo.

4.7. All’inammissibilita’ del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa sottesi alla causa di inammissibilita’, della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.

5. Un’analisi piu’ articolata si impone con riferimento al ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Milano.

5.1. Va in primo luogo osservato come il primo Giudice avesse ritenuto di prosciogliere (OMISSIS) da tutti i reati a lui ascritti, (OMISSIS) dal reato sub C1) e (OMISSIS) dai reati sub C1), C2) e C3), sul rilievo che le conversazioni e gli sms acquisiti, in quanto di generico o ambivalente contenuto, non suffragassero la loro diretta partecipazione a quelle operazioni, quand’anche potessero far ritenere che gli stessi ne avessero avuto conoscenza.

Il Pubblico Ministero aveva presentato appello (l’appello e’ per intero richiamato nel ricorso del P.G. e allegato alla memoria presentata dall’Avv. (OMISSIS), difensore di (OMISSIS)), deducendo che erano stati erroneamente valutati gli elementi a carico degli imputati, posto che le conversazioni e gli sms nonche’ le risultanze dei servizi di osservazione e controllo erano gia’ risultati idonei a fondare una richiesta di applicazione di misura cautelare ed erano stati poi confermati dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS).

Oltre a descrivere l’esordio dell’indagine e l’apparire sulla scena dei vari personaggi, l’appellante aveva poi riportato un ampio stralcio delle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) nel corso dell’interrogatorio del 7/3/2013, essenzialmente riferite all’episodio sub C1), dopo di che aveva richiamato gli elementi, costituiti da sms e conversazioni, che erano stati menzionati nell’informativa di P.G. con riferimento alle imputazioni dalle quali i vari imputati erano stati prosciolti.

L’appellante assumeva che quegli elementi avrebbero dovuto considerarsi tutt’altro che generici e dunque idonei a suffragare la penale responsabilita’ di quegli imputati.

Il Procuratore Generale all’udienza celebrata dinanzi alla Corte di appello di Milano aveva presentato una memoria, nella quale aveva dato un assetto diverso alle doglianze contenute nell’atto di appello, sottolineando che in realta’ tutti gli elementi acquisiti avrebbero dovuti intendersi come riscontri del dato probatorio fondamentale costituito dalla chiamata in correita’ riveniente dalle dichiarazioni rese dal (OMISSIS): in tal modo l’analisi era stata condotta con riferimento alle singole imputazioni, in modo da delineare il quadro dei riscontri desumibili dai vari elementi acquisiti.

Le difese, in particolare l’Avv. (OMISSIS), aveva eccepito la genericita’ dell’atto di appello e l’inammissibilita’ della memoria del P.G..

La Corte di appello ha in concreto respinto l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello, ma ha rilevato che la memoria del P.G. non avrebbe potuto intendersi come idonea ad ampliare la sfera dell’appello fino ad includere temi di gravame nuovi, in precedenza non allegati.

Nel merito poi l’appello del Procuratore della Repubblica e’ stato interamente respinto, con conferma delle pronunce assolutorie.

In questa sede la questione dell’ammissibilita’ dell’originario appello del Pubblico Ministero e’ stata riproposta dall’Avv. (OMISSIS) con memoria contenente motivi aggiunti sullo specifico tema: si e’ dedotto che l’inammissibilita’ dell’appello per mancanza del requisito della specificita’ avrebbe travolto anche il ricorso del Procuratore Generale e si e’ rilevato inoltre come correttamente la Corte avesse disatteso i rilievi del P.M., limitatosi ad una diversa e non maggiormente persuasiva lettura dello stesso materiale probatorio; quanto al ricorso del Procuratore Generale si e’ dedotto altresi’ che lo stesso parimenti era rivolto ad una rilettura del materiale probatorio e non dimostrava l’insufficienza dell’iter argomentativo seguito dal giudice del merito.

5.2. Cio’ posto, e’ d’uopo rilevare in primo luogo che la memoria, con motivi aggiunti, presentata dall’Avv. (OMISSIS), deve ritenersi ammissibile, in quanto, con essa si deducono questioni non sollevate con il ricorso ma rese attuali (e di interesse per la parte) solo dal ricorso del Procuratore Generale.

5.3. In secondo luogo deve condividersi il rilievo della Corte territoriale per cui la memoria presentata dal Procuratore Generale solo all’udienza dinanzi alla Corte di appello non avrebbe potuta prendersi in considerazione in riferimento a nuovi temi di gravame, per quanto riferiti ai medesimi capi e punti.

Va infatti rimarcato che la memoria per questa parte si sarebbe dovuta reputare tardiva, in quanto presentata dopo che era decorso il termine per la presentazione di motivi aggiunti.

Questi ultimi d’altro canto devono riguardare gli stessi capi e punti oggetto dell’appello originario (Cass. Sez. 6, n. 45075 del 2/10/2014, Sabbatini, rv. 260666): proprio per questo non puo’ utilmente darsi ingresso ad una memoria tardivamente presentata, sol perche’ riferita ai medesimi capi e punti, per tale via addivenendosi altrimenti ad una indebita violazione del termine previsto a pena di inammissibilita’.

5.4. In concreto si rileva che anche l’appello e’ soggetto alla disciplina prevista in generale per le impugnazioni dall’articolo 581 cod. proc. pen..

Al comma 1, lettera c), si prevede in particolare che devono essere esposti i motivi con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

Prevale in proposito la tesi che il requisito della specificita’ dei motivi debba essere inteso in modo meno rigoroso con riguardo all’appello rispetto al giudizio di legittimita’ (Cass. Sez. 5, n. 41082 del 19/9/2014, Sforzato, rv. 260766; Cass. Sez. 1, n. 1445 del 14/10/2013, dep. nel 2014, Spada, rv. 258357, ove si sottolinea il carattere devolutivo dell’appello, atto a provocare un nuovo giudizio di merito).

Peraltro si sottolinea che la specificita’ dei motivi deve essere valutata alla luce della funzione dell’impugnazione, non potendo essere intesa in modo da eludere il disposto dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), (Cass. Sez. 5, n. 39210 del 29/5/2015, Jovanovic, rv. 264686). Ed ancora si pone in luce che l’appello deve comunque contrapporre alle ragioni poste a fondamento della decisione impugnata argomentazioni che attengano agli specifici passaggi della motivazione della sentenza ovvero concreti elementi fattuali pertinenti a quelli considerati dal primo giudice, senza limitarsi a considerazioni generiche e astratte (Cass. Sez. 6, n. 37392 del 2/7/2014, Alfieri, rv. 261650).

In particolare si afferma che il motivo di appello e’ generico per mancanza di specificita’ quando la deduzione che lo sorregge in se’ considerata non e’ pertinente e non e’ formulata in termini tali da indicare al giudice di secondo grado la direzione verso la quale deve indirizzarsi la sua verifica autonoma e da consentire al medesimo sulla base di quanto dedotto un apprezzamento tendenzialmente idoneo ad orientare la decisione del punto devoluto (Cass. Sez. 6, n. 13446 del 12/2/2014, Meli, rv. 261830).

Tali principi devono essere letti alla luce dell’ulteriore consolidato principio per cui il giudice che intenda riformare integralmente il giudizio di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e confutare specificamente i piu’ rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Cass. Sez. U. n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, rv. 231679; nello stesso senso Cass. Sez. 5, n. 35762 del 5/5/2008, Aleksi, rv. 241169, secondo cui il giudice deve dimostrare l’insostenibilita’ sul piano logico e giuridico degli argomenti piu’ rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da convincente e completa motivazione che dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati; cfr. anche Cass. Sez. 6, n. 6221 del 20/4/2005, dep. nel 2016, Aglieri, rv. 233083).

D’altro canto si assume che “nel giudizio di appello, per la riforma di una sentenza assolutoria non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera e diversa valutazione del materiale probatorio gia’ acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, che sia caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilita’ rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio” (Cass. Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo, rv. 2568695).

Ed invero, se la specificita’ del motivo va intesa in rapporto alla funzione dell’impugnazione e implica che le argomentazioni debbano indirizzare l’autonoma verifica del giudice, contrapponendosi alle ragioni poste a fondamento della decisione, deve concludersi che l’obbligo di motivazione cd. rafforzata, che deve sorreggere l’integrale riforma, deve trovare proprio nel motivo la prima base di riferimento, in quanto lo stesso sia idoneo a suffragare l’auspicato ribaltamento della decisione.

Ed allora, contrariamente a quanto osservato in udienza dal Procuratore Generale, non puo’ ritenersi che l’obbligo di motivazione rafforzata gravi solo sul giudice e non anche sull’appellante, dovendosi invece ritenere che la specificita’, in relazione all’appello, debba essere intesa nel senso che il motivo, per indirizzare realmente la decisione di riforma, debba contenere nelle linee essenziali le ragioni che confutano e sovvertono sul piano strutturale e logico le valutazioni del primo giudice, non essendo sufficiente la mera riproposizione di temi reputati in primo grado insufficienti o inidonei.

Solo in presenza di un gravame siffatto e in tali limiti il giudice di appello puo’ dirsi realmente investito dei poteri decisori di cui all’articolo 597 c.p.p., comma 2, lettera b), e legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, senza essere vincolato alle alternative decisorie prospettate nei motivi di appello (secondo quanto affermato da Cass. Sez. U. n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, cit., rv. 231675).

Da cio’ discende corrispondentemente che la motivazione del giudice dell’appello puo’ essere censurata con ricorso per cassazione solo nei limiti in cui era sorto sulla base di un ammissibile e specifico motivo di appello l’obbligo di un’adeguata risposta alle censure formulate.

5.5. Cosi’ inquadrato il tema, deve rilevarsi che l’originario appello del P.M. non era per intero inammissibile.

In particolare si sarebbe dovuta considerare rilevante la circostanza che nell’atto di appello era stato richiamato e riportato per un ampio stralcio il contenuto delle dichiarazioni rese da (OMISSIS) il 7/3/2013, che fornivano una ricostruzione del primo episodio contestato al capo C1), lumeggiando il ruolo degli altri personaggi coinvolti nel presente processo.

Accanto a tale elemento erano stati poi richiamati, senza peraltro un inquadramento complessivo, ma con riguardo a ciascun capo di imputazione, gli elementi che erano stati gia’ valutati dal primo Giudice e reputati inidonei a fondare un giudizio di penale responsabilita’.

Orbene, quell’elemento aggiuntivo, costituito dalle dichiarazioni del (OMISSIS), era tale da integrare consistentemente il quadro delle acquisizioni e da orientare il giudizio della Corte di appello verso una decisione diversa in ordine allo specifico capo direttamente coinvolto da quelle propalazioni, cioe’ il capo sub C1), riguardante la prima spedizione effettuata da (OMISSIS) e conclusasi il 7 marzo 2012.

Per il resto l’appello si limitava, come detto, a riproporre gli elementi gia’ valutati, deducendone la concludenza, senza specifica confutazione del fondamento logico e fattuale degli argomenti del primo Giudice e senza una puntuale verifica del modo in cui con riguardo alle ulteriori imputazioni erano state utilizzate e valutate le dichiarazioni rese dal (OMISSIS).

In tali limiti la Corte territoriale era legittimata a considerare esaustivo il giudizio di primo grado, in quanto i motivi di appello relativi ai capi sub C2), C3) e C4), per quanto di ragione, non erano caratterizzati da quella specificita’ di cui si e’ detto, tale cioe’ da orientare convenientemente il giudice di secondo grado verso una decisione difforme, sorretta dalla dedotta e puntualmente rilevata inadeguatezza strutturale e logica dei fondamenti del primo giudizio.

In pratica, per questa parte, si trattava, come esattamente rilevato dalla Corte territoriale e sottolineato nella memoria presentata in questa sede dall’Avv. (OMISSIS), di contrapporre alla prima decisione una valutazione alternativa, semmai plausibile, ma non sorretta inequivocamente da maggiore attendibilita’.

Del resto l’oggettiva genericita’ di alcuni contenuti dei messaggi scambiati dai protagonisti delle varie vicende e l’ambiguita’ di alcuni riferimenti non avrebbe potuto essere superata solo attraverso la loro riproposizione e l’invito ad una difforme valutazione.

In tal senso i motivi di appello riferiti ai capi sub C2), C3) e C4) avrebbero dovuto reputarsi generici, esattamente come prospettato dalla difesa, non confrontandosi specificamente con gli asserti del primo giudice e non deducendo elementi idonei ad orientare, nel modo dovuto, la decisione del primo giudice verso la loro integrale riforma.

5.6. Sulla scorta di tali premesse, deve quindi valutarsi il ricorso del Procuratore Generale.

Esso coglie pienamente nel segno allorche’ segnala l’omessa valutazione da parte della Corte territoriale dell’elemento aggiuntivo costituito dalle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) il 7/3/2013.

Esse assumevano l’inequivoco carattere di una chiamata in correita’, di cui si sarebbe dovuta previamente valutare la concreta attendibilita’ e l’intrinseca coerenza, fermo restando tuttavia che le stesse costituivano una base di partenza ineludibile ai fini della ricostruzione dell’episodio e delle responsabilita’ dei singoli.

Al contrario la Corte territoriale, pur avendo riconosciuto il significato di quelle dichiarazioni al punto da concedere al (OMISSIS) le attenuanti generiche, aveva del tutto omesso una puntuale valutazione di quel fondamentale elemento.

Rispetto ad esso gli altri elementi gia’ acquisiti e valutati (conversazioni e messaggi sms, coinvolgenti in varia guisa i diversi imputati, anche quelli assolti) avrebbero dovuto trovare una nuova collocazione, in quanto idonei a corroborare o a smentire la concludenza e l’attendibilita’ di quelle dichiarazioni, secondo lo schema delineato dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non potendosi invece la Corte limitare per questa parte a reputare quegli elementi sic et simpliciter inidonei a sorreggere un giudizio di colpevolezza, in quanto il riscontro rileva per il fatto di convergere nella stessa direzione indicata dalla dichiarazione accusatoria, in tal modo suffragandola, a prescindere dalla sua intrinseca idoneita’ a costituire prova autosufficiente.

Con riguardo al capo C1) si rileva dunque un vizio di motivazione che riguarda tutti gli imputati assolti, cioe’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto gli elementi gia’ valutati dal primo Giudice con riguardo ai predetti e reputati allora insufficienti (in primo luogo le conversazioni e i messaggi sms, a cominciare da quelli intercorsi nel marzo 2012, cioe’ in epoca successiva al ritorno del (OMISSIS)), devono essere sottoposti ad un nuovo vaglio alla luce del fondamentale elemento integrativo menzionato nell’atto di appello e non fatto oggetto di adeguato esame.

In altre parole dovra’ essere riletto, previa disamina delle dichiarazioni del (OMISSIS) e della loro intrinseca tenuta, ogni ulteriore elemento acquisito, onde verificarne la conducenza ai fini del coinvolgimento dei tre imputati assolti nella spedizione conclusasi il giorno 7 marzo 2012, oggetto del capo C1).

5.7. Relativamente alle altre imputazioni il ricorso del Procuratore Generale non puo’ essere invece accolto.

Lo stesso segue il medesimo percorso, senza avvedersi tuttavia della diversa base di partenza, costituita dall’inidoneita’ dell’originario atto di appello a tracciare la strada da seguire per giungere alla riforma della sentenza di assoluzione.

Il mero riferimento agli elementi gia’ valutati, accompagnata sostanzialmente dall’invito a rivalutarli onde giungere a conclusioni reputate maggiormente plausibili, non rappresentava lo strumento per porre a carico della Corte territoriale l’obbligo di fornire sul punto una nuova e adeguata risposta, ben potendo invece la Corte limitarsi, come in concreto avvenuto, a prendere atto del giudizio gia’ formulato dal primo giudice, in assenza di un motivo di appello che la orientasse attendibilmente e convincentemente verso la riforma.

Non rileva, come detto, la memoria del Procuratore Generale, che in effetti introduceva nuovi temi di gravame, lucidamente impostando in modo diverso l’analisi sui medesimi capi e punti oggetto dell’appello originario, e che tuttavia era stata presentata dopo la scadenza del termine previsto per i motivi aggiunti.

In tale quadro il ricorso del Procuratore Generale trova l’ostacolo insormontabile costituito dai limiti di risposta rivenienti dall’appello, a fronte dei quali le censure sollevate in questa sede risultano infondate, non essendo ravvisabile con riguardo ai capi C2), C3) e C4) un obbligo della Corte di valutare specificamente gli elementi acquisiti alla stregua di riscontri di un dato probatorio ulteriore, costituito dalle dichiarazioni del (OMISSIS), per quella parte non speso dal P.M. appellante (neppure nei casi in cui il primo Giudice vi aveva, pur fugacemente, fatto cenno) e che invece costituisce la base, cioe’ la chiave di lettura, sulla quale e’ costruito il ricorso, al di la’ di talune di per se’ travalicanti e dunque inammissibili deduzioni di merito, che non avrebbero comunque potuto trovare ingresso nel giudizio di legittimita’.

Da tutto cio’ discende che il ricorso del P.G. relativamente ai capi C2), C3) e C4) deve essere rigettato.

5.8 Segue dunque l’annullamento della sentenza impugnata solo con riguardo al capo C1), nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con rinvio a diversa sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio sul punto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), limitatamente al capo C1), e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio sul punto.

Rigetta nel resto il ricorso del Procuratore Generale. Dichiara inammissibili i ricorsi degli imputati, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.

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