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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. 4175 del 21 febbraio 2014. In tema di prova di rapporto di filiazione

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza n. 4175 del 21 febbraio 2014 Ritenuto in fatto 1. – M.L. propose domanda diretta ad ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità, assumendo di essere figlia di A.S., deceduto il 14 febbraio 1992. La domanda fu accolta con sentenza del Tribunale di Lecce del 24 settembre 1997, annullata...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 febbraio 2014, n. 2446. La riassunzione di un processo che sia stato dichiarato interrotto e' tempestiva ed integralmente perfezionata quando il corrispondente ricorso, recante gli elementi sufficienti ad individuare il giudizio che si intende far proseguire, sia stato depositato in cancelleria nel termine semestrale previsto dall'articolo 305 cod. proc. civ. (nel testo, applicabile rations temporis, anteriore – come nella specie – alla modifica apportata dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69), sicche', ove la relativa notifica, unitamente al pedissequo decreto di fissazione dell'udienza, sia viziata o inesistente, o comunque non sia stata correttamente compiuta per erronea od incerta individuazione del suo destinatario, ovvero ancora per mancata indicazione del destinatario tra i soggetti ai quali effettuare la notificazione, il giudice deve ordinarne la rinnovazione, fissandone il nuovo termine, e non puo' dichiarare l'estinzione del processo

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 4 febbraio 2014, n. 2446 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere Dott. PETTI Giovanni B. – rel. Consigliere Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere Dott....

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 marzo 2014, n. 4936. Ove il giudice constati il rispetto dei limiti tutti di cui all'art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l'opera – eventualmente una canna fumaria posta in aderenza al muro perimetrale e a ridosso del terrazzo a livello di proprietà di un determinato condomino – quantunque realizzata in violazione delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà esclusive, distinte e contigue.

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza  3 marzo 2014, n. 4936 Svolgimento del processo B.G. , dante causa della ricorrente, proprietario di un immobile a piano terra sito in (omissis) , chiedeva all’assemblea del 27.1.1990 del condominio in cui era ricompreso il cespite di sua esclusiva proprietà, di essere autorizzato a realizzare sulla parete...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 marzo 2014, n. 4934. Nell'interpretazione dei contratti di compravendita immobiliare, ai fini della determinazione della comune intenzione delle parti circa l'estensione dell'immobile compravenduto, i dati catastali, emergenti dal tipo di frazionamento approvato dai contraenti ed allegato all'atto notarile trascritto, e l'indicazione dei confini risultante dal rogito assurgono al rango di risultanze di pari valore. Le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l'interpretazione del negozio, salvo, poi, al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell'immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la "quaestio voluntatis" della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all'intento negoziale ricavato dall'esame complessivo del contratto.

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 3 marzo 2014, n. 4934 Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato in data 17 dicembre 2003, la sig.ra P.I. , nella qualità di proprietaria in (omissis) di un fabbricato con antistante marciapiede, conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pinerolo, i sigg. V.P.A. e Pe.Ma. ,...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 4 marzo 2014, n. 5030. In tema di responsabilità per le cose portate in albergo, il cliente non ha l'obbligo di affidare gli oggetti di valore di sua proprietà in custodia all'albergatore, mancando una specifica previsione normativa in tale senso; tuttavia, se non si avvalga di tale facoltà, corre il rischio di non poter ottenere, in caso di sottrazione, l'integrale risarcimento del danno, come disposto dall'art. 1783 c.c., a meno che non provi la colpa dell'albergatore o degli altri soggetti a lui legati da rapporto di parentela o collaborazione, ai sensi dell'art. 1785 bis c.c. In assenza di tale riscontro probatorio, la determinazione del "quantum" entro il limite massimo stabilito nell'ultimo comma dell'art. 1783 c.c. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale é libero di determinare la somma da liquidare secondo il suo prudente apprezzamento. La responsabilità dell'albergatore per le cose dei clienti sorge per il solo fatto della introduzione, da parte del cliente, delle cose nell'albergo, indipendentemente da qualsiasi consegna, poiché essa inerisce direttamente al contenuto del contratto alberghiero, dovendo essere riferita all'obbligo accessorio dell'albergatore di garantire alla clientela, contro eventuali perdite, danni e furti, la sicurezza delle cose portate in albergo. Per cui spetta a lui offrire la prova liberatoria

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 4 marzo 2014, n. 5030 Svolgimento del processo 1. – Con sentenza in data 14 maggio 2003 il Tribunale di Lucca respinse la domanda proposta da S.B., che aveva chiesto la condanna di SEAR Hotel Augustus di M.N. & C. S.a.s. e di Minerva Assicurazioni S.p.A. (poi Zurigo...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 28 febbraio 2014 n. 4866. Confermato il licenziamento in danno di un massofisioterapista motivato con la mancata produzione di documentazione relativa al possesso di un idoneo titolo per lo svolgimento della prestazione richiesta

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 28 febbraio 2014 n. 4866 Svolgimento del processo A.R. ha impugnato il licenziamento intimatogli con lettera del 24.2.2004 dalla S.r.l. Centro Agro Aversano di FKT, presso cui aveva lavorato con mansioni di massofisioterapista, motivato con la mancata produzione di documentazione relativa al possesso di un idoneo titolo per...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 24 febbraio 2014, n. 4295. La liquidazione del compenso del curatore fallimentare (ovvero del commissario giudiziale ndr) deve essere specificamente motivata mediante la indicazione dei criteri seguiti, ai sensi dell'articolo 39 della legge fall., in relazione alla disciplina regolamentare richiamata, risultando altrimenti nullo il decreto di liquidazione

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 24 febbraio 2014, n. 4295 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA CIVILE SOTTOSEZIONE 1 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MACIOCE Luigi – Presidente Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere Dott. DE CHIARA Carlo –...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 28 febbraio 2014, n. 4869. L'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell'inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l'espletamento di un'attività ludica o lavorativa. Il caso di specie riguardava un dipendente con mansioni di autista e guardia giurata, era stato licenziato a seguito di contestazione disciplinare per essere stato visto in abiti da cacciatore in tre giorni in cui era assente dal lavoro per malattia. La Corte d'appello ha considerato che, ritenuti veritieri e non contestati i certificati medici di malattia, è rimasta non provata la tesi della datrice di lavoro secondo cui il dipendente, svolgendo attività di cacciatore in giorni i cui era assente per malattia, avrebbe messo a repentaglio la propria salute, ritardando la guarigione e causano il relativo danno al datore di lavoro

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 28 febbraio 2014, n. 4869  Svolgimento del processo Con sentenza non definitiva pubblicata il 7 agosto 2008 la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma dell’8 febbraio 2005 ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato dalla B. s.p.a. a P.P. ordinando...