Responsabilità avvocato: valutazione prognostica “ex ante”

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 novembre 2024| n. 29050.

Responsabilità avvocato: valutazione prognostica “ex ante”

Massima: In tema di responsabilità professionale dell’avvocato, la valutazione sull’esistenza di una colpa professionale deve essere compiuta, con un giudizio “ex ante”, sulla base di una valutazione prognostica della possibile utilità dell’iniziativa intrapresa o omessa, non potendo comunque l’avvocato garantirne l’esito favorevole. Tale giudizio, invero, deve svolgersi, seguendo le regole causali in materia di responsabilità civile, secondo il principio del “più probabile che non”, in base al quale può ritenersi, in assenza di fattori alternativi, che l’omissione da parte del difensore abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno. In particolare, occorre distinguere fra l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio. In entrambi casi, possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile, ma, mentre nella prima ipotesi l’evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione, nella seconda il danno, che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante, deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato (Nel caso di specie, relativo a cinque diversi giudizi risarcitori promossi nell’interesse dell’odierno ricorrente e tutti definiti con pronunce preliminari in rito in ragione di una serie di omissioni procedurali imputabili al difensore, la Suprema Corte, ascritta la fattispecie in esame alla seconda delle due ipotesi tratteggiate, non potendosene stabilire con certezza l’esito, ha confermato l’insussistenza della responsabilità professionale invocata anche in sede di legittimità dal ricorrente medesimo).

 

Ordinanza|11 novembre 2024| n. 29050. Responsabilità avvocato: valutazione prognostica “ex ante”

Data udienza 13 settembre 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Contratti – Opera – Prestazioni professionali – Avvocato – Responsabilità professionale – Presupposti – Colpa professionale – Giudizio prognostico – Principio del “più probabile che non” – Applicabilità – Duplice ipotesi di condotte omissive – Conseguenze rispettive – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dai Signori Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere Rel.

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27312/2022 R.G. proposto da:

Ve.An., rappresentato e difeso in proprio, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC da lui stesso indicato;

ricorrente

contro

Ra.An., rappresentato e difeso dall’avvocato PA.PA. (Omissis), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore;

controricorrente

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 868/2022 depositata il 01 agosto 2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/09/2024 dal Consigliere FRANCESCO MARIA CIRILLO.

Responsabilità avvocato: valutazione prognostica “ex ante”

FATTI DI CAUSA

1. Ra.An. conferì all’avv. Ve.An. il mandato professionale per la presentazione, davanti alla Corte d’Appello di Potenza, di cinque ricorsi finalizzati ad ottenere l’equa riparazione per il superamento dei termini di ragionevole durata del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89. Quei giudizi, benché ritualmente introdotti, terminarono tutti con una decisione di improcedibilità, dando atto la Corte d’Appello che nessuno era comparso per il ricorrente e che questi non aveva provveduto alla notifica, al Ministero della giustizia, del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza.

2. Sulla base di questa premessa in fatto – dopo aver aggiunto che l’esito di quei ricorsi gli era stato comunicato solo grazie all’intervento di un altro studio legale di Potenza, posto che l’avv. Ve.An. non aveva dato alcuna riposta alle sue richieste di chiarimenti – Ra.An. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, l’avv. Ve.An., chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lui subiti a causa della condotta inadempiente del professionista.

Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Espletata l’istruttoria, il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

3. La decisione è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza dell’1 agosto 2022, ha accolto il gravame e, riformando integralmente la decisione del Tribunale, ha accolto la domanda proposta dal Ra.An. e ha condannato l’avv. Ve.An. al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di Euro 35.250 a titolo di risarcimento del danno, con il carico delle spese dei due gradi di giudizio.

Dopo aver ricordato quali siano i limiti entro i quali l’avvocato può essere chiamato a rispondere per negligenza professionale e quali oneri della prova gravino a carico del cliente che chieda il risarcimento dei danni, la Corte territoriale ha dichiarato essere incontestato che il Ra.An. aveva presentato, col patrocinio dell’avv. Ve.An., cinque ricorsi per il risarcimento dei danni da superamento dei limiti di ragionevole durata del processo. Altrettanto incontestato era che quei ricorsi si fossero conclusi due con pronuncia di improcedibilità, uno di improponibilità e due con declaratoria di non luogo a provvedere; esiti, questi, determinati dalla mancata comparizione delle parti all’udienza e dalla mancata prova della notifica, al Ministero convenuto, del ricorso e del relativo decreto. Ha poi aggiunto la Corte che non poteva accogliersi la tesi difensiva dell’avvocato secondo la quale la sua assenza era da ricondurre alla mancata comunicazione dell’avvenuta fissazione dell’udienza da parte del Presidente della Corte, trattandosi di un adempimento non previsto dalla legge (art. 737 cod. proc. civ.).

Ciò premesso, la Corte d’Appello ha ritenuto dimostrata l’esistenza di una colpa professionale del difensore, anche perché non risultava provato né che egli avesse dato notizia al proprio cliente delle sorti dei ricorsi né che lo avesse contattato al fine di decidere se riproporre la domanda. Analogamente, la Corte ha ritenuto dimostrata l’esistenza del nesso di causalità tra la colpa e il danno, essendo evidente che “la negativa chiusura in rito dei procedimenti era stata determinata dalla condotta negligente del procuratore”, in assenza della quale la Corte d’Appello di Potenza avrebbe valutato la fondatezza della domanda risarcitoria.

Quanto, poi, alla prova del danno, la sentenza ha ritenuto che la stessa fosse da dedurre “in considerazione del probabile accoglimento della domanda di equa riparazione”. In conformità a quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità – e contrariamente, quindi, alla decisione del Tribunale – il danno non patrimoniale doveva in tale materia ritenersi presunto fino a prova contraria, potendo essere semmai il Ministero convenuto, ovvero il professionista, a “fornire elementi idonei al superamento della presunzione di sussistenza del danno non patrimoniale”.

Responsabilità avvocato: valutazione prognostica “ex ante”

Alla luce di tale inquadramento, la Corte leccese è passata alla liquidazione dei danni, da compiere secondo la previsione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 nella versione antecedente a quella introdotta dall’art. 5 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modifiche, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, trattandosi di ricorsi depositati nell’anno 2009. Tenendo presenti tutti i criteri normalmente adottati per la liquidazione del danno da ritardo (complessità della causa, comportamento del giudice e delle parti, novità delle questioni etc.), la Corte territoriale ha assunto i criteri indicati dalla Corte EDU per la ragionevole durata dei procedimenti: tre anni per il giudizio di primo grado, due anni per quello di appello, un anno per il giudizio di legittimità e un anno per ciascun giudizio di rinvio. E, assumendo tali parametri in relazione ai cinque diversi giudizi promossi, la Corte ha liquidato i danni nella misura suindicata.

4. Contro la sentenza della Corte d’Appello di Lecce propone ricorso l’avv. Ve.An. con atto affidato a tre motivi.

Resiste Ra.An. con controricorso affiancato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza per motivazione apparente, ai sensi dell’art. 132, n. 4), del codice di rito.

Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata conterrebbe una motivazione che evidenzia errori e contraddizioni tra la parte relativa alle enunciazioni e la concreta decisione del caso, oltre ad affermazioni assertive e prive di ogni supporto probatorio.

Richiamate, in particolare, le diverse conclusioni alle quali era giunto il Tribunale, il ricorrente rileva che la motivazione si espone a critiche 1) nella parte in cui non ha dato rilievo al fatto che la Corte d’Appello di Potenza non aveva dato comunicazione dei decreti di fissazione e ha dato, invece, per scontato che il difensore non avesse assolto il proprio onere di informazione a favore del cliente; 2) nella parte in cui ha dato per certo che la Corte potentina avrebbe accolto i ricorsi, senza alcuna valutazione effettiva delle ragioni; 3) nonché in ordine alla certezza dei danni e alla loro liquidazione. Poiché nei giudizi di responsabilità professionale è pacifico che l’avvocato non può garantire l’esito favorevole per il proprio cliente, il ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza impugnata “tradisce una mancata comprensione dei fatti di causa, operando un ingiusto e illegittimo automatismo della quantificazione effettuata nei ricorsi presentati innanzi alla Corte d’Appello di Potenza”.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1176, 2223 e 2697 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per plurime violazioni delle regole sull’onere della prova.

La sentenza impugnata, ad avviso del ricorrente, avrebbe compiuto un illegittimo automatismo tra la condotta omissiva e il danno che si sarebbe determinato a carico del cliente, senza verificare, in base ad un accertamento prognostico, il probabile ma non sicuro esito favorevole dell’azione giudiziale. Ferme restando, infatti, le regole sull’onere della prova a carico del cliente in ordine al verificarsi del danno e al nesso di causalità, il ricorrente sostiene che il Rampini non aveva offerto alcuna prova idonea a dimostrare di essere decaduto dal proprio potere di far valere il diritto all’equa riparazione, per cui la Corte d’Appello avrebbe dedotto dalla mancata prova da parte del ricorrente la dimostrazione dell’esito vittorioso delle domande azionate nei giudizi di cui alla legge n. 89 del 2001. La sentenza, invece, avrebbe dovuto compiere un giudizio prognostico tenendo presente che i procedimenti presupposti erano, all’epoca, ancora pendenti; che non era chiaro se quei giudizi avrebbero potuto o meno essere riproposti; che i ricorsi sarebbero stati accolti senza la certificazione del passaggio in giudicato della sentenza (come richiesto dalla legge Pinto prima della riforma del 2018).

Responsabilità avvocato: valutazione prognostica “ex ante”

3. I primi due motivi di ricorso, benché tra loro differenti, possono essere trattati congiuntamente, con le precisazioni che si vanno adesso ad indicare.

3.1. Il primo motivo non è fondato, posto che la censura di presunta nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente non trova alcun obiettivo riscontro processuale.

La Corte d’Appello, come si è detto, ha svolto i seguenti passaggi logici: 1) era pacifico che i cinque giudizi promossi dall’avv. Ve.An. per il cliente Rampini si erano conclusi con decisioni di improcedibilità, di improponibilità e con declaratoria di non luogo a provvedere, e ciò a causa dell’inerzia processuale del difensore;

2) il professionista non poteva addurre a propria scusante la mancata comunicazione dell’avvenuta fissazione dell’udienza da parte del Presidente della Corte, trattandosi di un adempimento non previsto dalla legge; 3) l’avvocato non aveva dato alcuna notizia al cliente dell’esito dei giudizi, né gli aveva suggerito di riproporli, tanto che il Ra.An. si era dovuto rivolgere ad un altro legale, di Potenza, per conoscere l’esito dei relativi giudizi; 4) sussisteva, dunque, la negligenza professionale del difensore; 5) i giudizi di equa riparazione erano destinati tutti, con ogni probabilità, ad essere accolti, potendo il danno non patrimoniale essere anche presunto, per cui era evidente il nesso di causalità tra l’inerzia dell’avvocato e il danno patito dal cliente; 6) spettava al difensore, semmai, fornire la prova positiva dell’assenza di un danno.

La prima osservazione da compiere, quindi, è che la motivazione resa dalla Corte d’Appello ha dato conto con ampiezza di particolari delle ragioni della propria decisione, sicché non è assolutamente ipotizzabile la sua nullità per motivazione apparente.

3.2. Tanto premesso in relazione al primo motivo, il Collegio ritiene opportuno ricordare che in tema di responsabilità professionale dell’avvocato la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito, con un orientamento ormai consolidato, che la valutazione sull’esistenza di una colpa professionale deve essere compiuta, con un giudizio ex ante, sulla base di una valutazione prognostica della possibile utilità dell’iniziativa intrapresa o omessa, non potendo comunque l’avvocato garantirne l’esito favorevole (viene di frequente richiamata, al riguardo, l’antica e ormai superata distinzione tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato). Questo principio è stato affermato per lo più in relazione alla responsabilità omissiva, cioè quando si deve valutare la conseguenza dannosa, per il cliente, derivante da un’attività processuale che poteva essere compiuta e non è stata compiuta (v., tra le altre, la sentenza 24 ottobre 2017, n. 25112, e le recenti ordinanze 19 gennaio 2024, n. 2109, e 6 settembre 2024, n. 24007).

Tale giudizio si svolge, seguendo le regole causali in materia di responsabilità civile, secondo il principio del più probabile che non, in base al quale può ritenersi, in assenza di fattori alternativi, che l’omissione da parte del difensore abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno. Si è detto, in particolare, che in questa materia occorre “distinguere fra l’omissione di condotte che, se tenute, sarebbero valse ad evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che, viceversa, avrebbero prodotto un vantaggio. In entrambi i casi possono ricorrere gli estremi per la responsabilità civile, ma nella prima ipotesi l’evento dannoso si è effettivamente verificato, quale conseguenza dell’omissione; nell’altra, il danno (che, se patrimoniale, sarebbe da lucro cessante) deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato” (così la citata sentenza n. 25112 del 2017, testualmente ripresa dalla successiva ordinanza 30 aprile 2018, n. 10320).

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3.3. Il caso odierno rientra nella seconda delle due ipotesi ora tratteggiate, perché si discute di cinque diversi giudizi risarcitori (secondo le norme della legge n. 89 del 2001) che l’avv. Ve.An. ebbe a promuovere nell’interesse di Ra.An. e che si conclusero tutti con pronunce preliminari in rito, conseguenti ad una serie di omissioni procedurali imputabili al difensore. Giudizi, questi, riguardo ai quali non è ovviamente possibile stabilire con certezza quale esito avrebbero avuto.

In questi casi – come la suindicata giurisprudenza di questa Corte ha chiarito – il giudice di merito è chiamato a compiere un giudizio prognostico o controfattuale, nel senso che deve stabilire quale sarebbe stato, ragionevolmente, il possibile esito favorevole per il cliente ove la negligenza dell’avvocato non ci fosse stata.

Il che, esattamente, è quanto ha fatto la Corte leccese, con un accertamento di merito ineccepibile sul quale questa Corte non ha ragione di interloquire. La sentenza impugnata, infatti, applicando l’art. 2 della legge n. 89 del 2001 nella versione antecedente a quella introdotta dall’art. 5 del D.L. n. 83 del 2012 – che ha introdotto il comma 2-bis nell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, norma non applicabile nella fattispecie ratione temporis – ed assumendo come parametri i criteri indicati dalla Corte EDU per la ragionevole durata dei procedimenti, ha stabilito che la durata dei procedimenti presupposti era tale che la domanda risarcitoria sarebbe stata con tutta probabilità accolta. Ragionamento, questo, perfettamente logico e coerente con la normativa ora citata; ed infatti il comma 2-bis dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 ha poi tradotto in legge quegli stessi criteri massimi di ragionevole durata stabiliti dalla Corte EDU (tre anni per il primo grado, due per il secondo grado e un anno per il giudizio di legittimità).

3.4. Si impongono, poi, due ulteriori considerazioni.

La prima è che, dando continuità al principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 26 gennaio 2004, n. 1338, correttamente richiamata dalla Corte d’Appello, in tema di equa riparazione ai sensi dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Ne consegue che, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione – il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (il principio è stato più volte confermato; v., tra le altre, la sentenza 17 ottobre 2008, n. 25365, e l’ordinanza 9 aprile 2019, n. 9919).

Sulla base di questo principio avrebbe dovuto essere, semmai, l’avv. Ve.An. a provare l’assenza di un danno risarcibile, eventualità che non è stata nemmeno prospettata.

Responsabilità avvocato: valutazione prognostica “ex ante”

La seconda è che non assume rilievo l’argomentazione formulata nel secondo motivo di ricorso secondo cui i procedimenti presupposti erano, all’epoca, ancora pendenti; ciò in quanto la Corte costituzionale, con la sentenza n. 88 del 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89, come sostituito dall’art. 55, comma 1, lettera d), del D.L. n. 83 del 2012, nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto. Esito di incostituzionalità che, tra l’altro, era stato in qualche modo preannunciato nella sentenza n. 30 del 2014, che conteneva un monito rimasto dal legislatore inascoltato.

3.4. Deriva dal complesso di tutte queste argomentazioni che il primo e il secondo motivo di ricorso devono essere rigettati.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 99, 100 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’omessa pronuncia, da parte della Corte d’Appello, sulla richiesta di chiamata in causa della propria società di assicurazioni, a scopo di manleva.

4.1. Il motivo è inammissibile per la sua evidente genericità.

A quanto risulta dalla lettura del ricorso e del controricorso, la chiamata in causa della società assicuratrice dell’avv. Ve.An. fu da questi sollecitata fin dal primo grado, ma non è dato sapere se venne poi realmente effettuata (il controricorso sostiene il contrario). In appello (v. ricorso a p. 7) il professionista chiese ancora di poter chiamare in causa la medesima società, ma neppure in tale giudizio è dato sapere se egli abbia dato seguito all’integrazione del contraddittorio.

Trova comunque applicazione la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la parte che non abbia provveduto alla chiamata del terzo in giudizio nelle forme e nei termini fissati dall’art. 269, primo comma, cod. proc. civ. non può denunciare, in sede di gravame (appello o cassazione), la mancata concessione di un termine per effettuare detta chiamata ex art. 269, secondo comma, cit., ovvero il mancato esercizio del potere di ordinare l’intervento di detto terzo a norma del precedente art. 107, vertendosi in tema di prerogative esclusive e discrezionali del giudice di primo grado (sentenze 20 gennaio 2004, n. 776, e 26 aprile 2005, n. 8688).

Da tanto consegue che non può essere invocata l’omessa pronuncia da parte della Corte d’Appello su questo punto.

5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 13 agosto 2022, n. 147.

Sussistono inoltre i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Responsabilità avvocato: valutazione prognostica “ex ante”

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria l’11 novembre 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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