Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 novembre 2024| n. 28907.
Impugnazione inammissibile se parte adiuvata rinuncia
Massima: L’interventore adesivo dipendente non ha un’autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell’intervento o la condanna alle spese poste a suo carico), sicché la sua impugnazione è inammissibile qualora la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole, né è legittimato ad impugnare in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. qualora il debitore non sia stato inerte per aver posto in essere comportamenti idonei e sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta dagli eredi di un lavoratore deceduto in un infortunio sul lavoro, intervenuti nel processo instaurato dalla curatela fallimentare della società datrice di lavoro nei confronti dell’assicuratore della responsabilità civile, avendo la curatela dichiarato di voler fare acquiescenza alla pronuncia d’appello).
Ordinanza|11 novembre 2024| n. 28907. Impugnazione inammissibile se parte adiuvata rinuncia
Data udienza 26 giugno 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Impugnazioni civili – Cassazione (ricorso per) – Legittimazione – Attiva interventore adesivo dipendente – Autonoma impugnazione – Ammissibilità – Esclusione – Legittimazione ad impugnare in via surrogatoria – Esclusione – Fondamento – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Relatore-Consigliere
-ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 19640-2021 proposto da: C
Ro.Gi., To.Em., To.Al.,To.Se., To.Ma., To.Il., To.An., in proprio e nella qualità di eredi di To.Fr., domiciliati presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentati e difesi dall’Avvocato Fr.PA.;
– ricorrenti –
contro
GE.IT. Spa, in persona del procuratore speciale Po.Ma., domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Ma.CO.;
– controricorrente –
nonché contro
FA.DE. Srl;
– intimato –
Avverso la sentenza n. 498/2021 della Corte d’Appello di Bologna, dell’11/03/2021;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 26/06/2024 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.
Impugnazione inammissibile se parte adiuvata rinuncia
FATTI DI CAUSA
1. Ro.Gi., nonché To.Em. ,To.Al., To.Se., To.Ma., To.Il. e To.An., ricorrono, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 498/21, dell’11 marzo 2021, della Corte d’Appello di Bologna, che – in accoglimento del gravame esperito da GE.IT. Spa avverso la sentenza n. 1518/16, del 15 novembre 2016, del Tribunale di Reggio Emilia – ha dichiarato la predetta società tenuta al pagamento, in favore del FA.DE. Srl, solo nei limiti del massimale di polizza, pari a Euro 517.000,00, previsto per la garanzia per la responsabilità civile verso operai prestatori di lavoro (c.d. “RCO”), pagamento dovuto in relazione al sinistro mortale occorso a To.Fr., dante causa in via ereditaria degli odierni ricorrenti.
2. Premettono costoro di impugnare la suddetta sentenza della Corte bolognese surrogandosi, ex art. 2900 cod. civ., alla curatela fallimentare della società El.Co. (d’ora in poi, “ECM”) e, comunque, in ragione della loro posizione di interventori adesivi nel giudizio da essa promosso, secondo quanto reputano ammissibile in forza della sentenza della Corte costituzionale 30 dicembre 1997, n. 455.
In punto di fatto, essi premettono, altresì, di essere eredi di To.Fr. e di avere, in forza di tale titolo, spiegato intervento volontario nel giudizio promosso dalla curatela fallimentare di EC. per conseguire, da As.Ge. Spa (poi divenuta GE.IT. Spa), il pagamento dell’indennizzo assicurativo nascente da polizza per responsabilità civile conclusa da EC. con Assitalia, poi fatta oggetto di cessione ad As.Ge..
La domanda di pagamento dell’indennizzo – proposta dalla curatela sul presupposto che la propria responsabilità, in relazione al decesso del suo dipendente To.Fr., vittima di un infortunio sul lavoro, fosse stata definitivamente accertata in sede penale (tanto che gli eredi del To.Fr. erano stati ammessi allo stato passivo, per gli importi di Euro 277.400,00, in privilegio generale ex art. 2751-bis, comma 1, cod. civ., e di Euro 1.855.655,00, in privilegio speciale ex art. 2767 cod. civ., oltre interessi e rivalutazione) – veniva accolta dal primo giudice, che riteneva operante il massimale di Euro 2.585.000 per la responsabilità civile verso terzi (c.d. massimale “RCT”).
Esperito gravame da GE.IT., che già in prime cure assumeva essere, viceversa, operativo il – minor – massimale di Euro 517.000,00, previsto per la garanzia per la responsabilità civile verso operai prestatori di lavoro (c.d. massimale “RCO”), il giudice di appello, nella resistenza della curatela fallimentare di EC. e degli interventori adesivi Ro.Gi.-To.Em.,To.Al., To.Se., To.Ma., To.Il. e To.An., lo accoglieva.
3. Avverso la sentenza della Corte felsinea – in relazione alla quale, si legge in ricorso, la curatela fallimentare non solo ha omesso di avvalersi della facoltà di chiedere all’assicuratore di pagare direttamente l’indennizzo agli eredi del To.Fr., ex art. 1917, comma 2, cod. civ., ma ha dichiarato che “gli organi della procedura hanno optato per la rinuncia alla prosecuzione del contenzioso presso la Suprema Corte di Cassazione” – hanno proposto ricorso per cassazione i Ro.Gi.-To.Em. ,To.Al., To.Se., To.Ma., To.Il. e To.An., sulla base, come detto, di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1370 cod. civ. per erronea interpretazione del contenuto degli artt. 1 e 2, lett. c), delle norme contrattuali che regolano l’assicurazione “RCT” e della lettera D) delle condizioni particolari della polizza in esame.
Evidenziano i ricorrenti che il contratto di assicurazione, oggetto di giudizio, agli artt. da 1) a 5) disciplina la garanzia responsabilità civile dell’assicurato (c.d. “RCT”) “per morte, lesioni personali e danneggiamenti a cose cagionati a terzi”, mentre agli artt. da 5 a 8 disciplina la garanzia responsabilità civile dell’assicurato contraente per i danni cagionati ai prestatori di lavoro per morte e lesioni personali, dalle quali sia derivata una invalidità permanente non inferiore al 6% (c.d. “RCO”).
In particolare, l’art. 2 – recante l’indicazione delle persone “non considerate terze” – individua, alla lett. c), tra di esse:
– “le persone che essendo in rapporto di dipendenza con l’assicurato, subiscano il danno in occasione di lavoro o di servizio, fatto salvo quanto disposto al precedente art. 1, seconda alinea” (concernente la “RCT” personale dei dirigenti, quadri e dipendenti dell’assicurato per danni involontariamente cagionati a terzi, escluso l’assicurato stesso, nello svolgimento delle loro mansioni contrattuali);
– i subappaltatori e i loro dipendenti, nonché tutti coloro, che, indipendentemente dalla natura del loro rapporto con l’assicurato, subiscano il danno in conseguenza della loro partecipazione manuale all’attività cui si riferisce l’assicurazione”.
Per parte propria, la lettera D) delle condizioni particolari di polizza, in relazione alle “persone considerate terze” testualmente stabilisce: “A parziale deroga dell’art. 2 sono considerati terzi i subappaltatori e loro dipendenti, nonché tutti coloro che, indipendentemente dalla natura del loro rapporto con l’assicurato, subiscano il danno in conseguenza della loro partecipazione manuale alle attività cui si riferisce l’assicurazione”.
Impugnazione inammissibile se parte adiuvata rinuncia
Orbene, secondo la sentenza impugnata, poiché tale ultima previsione “non deroga né sostituisce l’art. 2 – Persone non considerate terzi, la “parziale deroga” riguarda unicamente la seconda parte della lettera c) dell’art. 2 che, pertanto, risulta invariato” nelle sue ulteriori previsioni, restando, dunque, “confermata, quanto alla RCT dell’assicurato, l’esclusione dal novero dei terzi delle persone che sono in rapporto di dipendenza con l’assicurato”.
Tale interpretazione, che ha portato a ritenere operante – nel caso che occupa – il massimale di Euro 517.000,00 previsto per la “RCO”, risulterebbe in contrasto, secondo i ricorrenti, con gli artt. 1362, 1363 e 1370 cod. civ.
In particolare, sul presupposto che nell’interpretazione del contratto di assicurazione il giudice non può attribuire a clausola polisenso uno specifico significato, pur teoricamente non incompatibile con la sua lettera, senza prima ricorrere all’ausilio di tutti gli altri criteri dell’ermeneutica contrattuale, in particolare quello dell’interpretazione contro il predisponente, i ricorrenti assumono che “il significato letterale delle espressioni contenute nelle condizioni generali di polizza (articolo 1, prima parte e art. 2 lettera c) e nelle condizioni particolari di polizza (articolo D)” sia “semplice e chiaro e pertanto, non consentendo dubbi sull’effettiva volontà delle parti, esclude il ricorso ad altri criteri legali di ermeneutica contrattuale diversi da quello letterale”. Difatti, la suddetta “lettera D) delle condizioni particolari di polizza a “parziale” deroga dell’art. 2 delle condizioni generali considera terzi “I subappaltatori e i loro dipendenti, nonché tutti coloro che, indipendentemente dalla natura del loro rapporto con l’assicurato, subiscano il danno in conseguenza della loro partecipazione manuale all’attività cui si riferisce l’assicurazione””. Per l’esattezza, l’uso della congiunzione “nonché” confermerebbe che entrambe le ipotesi contemplate dall’intera seconda parte dell’art. 2 lettera c) delle condizioni generali sono interessate dalla deroga, facendo divenire terzi anche “tutti coloro che, indipendentemente dalla natura del loro rapporto con l’assicurato, subiscano il danno in conseguenza della loro partecipazione manuale all’attività cui si riferisce l’assicurazione”, previsione applicabile al pregiudizio subito da To.Fr., trattandosi di addetto (in qualità di conducente e manovratore della gru automontata) alla posa di pali dell’illuminazione elettrica”.
Impugnazione inammissibile se parte adiuvata rinuncia
In altri termini, il contratto distinguerebbe i dipendenti che subiscono il danno in occasione di lavoro o servizio, non considerati terzi ai sensi della prima parte della lettera c) dell’art. 3 delle condizioni generali di polizza, e i dipendenti che “indipendentemente dalla natura del loro rapporto con l’assicurato, subiscano il danno in conseguenza della loro partecipazione manuale all’attività cui si riferisce l’assicurazione” (seconda parte della lettera c del medesimo art. 3), per i quali la qualifica di terzi deriva dalla deroga di cui alla lettera D) delle condizioni particolari di polizza.
La diversa interpretazione, fatta propria dalla Corte felsinea, oltre a violare la lettera delle suddette clausole contrattuali, si sarebbe sostanziata in una valutazione atomistica delle stesse, contraria all’art. 1363 cod. civ., fermo restando, poi, che – nel dubbio – esse andavano interpretate in favore dell’assicurato.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 1370 e 1917 cod. civ. per erronea individuazione del rischio assicurato.
Si censura la sentenza impugnata per aver affermato l’inapplicabilità del massimale previsto in polizza per la “RCT” ai danni fatti valere “iure proprio” dagli eredi di To.Fr., avendo sostenuto che, “come emerge dal tenore letterale e dal senso delle clausole della polizza, il presupposto della copertura assicurativa viene individuato con riferimento all’evento di danno (morte, lesioni personali, danneggiamenti) e non già alle conseguenze dannose risarcibili”. Con il risultato – si sostiene in sentenza – che “nell’ipotesi di evento dannoso (morte, lesioni personali, danneggiamenti) causato ai prestatori di lavoro dell’assicurato, opera, per tutte le conseguenze dannose risarcibili, senza distinzione quanto alla titolarità del relativo diritto, la disciplina della garanzia RCO con contenimento dell’indennizzo entro il massimale di Euro 517.000,00”.
Senonché, osservano i ricorrenti, nell’assicurazione per la responsabilità civile, il rischio assicurato consiste nella “conseguenza negativa di un sinistro, riflessa sul patrimonio dell’assicurato” o “nella possibilità che l’assicurato debba rispondere delle conseguenze dannose prodotte dall’evento considerato in contratto, per essersi trovato con quest’ultimo in una relazione tale per cui dal verificarsi del sinistro derivi un’incidenza negativa sul suo patrimonio”. Ciò detto, poiché nell’illecito civile le “conseguenze dannose” sono le ripercussioni negative che scaturiscono nella sfera del soggetto danneggiato dall’evento dannoso (inteso come lesione di un interesse giuridicamente protetto), nonché ad esso collegate da un nesso di causalità “giuridica”, nell’assicurazione della responsabilità civile risulta necessario accertare, “ai fini della sussistenza e della misura dell’obbligo indennitario dell’assicuratore, sia la causalità materiale (nesso causale tra la situazione di rischio ed il sinistro) sia la causalità giuridica (nesso causale tra il sinistro e i danni che sono derivati dallo stesso)”.
Impugnazione inammissibile se parte adiuvata rinuncia
Di conseguenza, la sentenza impugnata, “individuando il presupposto della copertura assicurativa nell’evento di danno (morte, lesioni personali, danneggiamenti) e non già nelle conseguenze dannose risarcibili da parte dell’assicuratore”, vale a dire il danno “iure proprio” degli eredi del To.Fr., “ha violato”, secondo i ricorrenti, “l’articolo 1917 cod. civ. individuando erroneamente il rischio assicurato dalla polizza in esame”.
4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, GE.IT., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile – anche in ragione del difetto di legittimazione ad impugnare in capo agli odierni ricorrenti – o, comunque, rigettata.
5. È rimasta solo intimata la curatela fallimentare di EC..
6. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis 1 cod. proc. civ.
7. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso va dichiarato inammissibile, per carenza di legittimazione ad impugnare in capo ai congiunti (ed eredi) di To.Fr.
8.1. Infatti, diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, l’arresto della Corte costituzionale, da essi richiamato, esclude che l’interventore adesivo dipendente – tal è, appunto, la condizione degli eredi del To.Fr. – sia legittimato ad impugnare la sentenza resa all’esito del giudizio in cui ha effettuato l’intervento.
Si legge, infatti, nella pronuncia del Giudice delle leggi che “se la parte assume effettivamente la veste di interventore adesivo dipendente, scegliendo di partecipare al processo in posizione subordinata a quella dell’adiuvato e di espletare un’attività accessoria, non può dolersi del mancato riconoscimento di poteri non esercitati dall’adiuvato, mentre qualora la parte, pur dichiarando di intervenire adesivamente, deduca però una autonoma pretesa di diritto, non può non riconoscersi ad essa un potere di impugnazione, affatto indipendente da quello delle altre parti” (così Corte cost., sent. 30 dicembre 1997, n. 455).
Né tale conclusione può superarsi sulla base di quanto si legge – in quella stessa sentenza – nel passaggio motivazionale immediatamente successivo a quello riportato, ove si afferma che pure all’interventore adesivo dipendente, è riconosciuto “un potere autonomo di impugnazione, nell’ipotesi in cui la sentenza contenga provvedimenti che incidono in modo diretto ed immediato nella sfera giuridica del medesimo; trattasi di un’applicazione del fondamentale principio dell’interesse ad agire e più specificamente dell’interesse ad impugnare, in forza del quale l’ammissibilità del gravame è in stretta correlazione alla soccombenza” (così, nuovamente, Corte cost., sent. n. 455 del 1997, cit.).
Nella specie, per vero, non è configurabile una statuizione che incida “in modo diretto e immediato” nella sfera dei congiunti dei To.Em., To.Al., To.Se., To.Ma., To.Il. e To.An., ove si consideri che il contenimento della domanda di garanzia entro il massimale di Euro 517.000,00 non ha ripercussioni “dirette e immediate” sulla pretesa risarcitoria che costoro hanno titolo ad esercitare nei confronti del responsabile del sinistro, non contemplando l’assicurazione della responsabilità civile, salvi i casi eccezionalmente previsti dalla legge, la possibilità per il danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile del danno (Cass. Sez. 3, ord. 25 febbraio 2021, n. 5259, Rv. 660600-01).
Impugnazione inammissibile se parte adiuvata rinuncia
8.2. D’altra parte – come rileva la controricorrente -l’orientamento costante di questa Corte è sempre stato nel senso di ritenere che l’interventore adesivo “non ha un’autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell’intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicché la sua impugnazione è inammissibile, laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole” (così Cass. Sez. Un., sent. 17 aprile 2012, n. 5992, Rv. 622259-01; in senso conforme Cass. Sez. Lav., sent. 8 luglio 2013, n. 16930, Rv. 627053-01; Cass. Sez. 1, ord. 6 febbraio 2018, n. 2818, Rv. 647144-01; Cass. Sez. 1, ord. 18 aprile 2024, n. 10491, non massimata), così circoscrivendo la portata del “pregiudizio immediato e diretto” che fonda la legittimazione di tale parte processuale.
8.3. Infine, neppure potrebbe invocarsi la circostanza che gli eredi del To.Fr. agiscono a norma dell’art. 2900 cod. civ.
Se è vero, infatti, che anche la facoltà di impugnare può esercitarsi in via surrogatoria (Cass. Sez. 1, sent. 29 luglio 1963, n. 2138, Rv. 263265-01), presupposto perché ciò possa accadere è pur sempre l’inerzia del soggetto “surrogato”. Va, dunque, ribadito che l’azione surrogatoria, “consentendo al creditore di prevenire e neutralizzare gli effetti negativi che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore, il quale ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad incrementare il suo patrimonio, conferisce al creditore stesso la legittimazione all’esercizio di un diritto altrui, ed ha perciò carattere necessariamente eccezionale, potendo essere proposta solo nei casi ed alle condizioni previsti dalla legge”, con la conseguenza che, “qualora il debitore non sia più inerte, per aver posto in essere comportamenti idonei e sufficienti a far ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto” (come, appunto, nel caso di specie, in cui la curatela fallimentare ha dichiarato di voler fare acquiescenza alla pronuncia d’appello), “viene a mancare il presupposto perché a lui possa sostituirsi il creditore, il quale non può sindacare le modalità con cui il debitore abbia ritenuto di esercitare i suoi diritti nell’ambito del rapporto, né contestare le scelte e l’idoneità delle manifestazioni di volontà da lui poste in essere a produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento” (cfr. Cass. Sez. 2, ord. 28 novembre 2022, n. 34940, Rv. 666418-01).
9. La peculiarità della presente vicenda, conferendo carattere di novità – se non altro, negli esatti termini – alla questione in essa dibattuta, costituisce “giusto motivo”, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.
10. A carico dei ricorrenti, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Impugnazione inammissibile se parte adiuvata rinuncia
11. Per la natura della “causa petendi”, va d’ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi dei ricorrenti e del loro dante causa in via ereditaria, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Dispone che, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi dei ricorrenti e del loro dante causa in via ereditaria.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 26 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria l’11 novembre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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