Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|11 novembre 2024| n. 29078.
Ricognizione debito da terzi con legittimazione
Massima: La ricognizione di debito e la promessa di pagamento possono provenire da soggetto terzo rispetto al debitore, purché legittimato dal punto di vista sostanziale a disporre del patrimonio su cui incide l’obbligazione dichiarata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato il riconoscimento di debito nella dichiarazione formulata, in seno ad una proposta transattiva, per conto del debitore, da una società sua mandataria, non essendo stata dedotta la carenza di potere rappresentativo).
Ordinanza|11 novembre 2024| n. 29078. Ricognizione debito da terzi con legittimazione
Data udienza 12 settembre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Obbligazioni in genere – Promesse unilaterali – Promessa di pagamento e ricognizione del debito promessa di pagamento e ricognizione di debito – Provenienza da un terzo – Ammissibilità – Condizioni – Legittimazione sostanziale del dichiarante a disporre del relativo patrimonio – Necessità – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dai Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
Dott. LA BATTAGLIA Luigi – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17810/2022 R.G. proposto da:
CASA DI CURE Co. Srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege presso la cancelleria della Corte di cassazione; rappresentata e difesa dall’Avv. MA.ZU. (c.f. Omissis) per procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
Contro
AZIENDA SANITARIA OSPEDALIERA DI RILIEVO NAZIONALE E DI ALTA SPECIALIZZAZIONE CIVICO DI Be.Cr., in persona del Commissario straordinario pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. LO.DA. (C.F. Omissis) per procura speciale in calce al controricorso; con domicilio digitale eletto presso la casella PEC Omissis;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 4/2022, depositata il 03/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal dott. LUIGI LA BATTAGLIA.
Ricognizione debito da terzi con legittimazione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con decreto ingiuntivo n. 631/2014 il Tribunale di Palermo condannò la società Casa di cure Co. Srl al pagamento in favore dell’ARNAS Civico di Be.Cr. (d’ora innanzi, semplicemente “Ospedale Civico” o “Civico”) della somma di Euro 100.043,00 (oltre interessi), a titolo di corrispettivo dei servizi di medicina trasfusionale resi da quest’ultimo, in regime convenzionale, in favore della prima. Co. propose opposizione, contestando l’omessa prova dell’an e del quantum del credito consacrato nel suddetto decreto.
Il Tribunale rigettò l’opposizione, ritenendo che il debito di Co. fosse stato riconosciuto in seno ad una proposta transattiva avanzata, per suo conto, dalla società mandataria Pr. Srl nei confronti del Civico.
La Corte d’Appello di Palermo confermò la sentenza di primo grado, osservando come, oltre che dal tenore della proposta transattiva suddetta (che prevedeva il pagamento della somma di Euro 55.000,00, a fronte di un credito complessivo indicato in Euro 93.202,49), la sussistenza del credito emergesse anche dal provvedimento con cui il Tribunale aveva respinto una proposta di ristrutturazione dei debiti avanzata dalla Co.. La nota della Pr., ad ogni modo, integrava – secondo i giudici di secondo grado – un pieno riconoscimento di debito il quale, ai sensi dell’art. 1988 c.c., scaricava su Co. l’onere di provarne l’inesistenza o l’avvenuta estinzione.
Ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di unico complesso motivo, la società Casa di cure Co. Srl
Resiste con controricorso e memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. l’Ospedale Civico.
In data 6/12/2023 è stata formulata proposta di definizione anticipata ex art. 380-bis c.p.c., nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Ricognizione debito da terzi con legittimazione
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Il ricorso è imperniato su un unico complesso motivo, articolantesi in diversi profili di censura.
3. La casa di cura ricorrente deduce, in primo luogo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 167, comma 1, c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., nonché dell’art. 111 Cost: il giudice di merito non avrebbe adeguatamente valutato le risultanze istruttorie, omettendo, conseguentemente, di rilevare la discrepanza tra le prestazioni effettivamente eseguite dal Civico e quelle riportate nelle fatture poste a fondamento del decreto ingiuntivo.
La doglianza è inammissibile.
Si deve premettere che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, “in tema di scrutinio del ragionamento probatorio seguito dal giudice di merito, l’errore di valutazione nell’apprezzamento dell’idoneità dimostrativa del mezzo di prova non è sindacabile in sede di legittimità se non si traduce in un vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, mentre deve ritenersi censurabile, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 115 del medesimo codice, l’errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti” (Cass., n. 37382/2022; si vedano anche Cass., n. 37382/2022, e Cass., n. 27847/2021).
Si è affermato, ancora, che, “una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cass., n. 6774/2022). Cass., n. 12971/2022, ha specificato, al riguardo, che, in tale contesto, è onere del ricorrente per cassazione “prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e (…) specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza”.
Ricognizione debito da terzi con legittimazione
Per quanto concerne, più specificamente, la censura afferente alla violazione dell’art. 2697 c.c., essa deve ritenersi ammissibile “soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 n. 5 c.p.c.)” (Cass., n. 13395/2018).
Sulla scorta di tali principi, è agevole rilevare come, nel caso di specie, sotto l’egida dei vizi di cui ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c., la ricorrente solleciti, in realtà, un riesame del merito della controversia, estraneo alle prerogative del giudice di legittimità, posto che “la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti (…)” (Cass., n. 16467/2017).
4. Il secondo profilo di censura attiene alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c., sul presupposto che non potesse attribuirsi alla proposta della Pr. la natura di “vero e proprio riconoscimento di debito per l’intera somma indicata nel decreto ingiuntivo, trattandosi di una proposta transattiva, ovvero di una indicazione di un dato contabile da parte di un soggetto terzo, che non è il debitore e in assenza di sottoscrizione della stessa nota de qua da parte del debitore” (pag. 19 del ricorso).
La doglianza è infondata.
È indubbio, infatti, che la ricognizione di debito e la promessa di pagamento, possano provenire da soggetto terzo rispetto al debitore, purché “legittimato dal punto di vista sostanziale a disporre del patrimonio su cui incide l’obbligazione dichiarata” (Cass., n. 6473/2012). Orbene, nel caso di specie, a fronte della qualificazione della Pr. (contenuta nella sentenza di merito) come “mandataria della Casa di cure”, il motivo non deduce la carenza, in capo a quest’ultima, di potere rappresentativo, limitandosi ad asserire che la mancata sottoscrizione del debitore renderebbe la dichiarazione de qua in radice inidonea ad integrare il riconoscimento del debito.
D’altra parte, non può trascurarsi di notare come la valenza confessoria della suddetta proposta transattiva s’inscriva nella complessiva valutazione, da parte del giudice di merito, di un compendio probatorio più ampio (siccome comprendente la convenzione sottoscritta tra le parti, il decreto del Tribunale di Palermo del 5 gennaio 2012, nonché la circostanza della “mera contestazione delle fatture, non seguita dalla dimostrazione dell’assunto”), non attinto dalle censure della ricorrente per i profili ulteriori rispetto alla scrittura della quale s’è detto.
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5. La ricorrente lamenta altresì la “omessa e/o erronea valutazione delle risultanze istruttorie e documentali”, per avere il giudice di merito fondato la prova del credito sulle fatture commerciali e sulle annotazioni del registro dei corrispettivi, inidonee allo scopo nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
La doglianza è inammissibile, vuoi per le considerazioni già svolte in relazione al primo profilo di censura, vuoi (sotto il profilo del vizio ex art. 360, n. 5, c.p.c.) per la presenza di una motivazione che consente pienamente di comprendere l’iter logico seguito dal giudice di merito per giungere alle sue conclusioni, mentre è noto che, “in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (Cass., n. 7090/2022).
Il convincimento dei giudici di merito si fonda sulla coordinata valutazione di plurimi indici probatori, della quale (come si è visto) i giudici di merito danno adeguatamente conto nella motivazione della sentenza impugnata, con statuizione non utilmente attinta dalle “parcellizzate” censure mosse in sede di ricorso, le quali – lo si ripete – finiscono inevitabilmente per esorbitare dai rigorosi confini del giudizio di legittimità.
6. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della parte controricorrente, seguono la soccombenza.
7. La ricorrente va altresì condannata al pagamento di somme ex art. 96, 3 e 4 co., c.p.c., liquidate come in dispositivo, sussistendone i rispettivi presupposti di legge.
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P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 5.200,00 (di cui Euro 5.000,00 per onorari), oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di Euro 6.000,00 ex art. 96, 3 comma 3, c.p.c. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1.000,00 ex art. 96, 4 comma, c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza sezione civile del 12 settembre 2024
Depositato in Cancelleria l’11 novembre 2024.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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