Quando la vittima decede per cause non collegate lesione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|4 febbraio 2025| n. 2641.

Quando la vittima decede per cause non collegate alla lesione

Massima: Qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale d’invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio, e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti, restando perciò possibile e utile parametro equitativo quello delle tabelle romane.

Ordinanza|4 febbraio 2025| n. 2641. Quando la vittima decede per cause non collegate alla lesione

Integrale

Tag/parola chiave: RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO – Danno – Biologico e morale (non patrimoniale) – Decesso della vittima prima della conclusione del giudizio – Risarcimento spettante agli eredi iure successionis – Liquidazione – Criteri. (Cc, articoli 1223, 2043, 2056 e 2059)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUBINO Lina – Presidente

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere Relatore

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18329/2022 R.G. proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE CASERTA, rappresentata e difesa dall’avvocato ZA.SA., domiciliazione telematica ex lege

-ricorrente-

contro

Le.Ra., Ci.An., Le.Gi., Le.Ri., rappresentati e difesi dagli avvocati IR.GA., SC.SE., domiciliazione telematica ex lege

-controricorrenti-

nonché contro

REGIONE CAMPANIA, UN.AS. Spa, OSPEDALE SAN GIUSEPPE MOSCATI

-intimati-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 534/2022 depositata il 10/02/2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere PAOLO PORRECA.

Quando la vittima decede per cause non collegate alla lesione

Rilevato che

L’ASL di Caserta ricorre, sulla base di quattro motivi, corredati da memoria, per la cassazione della sentenza n. 534 del 2022 della Corte di appello di Napoli, esponendo, per quanto ancora qui di complessiva utilità, che:

– Le.Ni. aveva convenuto in giudizio l’Ospedale San Giuseppe Moscati di Aversa, l’ASL Caserta 2, la Regione Campania e la Fo.Sa. Spa, chiedendo il ristoro dei danni, anche non patrimoniali, indicati come causati dalla condotta omissiva dei sanitari della struttura coinvolta, in Aversa, i quali non avevano tempestivamente indirizzato l’attore verso una struttura specializzata in chirurgia vascolare sulla scorta della preesistenza di un’importante area infettiva evidenziata da un esame t.a.c. condotto presso l’ospedale di Caserta durante un precedente ricovero, con conseguente ritardo e infine necessaria amputazione della coscia destra al terzo medio o medio superiore;

– il giudizio era stato interrotto per decesso dell’attore, con successiva riassunzione da parte degli eredi, Ci.An., Le.Ra. e Le.Gi., rispettivamente moglie, la prima, e figli del de cuius;

– il Tribunale aveva rigettato la domanda ritenendo mancante la prova del nesso causale, non essendo stato dimostrato, in particolare, che fosse stato palesato dalla vittima, o da altri soggetti interessati, ai sanitari dell’Ospedale di Aversa, che l’attore era stato già ricoverato presso il reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale di Caserta, dov’era stato sottoposto all’esame t.a.c. con cui si era resa evidente la persistenza dell’infezione da fistola aorto-enterica, sicché la diagnosi dei sanitari convenuti era avvenuta senza che fosse stato conclusivamente provato che quelli avessero avuto contezza di quanto necessario a poter imputare loro, a qualunque titolo, la condotta omissiva in discussione;

– La Corte di appello aveva riformato la decisione osservando, in particolare, che:

– in presenza di una malattia pregressa e del concorso della condotta umana, la causalità materiale doveva ritenersi sussistente, con imputazione dell’evento di danno alla seconda, salva, diversamente, la valutazione della causalità giuridica, ovvero la selezione dei pregiudizi ristorabili perché imputabili solo, nel caso, alle omissioni riferibili all’uomo;

– la relazione dei consulenti nominati dal giudice, in occasione dell’accertamento tecnico preventivo svolto, aveva evidenziato che un’anamnesi prossima, eseguita con attenzione e corretta metodologia semiologica, avrebbe chiaramente evidenziato il ricovero precedente all’Ospedale di Caserta e sgombrato le perplessità diagnostiche, indirizzando altresì il paziente in un Reparto di Chirurgia Vascolare in cui, nonostante la complessità del caso, secondo la buona pratica clinica, con verosimiglianza e grande probabilità, vi sarebbero stati i risultati utili, evitando l’amputazione dell’arto inferiore destro;

– in definitiva, quando il paziente si era ricoverato ad Aversa -ricovero tardivo rispetto al consiglio in effetti ricevuto nell’Ospedale di Caserta – “la patologia non era ancora grave e irreversibile” e l’arto “poteva ancora essere salvato”;

– per la liquidazione del danno potevano utilizzarsi le tabelle milanesi così da individuare gli importi, considerando al contempo quelle romane perche, più idoneamente, distinguevano una componente di danno immediata, corrispondente all’adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta, e una componente da correlare in modo uniforme ai progressivi pregiudizi, così da ottenere un valore monetario per unità di tempo, evinto in relazione all’aspettativa di vita media, da moltiplicare per i giorni effettivamente vissuti, trattandosi di danno da premorienza avvenuta, nel corso del giudizio, per causa diversa da quella medica sub iudice;

– andava invece respinta la domanda di manleva assicurativa, logicamente assorbita in prime cure, per l’eccepito e riscontrato superamento del massimale;

Quando la vittima decede per cause non collegate alla lesione

vi è controricorso di Ci.An., Le.Ra. e Le.Gi., quali eredi di Le.Ni.;

Rilevato che

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato affermando apoditticamente che, con un’anamnesi adeguata, sarebbe emerso il precedente ricovero, pacificamente non comunicato ai sanitari della struttura aversana dalla vittima e dai suoi familiari, dovendo al contrario plausibilmente presupporsi che il paziente avesse quindi taciuto il punto, anche per non evidenziare sue inerzie curative, fermo restando che l’incertezza della sussistenza del nesso causale doveva ricadere, negativamente, sulla posizione attorea;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il ricovero ultimo era avvenuto non solo in ritardo ma in aperto contrasto con la previa indicazione dell’Ospedale di Caserta di ricorrere a “un immediato ricovero in un reparto di chirurgia vascolare”, come risultante dalla conosciuta cartella clinica, di cui il paziente non aveva messo a parte il medico curante, secondo quanto attestato dalla consulenza tecnica d’ufficio, con conseguente condotta interruttiva del nesso eziologico, ovvero tale da doversi necessariamente ridurre la posta risarcitoria per concorso colposo del creditore della prestazione medica e, quindi, risarcitoria;

con il terzo motivo si prospetta l’omesso esame di fatti decisivi e discussi, poiché la Corte di appello avrebbe immotivatamente obliterato la sopra descritta condotta colposa del paziente; con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1226, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare, in punto di quantificazione dei pretesi danni, che le tabelle romane utilizzate in funzione del computo del danno da premorienza, avvenuta nel corso del giudizio, in relazione alle quali non si contestava l’impianto logico, erano state applicate erroneamente, riducendo del 50% e non del 70%, come ivi previsto, la somma corrispondente alla prima componente di quel danno ovvero quella immediata, con conseguente contraddittorietà e, al contempo, violazione di legge indirettamente rifeLe.Ri. all’interposizione tabellare in parola;

Considerato che

i primi tre motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili;

la Corte territoriale ha ritenuto che una corretta anamnesi avrebbe più che probabilmente portato all’emersione del precedente ricovero, e con questo, negli stessi termini probabilistici, a una corretta pratica clinica di chirurgia vascolare tale da evitare l’amputazione dell’arto;

questa valutazione fattuale delle risultanze istruttorie è propria del giudice di merito e non può essere rivista in questa sede di legittimità, sposando alternativi apprezzamenti dei fatti in esame; quanto alla circostanza che la vittima non seguì quello che la Corte distrettuale definisce “consiglio”, aderendo alla relazione tecnica officiosa (pag. 20 della sentenza impugnata), e che il ricorrente riporta, con profili di aspecificità, senza riferire il contesto di riferimento delle conclusioni della relativa cartella clinica, deve rimarcarsi, in primo luogo, che, nell’impianto ricostruttivo fattuale della decisione censurata, essa non sposta la conclusione per cui, come anticipato in narrativa, “la patologia non era ancora grave e irreversibile”, sicché l’arto avrebbe potuto essere salvato (stessa pag. 20);

ferma, dunque, la sussistenza del nesso causale, l’ipotesi per cui tale condotta del paziente avrebbe potuto evitare l’evento o ridurre i danni resta, in secondo luogo, una congettura, implicitamente quanto univocamente esclusa dal giudice del merito proprio perché non incidente sulla salvezza dell’arto, quale, evidentemente, in concreto ipotizzabile;

come logico, infatti, l’incertezza su tale fatto impeditivo o modificativo – in tale ultimo senso riduttivo – del risarcimento, resta a carico della parte che lo invoca, sia pure in termini di eccezione in senso lato;

ciò posto, va ribadito che anche la rilevabilità d’ufficio del concorso di colpa della vittima di un fatto illecito, di cui all’art. 1227, primo comma, c.c., non è incondizionata, dovendo coordinarsi con gli oneri dell’allegazione e della prova: ne discende che la questione del concorso colposo è rilevabile d’ufficio, in primo grado, allorché risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia desumibile la sussistenza d’una condotta colposa del danneggiato, che abbia concausato il danno e, nel perimetro proprio del grado di appello, se in primo grado ne sia stato omesso il rilievo, ove la parte interessata abbia impugnato la sentenza che non ha provveduto sull’eccezione ovvero l’abbia ancora proposta quando la questione sia rimasta assorbita (Cass., 15/02/2023, n. 4770; sulla natura di eccezione in senso stretto, invece, della deduzione ai sensi dell’art. 1227, secondo comma, cod. civ., v. ad esempio Cass., 19/07/2018, n. 19218);

nel ricorso nulla si specifica, idoneamente, in ordine al fatto che la questione, su cui ad avviso della parte neppure implicitamente la Corte di merito si sarebbe pronunciata, sarebbe stata comunque nuovamente proposta, in linea subordinata, a fronte del suo assorbimento in prime cure;

Quando la vittima decede per cause non collegate alla lesione

in particolare, si afferma solo, e del tutto genericamente, che la ricorrente azienda aveva “affrontato il tema esplicitamente (vedasi a pag., 3 della comparsa di costituzione in appello), non riportando il tenore dell’allegazione – e neppure illustrandolo nei contenuti -se non attraverso un rimando da immaginare recettizio, con conseguente aspecificità per violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., ratione temporis applicabile (Cass., Sez. U., n. 27/12/2019, n. 34469); il quarto motivo è infondato;

come noto, questa Corte ha chiarito che qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale d’invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio, e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti, restando perciò possibile e utile parametro equitativo quello delle tabelle romane (Cass., 29/12/2021, n. 41933, Cass., 29/05/2024, n. 15112);

fatta questa premessa per chiarezza, va sottolineato che parte ricorrente esplicita di non contestare l’impianto logico seguito così dal giudice di merito (pag. 16, 4 capoverso, del ricorso), osservando, d’altro canto, che quelle tabelle, per l’invalidità permanente, presuppongono una quota massima del 30% dell’importo complessivo quale danno immediatamente acquisito, consistente nella prima (e non progressiva) componente della liquidazione;

l’affermazione non corrisponde a quanto riportato nella sentenza impugnata e nel medesimo ricorso, dove alla fascia di danno biologico permanente tra il 41% e il 60% corrisponde una componente che è fissata tra il 21% e il 30%, ovvero non tali ultime percentuali rapportate alle prime, ma la metà (con arrotondamenti) delle prime stesse, come indicato dalla Corte territoriale (ossia la metà, circa, di 41 e di 60);

anche in tal caso per completezza, si evidenzia come resta fermo che le tabelle sono il parametro di una liquidazione che rimane equitativa, integrando indirettamente una violazione di legge ma non potendo equipararsi compiutamente a quest’ultima, per evidenti ragioni;

spese secondo soccombenza, con la richiesta distrazione; va disposto che, ai sensi dell’art. 52, D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di Ci.An., Le.Ra., Le.Gi., Le.Ni.;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese dei resistenti, in solidarietà attiva, liquidate in complessivi 4.500,00 euro, oltre a 200,00 Euro per esborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali. Spese distratte, in solidarietà attiva, in favore dell’Avvocato Ga.Ir. e dell’Avvocato Se.Sc..

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, al competente ufficio di merito, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso. Oscuramento dei dati come in motivazione.

Così deciso in Roma, l’11 dicembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 4 febbraio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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