Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|4 febbraio 2025| n. 2635.
Danno da Morte: Limiti Risarcibilità Eredi
Massima: Quando la vittima è già deceduta al momento dell’introduzione del giudizio da parte degli eredi non è concepibile, né logicamente né giuridicamente, un danno da perdita anticipata della vita trasmissibile iure successionis, non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico, mentre è possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di danno da perdita anticipata della vita, con riferimento al diritto iure proprio degli eredi, solo definendolo il pregiudizio da minor tempo vissuto ovvero da valore biologico relazionale residuo di cui non si è fruito, correlato al periodo di tempo effettivamente vissuto. In particolare, nell’ipotesi di un paziente che, al momento dell’introduzione della lite, sia già deceduto, sono, di regola, alternativamente concepibili e risarcibili a titolo ereditario, se allegati e provati, i danni conseguenti: a) alla condotta del medico che abbia causato la perdita anticipata della vita del paziente (determinata nell’an e nel quantum), come danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita effettivamente vissuta), considerato nella sua oggettività, e come danno morale da lucida consapevolezza della anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile soltanto a far data dall’altrettanto eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita; b) alla condotta del medico che abbia causato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (non determinata né nell’an né nel quantum), come danno da perdita di chances di sopravvivenza. In nessun caso sarà risarcibile iure successionis, e tanto meno cumulabile con i pregiudizi di cui sopra, un danno da perdita anticipata della vita con riferimento al periodo di vita non vissuta dal paziente.
Ordinanza|4 febbraio 2025| n. 2635. Danno da Morte: Limiti Risarcibilità Eredi
Integrale
Tag/parola chiave: RESPONSABILITÀ E RISARCIMENTO – Danno – Alla persona – Danno da perdita anticipata della vita – Vittima deceduta anteriormente al giudizio – Domanda degli eredi – Esclusione – Responsabilità sanitaria. (Cc, articoli 1223, 2043 e 2056)
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. RUBINO Lina – Presidente
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
Dott. AMBROSI Irene – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20747/2022 R.G. proposto da
Ci.Ma., Pe.Va., Pe.Fi., Pe.Ma., in proprio e nella qualità di eredi di Pe.Gi., rappresentati e difesi dagli avvocati DE.RA., LO.CA., domiciliazione telematica ex lege
-ricorrenti-
Contro
AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA FEDERICO II, rappresentata e difesa dagli avvocati BR.GI., OR.FA., domiciliazione telematica ex lege
-controricorrente-
nonché sul ricorso incidentale proposto da
XL.IN. SE, rappresentata e difesa dagli avvocati MA.CL., MA.FA., domiciliazione telematica ex lege
-controricorrente e ricorrente incidentale-
Contro
Pe.Ma., Ci.Ma., Pe.Fi., Pe.Va.
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 302/2022 depositata il 27/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere PAOLO PORRECA.
Danno da Morte: Limiti Risarcibilità Eredi
RILEVATO CHE
Ci.Ma., Pe.Fi., Pe.Va. e Pe.Ma., in proprio e nella qualità di eredi di Pe.Gi., nel 2013 convenivano in giudizio l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, indicati come causati al de cuius in ragione della condotta colposa, avuta dai medici del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, in particolare il giorno 2 dicembre 2008, quando avevano eseguito l’esame di “ecostress farmacologico e studio della riserva coronarica nell’IVA distale dopo infusione di dipiridamolo 0,84 mg/kg in 6 min”;
allegavano che
– non era stata diagnosticata, all’esito del detto esame, la gravità della patologia in atto – trombosi acuta e malattia aterosclerotica ostruttiva trivasale severa – nonostante lo richiedessero gli evidenti e riscontrati sintomi patologici, ossia ripetuti episodi anginosi associati a difficoltà respiratoria;
– i sanitari avevano così omesso di disporre il ricovero in ambiente ospedaliero e avevano mancato di sottoporre il paziente d’urgenza all’unica e obbligata opzione terapeutica rappresentata dall’esame di coronarografia – e contestuale intervento di angioplastica – ovvero un esame diagnostico strumentale elettivo e specialistico che avrebbe consentito, con elevata probabilità, allo stesso di guarire e comunque di vivere per un tempo più lungo, evitando l’infarto da correlato scompenso cardiaco;
– durante l’esecuzione dell’esame in parola i medici avevano riscontato che all’acme dell’infusione di dipiridamolo il paziente aveva accusato e riferito dolore toracico oppressivo, con anomalie all’ECG, mentre la sintomatologia era regredita solo dopo diversi minuti dall’infusione di aminofillina e metoprololo;
– era quindi stata refertata la grave diagnosi di “ecostress positivo per ischemia miocardica inducibile in sede laterale ed apicale con ridotta riserva di flusso coronarico su IVA” ma, nonostante ciò, si era proceduto a dimissione dal reparto senza alcuna prescrizione di terapia e cura, anche farmacologica, senza consigliare o praticare ulteriori accertamenti, oltre che senza disporne il ricovero o consigliarlo presso altra struttura, sicché Pe.Gi., non informato della gravità della patologia in atto, era rientrato presso la propria abitazione;
– nei giorni successivi i sintomi patologici si erano aggravati, con episodi anginosi associati a difficoltà respiratoria, tanto che il 7 dicembre 2008 la vittima era stata ricoverata d’urgenza presso l’Azienda Ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta;
– in quella struttura i sanitari, previa induzione dello stesso a coma farmacologico, lo avevano sottoposto a esame di coronarografia, da cui la diagnosi di “trombosi acuta del TCCS distale, malattia aterosclerotica ostruttiva trivasale severa”, con conseguente intervento chirurgico urgente di angioplastica coronarica, ormai però tardivo, tanto che, alle ore 21,30 dello stesso giorno, il paziente era deceduto, all’età di anni 52, a séguito di arresto cardiaco;
l’Azienda Ospedaliera convenuta si era costituita chiamando in causa, a titolo di garanzia, la XL.IN. Limited, società di assicurazione che a sua volta si era costituita anch’essa resistendo e comunque eccependo, in linea subordinata, la sussistenza di una franchigia opponibile;
il Tribunale aveva rigettato la domanda con pronuncia parzialmente riformata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare
– dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta in secondo grado era emerso che non vi erano elementi “per ritenere che la trombosi acuta del TCCS distale risultante dall’angiografia coronarica del 7 dicembre 2008 fosse presente alla fine dell’ecostress del 2 dicembre 2008, non risultando attestata una sintomatologia diversa da quella riportata nel referto in atti e regredita prima delle dimissioni”;
– il paziente all’epoca dell’esame era già affetto da cirrosi epatica irreversibile a causa della quale era infatti in lista di attesa per eseguire il trapianto di fegato, in vista del quale era stato prescritto l’esame di ecostress, essendo al contempo affetto da un quadro sintomatico di coronaropatia, confermato dal ricordato evento ischemico miocardico, clinicamente apprezzabile come angina pectoris;
– durante l’esame gli operatori aveva inquadrato tempestivamente la problematica e l’avevano gestita terapeuticamente con altrettanta tempestività e adeguatezza, tanto da ottenere la risoluzione del quadro clinico;
– dopo l’indagine, invece, ad avviso dei periti vi era stato un comportamento censurabile per negligenza, poiché i medici avrebbero dovuto garantire al paziente un immediato periodo di stretta osservazione specialistica in regime di ricovero ospedaliero, durante la quale si sarebbe potuta operare la necessaria stratificazione del rischio attraverso approfondimenti anche di laboratorio e, solo successivamente, di carattere invasivo, ossia coronarografia, anche per valutare l’idoneità a un contestuale intervento di rivascolarizzazione;
– tuttavia, secondo l’elaborazione peritale, non era possibile ‘affermare, con criterio del “più probabile che non” (con probabilità superiore al 50%), che una più diligente gestione del paziente da parte dei Sanitari dell’A.O.U. Federico II avrebbe impedito la genesi della trombosi acuta del TCCS e, pertanto, evitato l’exitus, per un duplice motivo a) l’inizio della cascata fisiopatologica degli eventi che portò a morte il paziente (trombosi del TCCS acuta) è collocabile cronologicamente nelle ore immediatamente antecedenti il ricovero d’urgenza’ a Caserta; b) “la coronaropatia di cui era affetto il Pe.Gi. era di una gravità tale da necessitare di un approccio cardiochirurgico (by-pass aorto-coronarico), comunque foriero di un elevatissimo rischio intra-operatorio, solo dopo la necessaria stratificazione del rischio e l’effettuazione di indagini invasive”;
– al contempo, era per converso ‘”più probabile che non” che, qualora il paziente fosse stato avviato prontamente al ricovero (o nell’immediatezza dell’indagine o al massimo il giorno successivo…la trombosi acuta del TCCS, insorta nei giorni successivi, avrebbe potuto essere gestita con maggiore prontezza e tempestività, poiché il paziente si sarebbe trovato già ed ancora in regime di ricovero c/o l’A.O. Federico II di Napoli o presso altra struttura ospedaliera, per gli opportuni approfondimenti e, pertanto, in ambiente “protetto” (ed eventualmente anche già sottoposto ad una terapia specifica)’, e questo perché “dall’analisi della Letteratura, un evento coronarico acuto esordito in ambiente pre-ospedaliero riconosce una mortalità che si attesta mediamente attorno il 30%, contro il 10% circa in caso di esordio in ambiente ospedaliero o, comunque, di ospedalizzazione nell’immediatezza le chances di sopravvivenza (intesa come chance di vivere anche un breve periodo di tempo in più rispetto a quello poi effettivamente vissuto) risultano pertanto essere del 70% nel primo caso e del 90% del secondo caso, seppur con differenze in base alla tipologia di evento coronarico”;
– ‘in definitiva, secondo l’opinione dei due consulenti nominati…, pur a volere ritenere sussistente nella vicenda in esame l’omissione colposa dei sanitari, nella gestione del paziente dopo l’esame di ecostress, in ogni caso essa avrebbe provocato una “riduzione della vita”, non anche la morte del paziente che comunque sarebbe avvenuta ed invero, la possibilità del paziente di sopravvivere alla situazione ingravescente di cui era portatore era comunque molto labile’;
in altri termini, secondo la Corte distrettuale, gli ausiliari giudiziali non avevano ‘chiarito se l’omissione diagnostica e interventista da parte dei medici dell’Azienda Universitaria (avesse) sostanzialmente accelerato la genesi della trombosi acuta del TCCS causando la morte del paziente ovvero se l’operato negligente dei predetti (avesse) concorso ad anticipare in maniera rilevante l’esito infausto della patologia né tantomeno (avevano) affermato se una diagnosi tempestiva, con certezza o elevata probabilità, avrebbe consentito la sopravvivenza del Pe.Gi., ma, piuttosto, (avevano) riconosciuto che la ritardata “diagnosi, gestione e cura” della trombosi (aveva) inciso sulle possibilità di sopravvivenza del paziente nella misura del 20%. Le conclusioni dei consulenti (risultavano), cioè, espresse in termini di insanabile incertezza rispetto all’eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze, ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo’;
secondo il Collegio di seconde cure
– doveva quindi liquidarsi equitativamente tale danno iure successionis, corrispondente monetario di una perdita di possibilità di sopravvivenza nella misura del 20%, pari cioè alla differenza peggiorativa rispetto a quelle che avrebbe avuto in ambiente ospedaliero;
– la domanda di manleva, infine, era fondata, al netto della dedotta franchigia, poiché il contratto di assicurazione, pur non prodotto, era pacifico;
avverso questa decisione ricorrono, sulla base di cinque motivi, corredati da memoria, gli originari attori;
resiste con controricorso l’Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” di Napoli;
resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale fondato su motivo unico, corredato da memoria, la XL.IN. SE, Rappresentanza Generale per l’Italia;
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RILEVATO CHE
con il primo motivo del ricorso principale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1228, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che, come da critiche elaborate dai consulenti di parte deducente nei confronti dell’elaborato peritale officioso, era stato evidenziato come il risultato tasso di mortalità – pari al 10% in ambiente ospedaliero, e 30% in ambiente preospedaliero – tenuto conto sia delle specificità del caso concreto, in specie l’età della vittima di soli 52 anni, sia delle presunzioni necessariamente evincibili dalla mancanza di ogni indicazione terapeutica subito dopo l’esame e al momento delle dimissioni, doveva indurre a concludere per la sussistenza del nesso causale tra le condotte colpose mediche quali risultate e l’evento della morte, secondo il criterio della probabilità prevalente;
con il secondo motivo di tale ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1176, 1218, 1227, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che non si era in presenza di causa ignota della morte, poiché la consulenza tecnica d’ufficio aveva chiarito che l’eziologia coinvolgeva l’errore medico consistito nella cattiva pratica terapeutica della patologia cardiaca;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di motivare specificatamente e conseguentemente di pronunciarsi in ordine alle critiche dei consulenti tecnici di parte alla relazione peritale officiosa;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di disporre indagini tecniche suppletive una volta ritenuto che era risultata un’incertezza eventistica riguardante una maggiore durata della vita e minori sofferenze possibili imputabili, in tesi, agli errori medici;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 360, n. 5, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di pronunciarsi sulla violazione del consenso informato e sulla domanda di danno biologico terminale;
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con l’unico motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 96, 112, 115, 116, 132, 360, n. 5, cod. proc. civ., 1917, 1936 e seguenti, 2697, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la sussistenza di una franchigia non era stata contestata e, al contempo, non era stata neppure allegata prima che dimostrata la sua erosione, non potendo quindi statuirsi immotivatamente la condanna in manleva;
RILEVATO CHE
i primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente in ragione della connessione, sono infondati;
in primo luogo, va ribadito che qualora la produzione di un evento dannoso risulti riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, tale ultima dovendosi ritenere lo stato patologico non riferibile alla prima, l’autore del fatto illecito risponde in toto, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, dell’evento di danno eziologicamente riconducibile alla sua condotta, a nulla rilevando l’eventuale efficienza concausale anche dei suddetti eventi naturali, che possono invece rilevare, sul piano della causalità giuridica, ex art. 1223 cod. civ., ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti, ascrivendo all’autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose da rapportare, invece, all’autonoma e pregressa situazione patologica del danneggiato, non eziologicamente riferibile, cioè, a negligenza, imprudenza o imperizia del sanitario (Cass., 19/09/2023, n. 26851, che richiama Cass., 21/07/2011, n. 15991, Cass., 11/11/2019, n. 28986, Cass., 23/02/2023, n. 5632, Cass., 12/05/2023, n. 13037);
in secondo luogo, quando la vittima è già deceduta al momento dell’introduzione del giudizio da parte degli eredi ‘non è concepibile, né logicamente né giuridicamente, un “danno da perdita anticipata della vita” trasmissibile iure successionis…, non essendo predicabile, nell’attuale sistema della responsabilità civile, la risarcibilità del danno tanatologico, mentre è possibile, dunque, discorrere (risarcendolo) di “danno da perdita anticipata della vita”, con riferimento al diritto iure proprio degli eredi, solo definendolo il pregiudizio da minor tempo vissuto ovvero da valore biologico relazionale residuo di cui non si è fruito, correlato al periodo di tempo effettivamente vissuto;
…nell’ipotesi di un paziente che, al momento dell’introduzione della lite, sia già deceduto, sono, di regola, alternativamente concepibili e risarcibili a titolo ereditario, se allegati e provati, i danni conseguenti
a) alla condotta del medico che abbia causato la perdita anticipata della vita del paziente (determinata nell’an e nel quantum), come danno biologico differenziale (peggiore qualità della vita effettivamente vissuta), considerato nella sua oggettività, e come danno morale da lucida consapevolezza della anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile soltanto a far data dall’altrettanto eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita;
b) alla condotta del medico che abbia causato la perdita della possibilità di vivere più a lungo (non determinata né nell’an né nel quantum), come danno da perdita di chances di sopravvivenza;
in nessun caso sarà risarcibile iure successionis, e tanto meno cumulabile con i pregiudizi di cui sopra, un danno da “perdita anticipata della vita” con riferimento al periodo di vita non vissuta dal paziente’ (Cass., n. 21415 del 2023, cit., e succ. conf.);
ora, nella fattispecie, come anticipato in narrativa, la Corte territoriale ha ritenuto, con accertamento in fatto su base peritale, che
1) la condotta medica di non ospedalizzazione poteva in tesi aver ‘provocato una “riduzione della vita”, non anche la morte del paziente che comunque sarebbe avvenuta ed invero, la possibilità del paziente di sopravvivere alla situazione ingravescente di cui era portatore era comunque molto labile’ (pag. 32);
2) ciò sull’assunto che, secondo la relazione peritale 1) “la malattia arteriosclerotica ostruttiva trivasale severa era una condizione anatomica evidentemente già presente al momento dell’effettuazione dell’indagine ecostress del 2.12.2008”, sicché non vi erano elementi “per poter affermare che l’inizio della cascata fisiopatologica degli eventi che portò a morte il paziente (trombosi del TCCS acuta), di contro, sia collocabile cronologicamente in quella data. La genesi di nessuna delle due (malattia arteriosclerotica ostruttiva e trombosi) è pertanto correlabile ad un comportamento professionale dei Sanitari (censurabile o meno) dell’A.O.U. Federico II di Napoli” (pag. 32); 2) “la coronaropatia di cui era affetto il Pe.Gi. era di una gravità tale da necessitare di un approccio cardiochirurgico (by-pass aorto-coronarico), comunque foriero di un elevatissimo rischio intra-operatorio, solo dopo la necessaria stratificazione del rischio e l’effettuazione di indagini invasive” (pag. 31);
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3) in questo senso, non poteva dirsi essere stato “chiarito se l’omissione diagnostica e interventista da parte dei medici dell’Azienda Universitaria (avesse) sostanzialmente accelerato la genesi della trombosi acuta del TCCS causando la morte del paziente” e nemmeno “se l’operato negligente dei predetti (avesse) concorso ad anticipare in maniera rilevante l’esito infausto della patologia”;
4) restava però il fatto che in ambiente ospedaliero protetto, in cui il paziente avrebbe dovuto esser prudentemente e correttamente condotto all’esito dell’esame, vi sarebbero state apprezzabili chances di sopravvivenza;
ciò che la Corte di appello deve intendersi aver detto di aver accertato è dunque – con pieno giudizio controfattuale in concreto (in linea con Cass., 27/09/2024, n. 25285, quale esemplificativamente menzionata dai ricorrenti in memoria) – nel senso che l’evento sarebbe potuto accadere comunque (ovvero, in chiave ricostruttiva eziologica, sarebbe accaduto comunque), anche con la condotta alternativa corretta, e neppure vi era sufficiente prova che si sarebbe potuta in ogni caso garantire anche solo una maggiore durata della vita del paziente, mentre, per residuo, alla condotta colposamente causale dei sanitari era riferibile, diversamente, una perdita di apprezzabili possibilità di sopravvivenza evincibili dal tasso di mortalità, in specie in ambiente ospedaliero;
il Collegio di merito, pertanto, con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede di legittimità, ha utilizzato i tassi di mortalità riferiti ad ambienti ospedalieri e non ospedalieri, per quantificare parametricamente le concrete possibilità di sopravvivenza, ferma l’esclusione, proprio nello specifico caso, della sussistenza di un nesso anche solo concausale tra condotta medica e decesso, in relazione, soprattutto, alle fragilissime e severe condizioni preesistenti;
ciò facendo il giudice di merito ha risposto alle obiezioni delle consulenze tecniche di parte per quanto necessario, escludendo, implicitamente quanto univocamente, necessità di integrazioni peritali, non potendo confondersi l’incertezza eventistica accertata, e correlata al patrimonio di chances come bene della vita tutelabile, con dubbi sull’accertamento stesso di tanto;
due ulteriori sottolineature
i) il riferimento dei consulenti alla “probabilità superiore al 50%”, potenzialmente confliggente con il criterio della probabilità eziologica relativa prevalente rispetto alle altre cause, quando plurime, non incide sulla complessiva valutazione fattuale del Collegio di merito in ordine all’incertezza eventistica, escludente la riferibilità causale della morte alla condotta medica, essendo quest’ultima chiaramente rapportata all’inizio della “cascata patologica” che condusse al decesso, del tutto indipendente dalle iniziative attuate oppure omesse dai sanitari;
ii) come già in parte indicato, il riferimento al tasso di mortalità del 10% in ambiente ospedaliero e 30% in ambiente preospedaliero, non significa, nella logica della ricostruzione della Corte distrettuale, che quelli valessero per il paziente, implicando irrazionalmente la conclusione che la morte fosse al 70-90% evitabile, ma sono percentuali massive e generali, utilizzate a parametro delle concrete maggiori possibilità di sopravvivenza in un paziente già in condizioni così severe ovvero “di una gravità tale da necessitare di un approccio cardiochirurgico (by-pass aorto-coronarico), comunque foriero di un elevatissimo rischio intra-operatorio”, segno inequivocabile della ritenuta impossibilità d’imputare anche concausalmente la morte;
il quinto motivo è parzialmente fondato;
innanzi tutto, il danno biologico terminale è stato parimenti escluso per implicito, proprio perché è stata esclusa l’imputabilità eziologica della morte (v. sopra la differenza alternativa tra le ipotesi a) e b);
d’altro canto, invece, non risulta pronuncia sul preteso danno da mancanza di compiuta informazione del paziente, che tale è anche rispetto all’opzione delle dimissioni;
il ricorso incidentale è fondato per quanto di ragione;
è la stessa Corte di appello ad affermare la sussistenza della franchigia, per poi statuire positivamente sulla manleva “fermo restando…quanto previsto in polizza relativamente a detta franchigia” (pag. 41), ovvero “al netto e nei limiti di detta franchigia”, come se si potesse rimandare ad accertamento successivo la verifica sul suo superamento;
come pure sottolineato in memoria dalla difesa della XL.IN. SE, una volta eccepita e provata, da parte dell’assicuratore interessato, quale elemento limitativo e di perimetrazione del proprio obbligo, la sussistenza di una franchigia pacificamente aggregata opponibile, avrebbe dovuto verificarsi, motivando sul punto, la sussistenza della positiva prova, di cui risulta onerata la parte istante in manleva, che quella fosse stata in concreto già erosa, trattandosi di elemento controfattuale positivamente estintivo, in ipotesi parte qua, di quel limite;
Danno da Morte: Limiti Risarcibilità Eredi
la statuizione presuppone dunque motivato accertamento sul punto nel senso detto, del tutto carente come (anche) dedotto;
spese al giudice del rinvio;
va disposto che, ai sensi dell’art. 52, D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di Ci.Ma., Pe.Fi., Pe.Va., Pe.Ma., Pe.Gi.;
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi quattro motivi di ricorso principale, accoglie parzialmente il quinto, e per quanto di ragione il ricorso incidentale, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli perché, in diversa composizione, si pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Oscuramento dei dati come in motivazione.
Così deciso in Roma l’11 dicembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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