Omessa trascrizione conclusioni: mera irregolarità di norma

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 gennaio 2025| n. 2033.

Omessa trascrizione conclusioni: mera irregolarità di norma

Massima: La mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale, irrilevante ai fini della sua validità, salvo che abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, traducendosi in tal caso in vizio con effetti invalidanti della sentenza stessa, per omessa pronuncia sulle domande o eccezioni delle parti, oppure per difetto di motivazione in ordine ai punti decisivi prospettati dalle parti.

 

Ordinanza|28 gennaio 2025| n. 2033. Omessa trascrizione conclusioni: mera irregolarità di norma

Integrale

Tag/parola chiave: Provvedimenti del giudice civile – Sentenza – Contenuto – Conclusioni del p.m. e delle parti omessa o incompleta enunciazione in sentenza delle conclusioni delle parti – Conseguenze – Mera irregolarità formale – Configurabilità – Limiti – Nullità della sentenza – Condizioni.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Magistrati

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. SIMONE Roberto – Consigliere Rel.

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 32142/2021 R.G.,

proposto da

Pe.Iv., Co.La., Co.Fu. e Co.Le., rappresentati e difesi dall’avv. Al.Sc. e dall’avv. Gi.Ni., domiciliati in Roma alla via G.Fe., in virtù di procura in calce al ricorso; Pec (Omissis);

– ricorrenti –

contro

ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Ni.Sa. e dall’avv. Gi.Fr., domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, P.Zz., in virtù di delega in calce al controricorso nonché determinazione dirigenziale n. 3163 del 21.12.2021; Pec (Omissis);

– controricorrente –

nonché contro

CONSORZIO RO.7. scarl, LE ASSICURAZIONI DI ROMA – MU.AS. Spa,

– intimati –

per la cassazione della sentenza n. 7476/2021 della Corte d’Appello di Roma pubblicata l’11.11.2021;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 21 giugno 2024 dal Consigliere dott. Roberto Simone.

Omessa trascrizione conclusioni: mera irregolarità di norma

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 14.11.2017 il Tribunale di Roma condannava Roma Capitale al pagamento di Euro 312.379 in favore di Pe.Iv., di Euro 394.692 in favore di Co.La., di Euro 433.792 in favore di Co.Le. e di Euro 6.217 in favore di Co.Fu., a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa del sinistro – verificatosi il 12.2.2011, sulla via (Omissis) in Roma all’altezza del civico (Omissis) – nel quale era deceduta Au.An., congiunta degli attori, mentre percorreva la predetta strada alla guida dell’autovettura di proprietà della madre, Pe.Iv.

2. La Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 7476/2021, pubblicata in data 11.11.2021, in parziale accoglimento dell’appello svolto da Roma Capitale avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 21360/2017, pubblicata in data 14.11.2017, sul rilievo dell’apporto colposo dell’Au.An. nella verificazione del sinistro, riduceva nella misura di 2/3 gli importi già liquidati agli attori in primo grado, compensava per 2/3 le spese di lite del primo grado e poneva il residuo a carico dell’appellante; compensava per 1/3 le spese del giudizio di appello e poneva i residui 2/3 a carico degli appellati Pe.Iv. e Co.Fu., Co.La. e Co.Le.

Notava la Corte d’Appello che non era oggetto di impugnazione la circostanza, valorizzata dal giudice del primo grado nell’ambito della affermata responsabilità ex art. 2051 cod. civ., relativa alla presenza di terriccio e ghiaia sulla sede stradale immediatamente precedente il sinistro. Da ciò derivava, non essendo contestato che l’autovettura condotta dall’Au.An. poco prima della perdita di aderenza avesse percorso il tratto di strada ingombro del terriccio e del ghiaino, l’intervenuta dimostrazione del nesso di causa tra la res e l’evento di causa a fronte dell’assenza della prova liberatoria in punto caso fortuito.

Nondimeno, la Corte di merito riteneva sussistente il concorso colposo della vittima nella verificazione del sinistro sulla base del superamento del limite di velocità (50 km/h) di 15 km/h tratto dalla C.T.U. La velocità eccessiva dell’auto condotta dalla vittima, collegata alla scarsa visibilità dei luoghi, aveva impedito l’avvistamento dei detriti e determinato l’aggravamento delle conseguenze per l’aumento delle spinte laterali. Sempre sul piano del concorso colposo la Corte d’Appello, sulla base del petitum e tenuto conto della indicazione agli atti fatta dalla Polizia Municipale, rilevava vieppiù il mancato uso delle cinture di sicurezza da parte dell’Au.An.

Sulla base dei dati indicati, la Corte territoriale giungeva a quantificare l’apporto colposo della Au.An. nel 66% con la conseguente riduzione proporzionale degli importi già liquidati in primo grado.

3. Per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello hanno proposto ricorso Pe.Iv., Co.La., Co.Fu. e Co.Le., sulla base di nove motivi. Ha resistito con controricorso Roma Capitale. Il Consorzio RO.7. scarl e Le Assicurazioni Di Roma – MU.AS. Spa sono rimasti intimati.

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380-bis.1. cod. proc. civ.

Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. I ricorrenti hanno depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. per la mancata dichiarazione della carenza di interesse di Roma Capitale ad impugnare la sentenza di primo grado nonché la nullità della sentenza di secondo grado per violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. per erronea indicazione delle conclusioni rassegnate da Roma Capitale.

Osservano in particolare i ricorrenti che la sentenza del Tribunale di Roma nel condannare la convenuta al risarcimento dei danni in favore degli attori, in accoglimento della domanda subordinata svolta dalla seconda, aveva dichiarato il Consorzio RO.7. s.c.a.r.l. tenuto alla manleva della stessa e, a sua volta, indicata Le Assicurazioni Di Roma – MU.AS. Spa come tenuta a manlevare il consorzio in forza della polizza r.c. in atti. Il soggetto sostanzialmente condannato al risarcimento dei danni liquidati in primo grado, dunque, era il Consorzio RO.7. s.c.a.r.l. garantito dalla ridetta compagnia, i quali non avevano svolto impugnazione avverso la sentenza del primo grado (il consorzio aveva svolto solo un appello incidentale condizionato), avendo altresì quest’ultima provveduto al pagamento di quanto stabilito dal Tribunale di Roma nel maggio del 2018.

Non essendo parte sostanzialmente soccombente nel giudizio di primo grado, Roma Capitale era priva di interesse ad impugnare la sentenza di primo grado, tant’è che solo in occasione dell’udienza di precisazione delle conclusioni del 16.9.2020 aveva chiesto la restituzione degli importi versati dalla compagnia, salvo ripiegare all’udienza del 14.7.2021, fissata sempre per la precisazione delle conclusioni, per l’accertamento di tali pagamenti, sì che la sentenza di secondo grado era altresì nulla per aver riportato erroneamente le conclusioni dell’appellante.

1.2. Il motivo è infondato.

Il Tribunale di Roma ha condannato Roma Capitale al risarcimento dei danni lamentati dagli attori a causa del sinistro verificatosi il 12.2.2011, nel quale è deceduta Au.An. mentre era alla guida di una autovettura sulla via (Omissis). Contestualmente il Tribunale di Roma, in accoglimento della domanda di svolta dalla convenuta, ha condannato il Consorzio RO.7. s.c.a.r.l. a manlevarla e conseguentemente a tenerla indenne, disponendo, altresì, che Le Assicurazioni di Roma – MU.AS. Spa era tenuta manlevare a sua volta il Consorzio RO.7. s.c.a.r.l. nei limiti del massimale di polizza.

È noto come la regola dell’art. 100 c.p.c., a norma della quale per proporre una domanda, o per resistere ad essa, è necessario avervi interesse, si applichi anche al giudizio di impugnazione, nel senso che l’interesse ad impugnare presuppone una soccombenza, anche parziale, intesa in senso sostanziale e non formale, non potendosi prescindere, nell’accertamento dell’interesse all’impugnazione, dalla prospettazione delle domande formulata dalla parte attrice (v. Cass. 4 maggio 2012, n. 6770; Cass. 27 gennaio 2012, n. 1236).

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Come ripetutamente affermato da questa Corte, quando il convenuto sia condannato al pagamento di quanto richiesto dall’attore, a seguito dell’accoglimento della domanda principale, il convenuto, quale debitore, è legittimato ad impugnare la sentenza, senza che tale legittimazione sia elisa dall’accoglimento della domanda di manleva proposta dal convenuto medesimo nei confronti del terzo, chiamato in causa proprio per tenerlo indenne dagli effetti di quella condanna, trattandosi di domanda diversa, che non fa venire meno la soccombenza del primo rispetto all’attore (cfr. Cass., sez. un., 6 febbraio 2003, n. 1729; Cass. 20 ottobre 2016, n. 21304; Cass. 8 maggio 2023, n. 12086).

Inoltre, va disattesa anche l’ulteriore censura formulata con il mezzo all’esame e con la quale si lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente riportato nella sentenza impugnata le conclusioni precisate da Roma Capitale nelle note di trattazione scritta dell’udienza del 16.9.2020 e non quelle precisate nelle successive note di trattazione scritta dell’udienza del 14.7.2021. Ed invero, l’erronea trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una semplice irregolarità formale irrilevante ai fini della validità della sentenza mentre determina un effetto invalidante della medesima allorché abbia in concreto violato il principio del contraddittorio, impedendo la pronuncia del giudice sull’effettivo contenuto del dibattito processuale e sulle reali conclusioni delle parti (Cass. n. 16999 del 2/08/2007), salvo, cioè, che abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, traducendosi in tal caso in vizio con effetti invalidanti della sentenza stessa, per omessa pronuncia sulle domande o eccezioni delle parti, oppure per difetto di motivazione in ordine ai punti decisivi prospettati dalle parti (Cass. n. 18609 del 22/09/2015), il che neppure è stato dedotto, nella specie, in relazione al denunciato profilo ora in esame;

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 111, comma sesto, Cost. e/o dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. “per motivazione insussistente e/o apparente e/o incomprensibile e/o contraddittori in ordine all’affermazione che il veicolo procedeva alla velocità di 65 KM/h”; l’illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. nonché dell’art. 141 cod. strada in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.; l’illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.

Lamentano i ricorrenti che la Corte d’Appello abbia ritenuto sussistere il concorso colposo della vittima per il superamento del limite di velocità (di 50 km/h) di 15 km/h sulla base di quanto osservato dal C.T.U. Detta motivazione, tuttavia, sarebbe gravemente inficiata dal fatto che l’ausiliario del giudice aveva ritenuto che la velocità della Au.An. sarebbe stata di 54 km/h o, al più, di 55/60 km/h e non già di 65 km/h, giacché diversamente l’autovettura sarebbe uscita sul margine destro e non su quello sinistro come invece occorso.

La sentenza, oltre che nulla per la rilevata grave criticità motivazionale, poggerebbe sul travisamento del quadro probatorio rilevante ex art. 115 cod. proc. civ. e confliggerebbe con l’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. per l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, non avendo per l’appunto la Corte territoriale preso in esame il dato relativo alle tre possibili velocità del veicolo. Tenendo conto della velocità dell’autoveicolo realmente accertata dal CTU, invece, avrebbe dovuto essere esclusa qualsiasi ipotesi di concorso colposo non potendo la vittima accertarsi della presenza, non segnalata, del materiale sulla carreggiata, stanti “le condizioni di buio completo in cui versava il campo del sinistro e la visuale limitata all’uso dei soli proiettori”, come peraltro notato dallo stesso C.T.U.

Lo stesso C.T.U. aveva evidenziato come la vittima avesse accennato ad una manovra di emergenza alla percezione della perdita di aderenza e che, come rilevato dalla Polizia Municipale, gli airbags dell’autovettura non fossero entrati in azione (cosa che avviene in caso di sinistro ad una velocità superiore a 50 km/h). Fatti, questi ultimi, non esaminati dalla Corte territoriale in sede di decisione.

2.1. Il motivo è fondato nei termini appresso precisati.

La nullità della sentenza per mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. (error in procedendo denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.) può ammettersi solo in quattro casi: a) quando la motivazione manchi del tutto finanche “sotto l’aspetto materiale e grafico”; b) quando contenga un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”; c) quando sia “perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; d) quando sia puramente apparente (v. Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

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L’ipotesi sub d) è equiparabile alla prima più grave forma di vizio, “perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire di comprendere le ragioni e quindi le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da esse al risultato enunciato, venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un ragionamento che, partendo da determinate premesse, pervenga con un certo procedimento enunciativo, logico e consequenziale, a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (v. Cass. 9 settembre 2019, n. 22507). L’apparenza della motivazione ricorre anche quando il giudice di merito, pur indicando gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ne ometta qualsiasi approfondita disamina logica e giuridica, rendendo ugualmente impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (v. Cass., sez. un., 17 dicembre 2021, n. 40453).

Nel caso di specie, come già detto, la Corte d’Appello ha ritenuto l’esistenza di un concorso colposo a carico della Au.An. nella verificazione del sinistro sulla base del superamento del limite di velocità (50 km/h) di 15 km/h asseritamente tratto dalla C.T.U. La velocità eccessiva, collegata alla scarsa visibilità dei luoghi, aveva impedito l’avvistamento dei detriti e determinato l’aggravamento delle conseguenze per l’aumento delle spinte laterali.

2.2. Il concorso colposo della Au.An., per quanto concerne il profilo in esame, poggia, come detto, sulla circostanza del superamento del limite di velocità di 15 km/h del limite esistente. Nel pervenire a tale asserzione, la Corte territoriale ha affermato che il CTU “ha accertato nella misura di 65 chilometri l’ora, superiore di quindici chilometri il limite colà imposto” l’andatura tenuta dall’autovettura condotta dalla vittima al momento del sinistro; la medesima Corte non ha però preso in esame e valutati all’interno del debito contesto dell’attitudine causale, le velocità alternative ipotizzate dal C.T.U., il quale ha sì ipotizzato come massimo valore critico quello di 64 km/h (relazione integrativa del 26.1.2016, pag. 7), ma al tempo stessa ha ipotizzato scenari alternativi di 54,4 km/h o di 55/60 km/h prima dell’imbardata a sinistra (v. pag. 21 della relazione del C.T.U.).

2.3. Ancora, il C.T.U. nella sua relazione ha evidenziato che “l’imbardata della vettura verso sinistra descritta dalle tracce rilevate al suolo dalla P.G. (…) non può addebitarsi ad una eccessiva velocità di marcia che (…) semmai, l’avrebbe condotta fuori dal margine destro della carreggiata in direzione della tangente; ma deve ricondursi ad una perdita di aderenza degli pneumatici al suolo causata dai cospicui depositi sabbiosi e di pietrisco presenti sul margine destro del piano viabile curvilineo che percorreva regolarmente” (pag. 26 e s. della relazione del C.T.U.).

Ne consegue che la recisa affermazione secondo cui la velocità dell’auto condotta dalla vittima era pari a 65 KM/h risulta del tutto apodittica e non rispondente a quanto risultante dalla CTU, cui invece la Corte territoriale fa esplicito riferimento senza ulteriori precisazioni, sì da risultare la sentenza impugnata fondata, sul punto che qui rileva, su una motivazione meramente apparente e quindi sostanzialmente insussistente;

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di porre in rilievo, allorquando non abbia le cognizioni tecnico-scientifiche necessarie ed idonee a ricostruire e comprendere la fattispecie concreta in esame nella sua meccanicistica determinazione ed evoluzione, pur essendo peritus peritorum, il giudice deve fare ricorso a una consulenza tecnica di tipo percipiente, quale fonte oggettiva di prova (v. Cass. 22 febbraio 2016, n. 3428; Cass. 30 settembre 2014, n. 20548; Cass. 27 agosto 2014, n. 18307; Cass. 26 febbraio 2013, n. 4792; Cass. 13 marzo 2009, n. 6155; Cass. 19 gennaio 2006, n. 1020), sulla base delle cui risultanze è tenuto a dare atto dei risultati conseguiti e di quelli viceversa non conseguiti o non conseguibili, in ogni caso argomentando su basi tecnico scientifiche e logiche (v. Cass. 26 febbraio 2013, n. 4792; 13 marzo 2009, n. 6155; 19 gennaio 2006, n. 1020).

La sentenza impugnata, oltre ad incorrere nel già rilevato vizio motivazionale, non si è attenuta al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui il giudice può anche disattendere le risultanze della disposta C.T.U. percipiente, ma solo motivando in ordine agli elementi di valutazione adottati e agli elementi probatori utilizzati per addivenire all’assunta decisione (v. Cass. 3 marzo 2011, n. 5148), specificando le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni del C.T.U. (v. Cass. 26 agosto 2013, n. 19572; Cass. 7 agosto 2014, n. 17747; Cass. 11 gennaio 2021, n. 200).

Nella specie, oltre a quanto sopra riportato in merito al rilevato concorso causale rappresentato dal superamento del limite di velocità da parte dell’Au.An. non considerando la complessità dello scenario ricostruttivo svolto dal C.T.U., la Corte d’Appello neppure ha indicato, a tutto voler concedere, le ragioni in base alle quali ha ritenuto di potersi discostare dalle articolate conclusioni del C.T.U.

Quanto precede assorbe l’esame di ogni ulteriore censura proposta con il mezzo all’esame.

3. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. per l’affermazione del concorso colposo in assenza di una valutazione complessiva del quadro probatorio.

Premesso che la valutazione del materiale di prova deve essere effettuata in modo completo da parte del giudice, la Corte d’Appello in violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. non avrebbe debitamente considerato il carattere altamente insidioso del tratto di strada teatro del sinistro, connotato dall’assenza di guard-rail, di segnaletica stradale, di illuminazione e da una storia di analoghi e precedenti sinistri. L’elevata pericolosità del tratto stradale era stata confermata anche in sede di consegna dei lavori per l’effettuazione della manutenzione da parte del Consorzio RO.7. scarl undici giorni prima del sinistro.

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3.1. Il motivo è inammissibile.

Nell’ambito del ricorso per cassazione una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v. Cass., sez. un., 30 settembre 2020, n. 20867 e successive conformi).

Analogamente, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., che dà rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (v. Cass. 11892/2016 cit.).

Il motivo in esame, nel denunciare la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n., 3, cod. proc. civ. si discosta dal perimetro sopra delineato e poggia sulla rivisitazione del giudizio di fatto. Il complesso degli elementi evidenziati nel motivo (insidiosità del tratto di strada; assenza di guard-rail, di segnaletica stradale e di illuminazione; l’esistenza di una storia di analoghi e precedenti sinistri nel medesimo tratto di strada) sono tutti profili riservati alla verifica da parte del giudice del merito e, come tali, non sindacabili in sede di legittimità.

4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. per la mancata dichiarazione di inammissibilità dell’eccezione relativa al mancato uso delle cinture di sicurezza.

Nel corso del giudizio di primo grado non era stato tempestivamente eccepito da alcuna delle parti il concorso colposo a carico della vittima per il non uso delle cinture di sicurezza, né esse avevano dedotto elementi da cui poterlo desumere, sì che nessuna indagine era stata disposta. Da ciò deriva che la proposizione dell’eccezione in sede di appello da parte di Roma Capitale violerebbe l’art. 345 cod. proc. civ. e, per conseguenza, anche la sentenza impugnata sarebbe incorsa nella stessa violazione per aver valorizzato la circostanza tardivamente introdotta.

4.1. Il motivo è infondato.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il concorso del fatto colposo del creditore ex art. 1227, comma 1, c.c. integra un’eccezione in senso lato (Cass. n. 15382 del 6/07/2006) ed è, pertanto, rilevabile d’ufficio anche in appello, fermo restando il limite del giudicato interno, sicché, qualora sulla questione vi sia stata una statuizione di primo grado, il giudice di secondo grado può pronunciarsi solo se la decisione gli sia stata devoluta mediante l’impugnazione. È stato pure precisato che l’ipotesi del concorso di colpa del danneggiato di cui all’art. 1227, comma 1, c.c., non costituendo un’eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa, dev’essere esaminata e verificata dal giudice anche d’ufficio, attraverso le opportune indagini sull’eventuale sussistenza della colpa del danneggiato e sulla quantificazione dell’incidenza causale dell’accertata negligenza nella produzione dell’evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste formulate dalla parte; pertanto, anche il giudice d’appello può valutare d’ufficio tale concorso di colpa nel caso in cui il danneggiante si limiti a contestare in toto la propria responsabilità, senza che possa configurarsi un giudicato interno sulla misura del concorso oggetto della decisione di primo grado (Cass. n. 9200 del 2/04/2021) e che, in una controversia risarcitoria in cui si discuta circa l’effettiva quantificazione dei pretesi danni, non configura una domanda nuova, inammissibile in appello, la prospettazione di un concorso di colpa del danneggiato, trattandosi soltanto di argomentazione difensiva utile al fine di dimostrare l’eccessività del risarcimento dedotta ab origine (Cass, sez. un., n. 13902 del 3/06/2013).

Orbene nella specie, la Corte di merito ha correttamente ritenuto di non condividere la decisione del Tribunale, che ha escluso la rilevanza della circostanza che il personale della Polizia municipale intervenuto sul posto avesse riscontrato non essere agganciata la cintura di sicurezza sulla scorta del rilievo che tale circostanza non sarebbe stata eccepita in corso di causa, salvo che tardivamente in sede di comparsa conclusionale. Sul punto la Corte di merito, cui la questione è stata devoluta con specifico motivo di appello dall’attuale controricorrente, facendo corretta applicazione dei principi sopra richiamati, ha ritenuto, in sostanza, ammissibile l’eccezione in parola, evidenziando che quanto eccepito dall’appellante in merito alla responsabilità, esclusiva o concorrente, della vittima nella determinazione del sinistro integrava il thema decidendum, perché formulato all’atto di costituzione (evidentemente della parte convenuta) nel giudizio di primo grado – e tali affermazioni non sono state specificamente contestate dai ricorrenti in questa sede – e che i rilievi della Polizia locale fossero state ritualmente acquisiti tra le risultanze processuali, facendo, a tale ultimo riguardo, applicazione del cd. principio di acquisizione delle prove, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute, concorrono alla formazione del libero convincimento del giudice (Cass. n. 9863 del 13/04/2023; v. anche Cass., sez. un., n. 4835 del 16/02/2023).

Alla luce di quanto precede non sussiste la lamentata “illegittimità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ”.

5. Con il quinto motivo è denunciata la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. per l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti e cioè che gli agenti della Polizia municipale avrebbero accertato che la cintura di sicurezza non fosse stata agganciata solo dopo che la vittima era stata già estratta dalla vettura da parte dei VV.FF. e trasportata al Pronto Soccorso.

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I ricorrenti, sempre con riferimento al preteso mancato uso delle cinture di sicurezza da parte della vittima, lamentano che la Corte d’Appello non avrebbe considerato, in particolare, la circostanza che la Polizia municipale, sulla cui relazione si era basata, era intervenuta dopo che la vittima era stata estratta dall’autovettura dai Vigili del Fuoco e trasportata al Pronto Soccorso, sì che lo sganciamento del mezzo di ritenzione era stato effettuato dai soccorritori se non, addirittura, da parte della donna nell’estremo tentativo di uscire dal mezzo.

6. Con il sesto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione rilevante ex art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. degli artt. 1227, 2051, 2697, 2727, 2729 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. per l’assenza di prova, anche per via presuntiva, riguardo al mancato uso della cintura di sicurezza.

I ricorrenti, dopo essersi diffusamente soffermati su numerosi elementi di carattere indiziario atti a comprovare la compatibilità delle lesioni patite dalla vittima con l’uso della cintura di sicurezza, fatta eccezione per la relazione della P.M., della cui irrilevanza si è trattato nel motivo precedente, hanno denunciato che la decisione impugnata in violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. era incorsa in un travisamento probatorio.

Inoltre, sostengono che la Corte territoriale, nel dare rilievo al mancato uso delle cinture di sicurezza, non solo avrebbe violato il principio dell’onere della prova, gravante sul danneggiante, circa il concorso colposo e la sua rilevanza causale nello specifico, ma anche, muovendo dalla rilevazione fatta dal Polizia municipale, avrebbe compiuto un ragionamento inferenziale basato su elementi privi dei caratteri gravità, precisione e concordanza.

7. Con il settimo motivo è denunciata la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, comma sesto, Cost. e/o dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. per motivazione assente/apparente/incomprensibile in ordine al mancato uso della cintura di sicurezza, avendo basato la decisione sul punto sulla sola verifica della P.M. giunta sul posto dopo l’estrazione della vittima da parte degli operatori.

8. I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati per quanto di ragione e nei limiti appresso indicati.

Le doglianze nel loro complesso vertono intorno alla rilevazione dell’apporto colposo per il mancato uso delle cinture di sicurezza da parte della Au.An.

Circostanza basata esclusivamente sul rapporto di incidente redatto dalla Polizia municipale intervenuta dopo che la vittima era stata estratta dall’autovettura dai Vigili del Fuoco e trasportata al Pronto Soccorso, ma compatibile con uno sganciamento effettuato dai soccorritori.

Osserva il Collegio che sul punto nella sentenza si legge “anche a proposito della cintura di sicurezza del posto di guida dell’auto, che il personale della Polizia intervenuto sul posto ha riscontrato non essere stata agganciata, la Corte non condivide quanto affermato dal primo Giudice…”

Tale affermazione, nella sua stringatezza, non spiega adeguatamente il rilievo dato alla relazione della Polizia municipale, pacificamente intervenuta dopo che la Au.An. era stata estratta dai soccorritori, senza dare conto sulla base di quali elementi la Corte di merito abbia dato la preminenza a quanto risultava dalla detta relazione rispetto a quanto riscontrato dai Vigili del Fuoco, sì da risultare la motivazione della sentenza impugnata in questa sede del tutto apparente e sostanzialmente assente sul punto in questione.

Tale rilievo è assorbente in relazione alle ulteriori censure sollevate con i mezzi all’esame.

9. L’ottavo ed il nono motivo, con i quali si denuncia, rispettivamente, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1227 e 2055 cod. civ. per l’erronea ripartizione della responsabilità, nonché la nullità della sentenza per motivazione assente/apparente/incomprensibile in ordine alla ripartizione delle quote di responsabilità, e la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. per la compensazione delle spese di lite del primo grado e la liquidazione in favore di Roma Capitale delle spese di lite del secondo grado, dato l’accoglimento dei motivi come sopra precisato, devono ritenersi assorbiti.

10. Vanno rigettati il primo e il quarto motivo, va dichiarato inammissibile il terzo, vanno accolti i motivi secondo nonché, per quanto di ragione e nei limiti sopra precisati, quinto, sesto e settimo, assorbiti l’ottavo ed il nono motivo. La sentenza impugnata, dunque, deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che, in diversa composizione, provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Omessa trascrizione conclusioni: mera irregolarità di norma

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il quarto motivo, dichiara inammissibile il terzo motivo, accoglie il secondo nonché, per quanto di ragione e nei limiti precisati in motivazione, il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo, dichiara assorbito l’esame dell’ottavo e del nono motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte di Cassazione in data 21 giugno 2024.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2025.

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