Accordo patrimoniale divorzio: natura negoziale

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|28 gennaio 2025| n. 1985.

Accordo patrimoniale divorzio: natura negoziale

Massima: L’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l’omologazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione che, affrontando una controversia relativa alle attribuzioni patrimoniali discendenti per gli ex coniugi da detto accordo, aveva ritenuto quest’ultimo privo di effetti, senza applicare correttamente le regole dell’ermeneutica contrattuale e senza considerare che gli importi ivi riconosciuti prescindevano, almeno in parte, dalla vendita di un immobile per un certo prezzo).

 

Ordinanza|28 gennaio 2025| n. 1985. Accordo patrimoniale divorzio: natura negoziale

Integrale

Tag/parola chiave: Famiglia – Matrimonio – Separazione personale dei coniugi – Giudiziale – In genere accordo transattivo tra i coniugi relativo alle attribuzioni patrimoniali – Necessità di omologazione – Esclusione – Efficacia – Interpretazione della volontà negoziale – Criteri – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6834/2024 R.G. proposto da:

Za.Gi., elettivamente domiciliato in B (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato GH.AL. che lo rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.

-ricorrente-

Contro

Pe.Ma., elettivamente domiciliata in E. (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato MO.GI. che lo rappresenta e difende, come da procura speciale in atti.

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BRESCIA n. 27/2024 depositata il 08/01/2024.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Consigliere LAURA TRICOMI.

Accordo patrimoniale divorzio: natura negoziale

FATTI DI CAUSA

1.- Come si evince dalla sentenza di appello n.27/2024 della Corte territoriale di Brescia, pubblicata l’8 gennaio 2024, oggetto del presente ricorso per cassazione, Za.Gi. e Pe.Ma. in sede di separazione consensuale omologata (decreto di omologazione n.21431/2007) avevano raggiunto un accordo di natura economico -patrimoniale che prevedeva la volontà di vendere al più presto la casa situata al (Omissis), intestata a Pe.Ma., sulla quale i due coniugi avanzavano diritti e che risultava gravata da due mutui, uno dei quale era stato acceso per l’acquisto di una casa poi intestata alla figlia per il residuo importo, al momento della separazione di Euro 152.000,00, e l’altro era stato acceso per l’acquisto della palestra per il marito, con un residuo, al momento della separazione, di circa Euro 98.000,00=. In particolare, in sede di separazione avevano concordato “la casa sarà venduta a una somma non inferiore a Euro 500.000,00- (cinquecentomila). Su detto ricavato verrà corrisposta al marito la somma di Euro 175.000,00- oltre al 30% del residuo ricavato. Con la somma così complessivamente ricavata (euro 175.000,00- + 30% del residuo ricavato) il marito dovrà pagare il proprio mutuo del complessivo importo pari a circa Euro 98.000,00- restando in conclusione creditore verso la moglie di Euro 175.000,00- circa alla quale si dovrà aggiungere il 30% della somma eventualmente ricavata in più rispetto agli Euro 500.000,00- qui previsti.

Sempre in conclusione la moglie alla quale saranno rimasti circa 220.000,00 (500.000,00 30% del medesimo ricavato) dovrà pagare il mutuo contratto per la casa della figlia dell’attuale consistenza di Euro 152.000,00. Resterà per tanto con la disponibilità di Euro 68.000,00- circa, oltre al 70% della somma eventualmente ricavata in più rispetto ai 500.000,00- qui previsti. Resta inteso che fino alla vendita della casa questa resterà abitata dal marito e che questo continuerà a pagare soltanto il mutuo relativo alla sua palestra mentre la rata di mutuo della casa della figlia sarà a carico di quest’ultima.

Le operazioni di vendita e di riscossione saranno condotte congiuntamente così che la moglie verserà al marito la somma prevista soltanto una volta pagati i mutui. Ovviamente qualora l’acquirente volesse accollarsi i mutui, al marito dovrà comunque essere corrisposta la somma di Euro 175.000,00 oltre al 30% del residuo ricavato.

La spesa per la cancellazione dell’ipoteca sarà sostenuta dalla moglie per 2/3 e dal marito per un terzo”.

In sede divorzile, l’accordo di natura economico – patrimoniale era stato richiamato e era confluito nella sentenza di divorzio n.787/2012 resa dal Tribunale di Brescia, con ulteriore puntualizzazione nei seguenti termini “3….La Sig.ra Pe.Ma. si impegna a mettere in vendita la casa di proprietà ex coniugale (sita in Gu., (Omissis) entro il 31 dicembre 2013, obbligandosi al rispetto delle condizioni previste nel verbale di separazione del 20 novembre 2007, il cui contenuto si richiama integralmente a costituirne parte integrante e sostanziale. Non intervenendo la vendita della ex casa coniugale entro il 31 dicembre 2013, la signora Pe.Ma. si impegna a corrispondere al signor Za.Gi. quanto già stabilito nel verbale di separazione testè indicato, nei limiti di valore dell’immobile di Euro. 500.000,00, salvo che la casa non subisca esecuzione forzata; 4. In caso di esecuzione forzata della casa ex coniugale, i signori Pe.Ma. e Za.Gi. soddisferanno le rispettive pretese, proporzionalmente secondo quanto stabilito in sede di separazione in ragione della somma ricavata, dichiarando reciprocamente, in tal caso, di nulla avere più a pretendere l’uno dall’altro con la liquidazione di quanto ricavato in sede di esecuzione forzata”.

Nel corso del successivo anno Pe.Ma. aveva concluso la vendita il 4 luglio 2013 ad un prezzo di Euro 290.000,00, senza accollo di mutui da parte dell’acquirente.

Successivamente, Za.Gi. aveva agito in sede monitoria reclamando l’importo a lui spettante a seguito della vendita dell’immobile, in ragione degli accordi prima trascritti, ed aveva conseguito decreto ingiuntivo nei confronti di Pe.Ma. per l’importo di Euro 175.000,00.

In sede di opposizione proposta da Pe.Ma., il Tribunale aveva concluso che il credito di Euro 175.000,00 fatto valere in via monitoria era stato parzialmente estinto, limitatamente alla somma di Euro 3.545,00, relativa al credito per spese processuali, e di Euro 10.735,39, a titolo di mutuo, pari alla differenza tra l’importo destinato all’estinzione del mutuo per la palestra del marito sul ricavato della vendita e quanto versato dalla moglie.

Accordo patrimoniale divorzio: natura negoziale

Aveva, quindi, revocato il decreto ingiuntivo, condannando l’ingiunta al pagamento della somma di Euro 160.718,95 maggiorata da interessi legali, accollandole anche le spese processuali in ragione della soccombenza.

Secondo il Tribunale, il rischio della vendita a prezzo inferiore ad Euro 500.000,00= gravava sulla quota spettante alla moglie, in quanto gli accordi prevedevano per il marito che, fermo il vincolo del pagamento del mutuo relativo alla palestra, la somma di Euro 175.000,00 andasse calcolata sul prezzo minimo di vendita di Euro 500.000,00 o su quello eventualmente superiore, irrilevante quello inferiore.

La Corte di appello di Brescia con la sentenza n.27/2024 ha accolto l’appello proposto da Pe.Ma., interamente riformando la prima decisione, e per l’effetto ha rigettato la domanda originariamente proposta da Za.Gi. nei confronti dell’ex-coniuge Pe.Ma. e la domanda riconvenzionale proposta da quest’ultima, con compensazione delle spese di entrambi i gradi.

Segnatamente ha affermato “Dal contenuto dell’accordo, interpretato secondo le regole di ermeneutica contrattuale, la volontà delle parti era quella di vendere l’immobile al prezzo minimo di Euro 500.000, che costituisce l’evento dedotto quale condizione sospensiva dell’intero assetto patrimoniale dei reciproci crediti-debiti.

Il provato mancato avveramento della condizione si configura quando diviene certo che l’evento non potrà verificarsi.

In questo caso, essendo stata stabilita una condizione sospensiva, il negozio giuridico al quale afferisce rimane definitivamente improduttivo di effetti; nessuno dei due coniugi può vantare quale titolo creditorio il contenuto degli accordi economici che erano stati riportati nella sentenza di divorzio.

La sentenza impugnata, che aveva revocato il decreto ingiuntivo, va riformata nella parte in cui ha condannato l’appellante al pagamento di un credito verso l’appellato che non ha titolo per ottenerlo; al contempo nessun controcredito può vantare l’appellante, in quanto le sue pretese si fondano sul medesimo accordo patrimoniale ormai inefficace.” (fol.12)

Za.Gi. ha proposto ricorso chiedendo la cassazione della sentenza di appello con tre mezzi, illustrati con memoria. Pe.Ma. ha replicato con controricorso seguito da memoria.

È stata disposta la trattazione camerale.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. – Il primo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c., art. 1355 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.-. A parere del ricorrente, la Corte d’Appello di Brescia ha violato i criteri legali di ermeneutica nell’interpretazione di accordo raggiunto dalle parti in sede di divorzio, laddove ha affermato che “Dal contenuto dell’accordo, interpretato secondo le regole di ermeneutica contrattuale, la volontà delle parti era quella di vendere l’immobile al prezzo minimo di Euro 500.000, che costituisce l’evento dedotto quale condizione sospensiva dell’intero assetto patrimoniale dei reciproci crediti-debiti. Il provato mancato avveramento della condizione si configura quando diviene certo che l’evento non potrà verificarsi.” (fol.12, sent. imp.),

Segnatamente, il ricorrente deduce la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale perché non è stata considerata la comune, reale ed effettiva volontà delle parti ed il senso letterale delle parole, di guisa che la motivazione della sentenza si pone in aperto contrasto con detta volontà.

Rimarca che nessuna condizione sospensiva era stata prevista nell’accordo raggiunto in sede di divorzio, che rimaneva fermo anche in caso di mancata vendita del bene stesso ed osserva che la condizione sospensiva come ricostruita dalla Corte di appello, sarebbe stata nulla, avendo natura meramente potestativa.

Evidenzia che la stessa controricorrente, con comportamento rilevante ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, c.c., non aveva mai dedotto e/o giudizialmente chiesto il venir meno di detto accordo, ed anzi lo aveva ritenuto valido tanto da avere chiesto nei gradi del giudizio di merito, non solo la revoca del decreto ingiuntivo opposto portando in compensazione suoi (presunti) crediti vantati nei confronti di Za.Gi. in forza di detto accordo, ma aveva anche chiesto, in via riconvenzionale, la condanna dell’ex marito al versamento di somme di cui essa si riteneva creditrice, sempre in applicazione di detto accordo.

2.2.- Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cpc in relazione all’art. 360, comma I, n. 4 cpc -. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello di Brescia ha pronunciato esondando rispetto a deduzioni, eccezioni e domande proposte dalle parti nei gradi del giudizio di merito, allorquando ha affermato la volontà delle stesse di apporre una condizione sospensiva nell’accordo fra esse raggiunto.

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2.3.- Il terzo motivo deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. La Corte d’Appello di Brescia avrebbe posto a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio (inefficacia/venir meno dell’accordo raggiunto fra le parti per mancato avveramento di condizione) e mai trattata dalle parti, senza stimolare il contraddittorio delle stesse sul punto e senza assegnare termine per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione.

3.1.- Il primo motivo è fondato, assorbiti i motivi secondo e terzo.

3.2.- Questa Corte ha già affermato che l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti in occasione di un giudizio di separazione o di divorzio, ed estraneo all’oggetto del giudizio di divorzio (status, assegno di mantenimento per il coniuge o per i figli, casa coniugale), seppure avente causa nella crisi coniugale, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto neppure al giudice per l’omologazione (Cass. n. 24621/2015); ha, altresì, chiarito che la soluzione dei contrasti interpretativi tra una pattuizione a latere ed il contenuto di una separazione omologata o sentenza di divorzio, spetta al Giudice di merito ordinario, il quale dovrà fare ricorso ai criteri dettati dagli artt. 1362 s.s. c.c. in tema di interpretazione dei contratti (Cass. n. 1324/2025).

L’interpretazione del contratto è rimessa al giudice di merito; in sede di legittimità questa interpretazione è sindacabile solo nei limiti dell’applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale e della logica della sua motivazione (Cass. n. 435/1997). Nell’interpretazione del contratto, funzione fondamentale assume l’elemento letterale. Nel contempo, il senso letterale della singola parola, anche nella sua chiarezza, è insufficiente (come l’art. 1362 primo comma cod. civ. presuppone) a delineare la comune intenzione delle parti (obiettivo dell’interpretazione), la quale emerge solo (come l’incondizionata, affermazione dell’art. 1363 cod. civ. esige) attraverso la connessione degli elementi letterali (“le une per mezzo delle altre”), la relativa integrazione (“il senso che risulta dal complesso dell’atto”), e la valutazione del complessivo comportamento delle parti (art. 1362 secondo comma cod. civ.) (Cass. n. 34687/2023; Cass. n. 6233/2004): passaggi necessari del procedimento interpretativo, di funzione non subordinata, bensì concorrente (Cass. n. 6389/1998).

Questa progressiva dilatazione degli elementi dell’interpretazione contrattuale si sviluppa man mano dalle singole parole alla clausola, alla connessione delle clausole, al complesso dell’atto, ed al comportamento complessivo delle parti (Cass. n. 5960/1999; Cass. n. 8574/1999), il quale non costituisce un canone sussidiario, bensì un parametro necessario ed indefettibile (“si deve valutare”: art. 1362 secondo comma cod. civ.). In tal modo, le disposizioni degli artt. 1362 primo comma, 1363 e 1362, secondo comma, cod. civ. sono fondate sulla stessa logica, che, esprimendo l’intrinseca insufficienza della singola parola (e del suo formale significato: come, in diverso campo ed in diversa misura, segnala l’art. 12 primo comma delle preleggi), prescrive la più ampia dilatazione degli elementi di interpretazione: le singole espressioni letterali devono essere inquadrate nella clausola, questa nelle altre clausole, queste nel complesso dell’atto, e l’atto nel complessivo comportamento delle parti.

Ciò comporta che la censura in sede di legittimità dell’interpretazione di una clausola contrattuale offerta dal giudice di merito imponga al ricorrente l’onere di fornire, con formale autosufficienza, gli elementi alla complessiva unitarietà del testo e del comportamento non adeguatamente considerati dal giudice di merito, nella loro materiale consistenza e nella loro processuale rilevanza (Cass. n. 34687/2023).

Accordo patrimoniale divorzio: natura negoziale

Nella specie, si verte in ipotesi di accordo stipulato tra ex coniugi, al momento della separazione e del successivo divorzio, al fine di disciplinare le questioni patrimoniali insorte nella coppia ed il ricorrente ha illustrato in maniera specifica e circostanziata gli elementi di fatto posti a fondamento delle critiche ed ha individuato le regole di ermeneutica contrattuale, letterale e secondo il comportamento delle parti, a suo parere, distintamente violate dalla Corte di appello, di guisa che il motivo risulta pienamente ammissibile.

3.3.- Il motivo risulta anche fondato.

Invero, la Corte di appello ha esorbitato dai suoi poteri qualificatori laddove ha ravvisato una condizione sospensiva avveratasi in ragione della vendita dell’immobile ad un prezzo inferiore a quello di Euro 500.000,00 e ne ha dedotto che il negozio era definitivamente divenuto improduttivo di effetti, di guisa che “nessuno dei coniugi può vantare quale titolo creditorio il contenuto degli accordi economici che erano stati riportati nella sentenza di divorzio” (fol.12), perché tale conclusione non trova riscontro né nel complessivo testo letterale dell’accordo, maturato in due momenti cronologicamente distinti (omologazione della separazione, sentenza di divorzio), né nel comportamento delle parti, peraltro nemmeno preso in piena considerazione per come espresso nelle domande principali ed incidentali rispettivamente svolte nella presente causa.

In particolare, la Corte di appello ha esaminato in maniera parziale il testo letterale dell’accordo relativo alla vendita perché ha estrapolato alcuni passaggi dalla più ampia ed articolata regolamentazione prevista, volta a sistemare i rapporti economico – patrimoniali delle parti all’esito delle vicende di separazione e divorzio, con attenzione alle possibili ricadute familiari e personali, collegate alla avvenuta stipula dei mutui garantiti da ipoteca (nell’interesse dell’ex marito e della comune figlia), agli oneri connessi al loro rimborso ed alle possibili conseguenze di eventuali inadempimenti. Non ha esaminato le diverse ipotesi alternative ivi disciplinate e, in particolare, quella che manteneva fermo il diritto dell’ex marito alla somma concordata in sede di separazione anche nel caso di mancata vendita dell’immobile. Nemmeno ha considerato il comportamento della ex moglie, che aveva agito in via riconvenzionale ed aveva formulato domande che presupponevano l’esistenza e l’efficacia dell’accordo e che, viceversa, apparivano incompatibili con la esistenza di una presunta clausola sospensiva.

4.- In conclusione, va accolto il primo motivo, assorbiti i motivi secondo e terzo; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte di merito in diversa composizione, che dovrà procedere alla compiuta valutazione dell’accordo secondo i criteri enunciati, tendo conto anche delle plurime previsioni e del complessivo comportamento delle parti, oltre che alla statuizione sulle spese del presente giudizio.

Accordo patrimoniale divorzio: natura negoziale

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

– Accoglie il primo motivo, assorbiti i motivi secondo e terzo; cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 21 gennaio 2025.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2025.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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