Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 5 gennaio 2018, n. 113. La conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto

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2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono il vizio di motivazione, per illogicita’ e carenza rispetto alle doglianze formulate in appello, nonche’ per omessa indicazione delle ragioni sottese al giudizio di colpevolezza degli imputati. In particolare, non si sarebbe tenuto conto che i ricorrenti, madre e figlio, gestissero un’area di servizio per automobilisti composta, oltre che da una parte dedicata alla loro abitazione, da vari locali variamente destinati (bar, ufficio, officina per la sostituzione di pneumatici, magazzini, aree di deposito e dei distributori, parcheggi). Sicche’ non potrebbe apparire singolare che taluno dei componenti della famiglia non facesse ingresso, anche per lunghi periodi, in alcune di dette aree; cio’ che, invece, sarebbe stato sottovalutato ed ignorato, ritenendosi cosi’ che tutti i coimputati avessero piena consapevolezza della provenienza illecita dei beni di cui al capo di imputazione. Ne’ i giudici di merito, ritenendo gli imputati responsabili collegialmente e collettivamente, avrebbero dato credito e tenuto in debito conto (non solo a quanto sostenuto dai ricorrenti in ordine alla loro estraneita’ ai fatti, ma anche) alla dichiarazione scritta di (OMISSIS) – talmente svalutata da non essere nemmeno citata in sentenza -, con la quale questi si attribuiva la paternita’ dell’illecito, cosi’ “scagionando” i coimputati, sebbene essa fosse dotata di credibilita’ intrinseca ed estrinseca, fosse logicamente corretta ed in linea con gli altri fatti di causa, cosi’ come risultanti dalle emergenze processuali. Sarebbe stata effettuata un’erronea applicazione dell’articolo 648 c.p., giacche’ esso richiede, ai fini della integrazione della fattispecie ivi prevista, considerati altresi’ i consolidati principi giurisprudenziali sul punto, la sussistenza dell’elemento soggettivo, con la prova della piena consapevolezza dell’illegittimita’ dei beni di cui alle imputazioni. La Corte territoriale avrebbe inoltre ignorato – con conseguente censurabilita’ della motivazione, per mancanza di essa – il fatto che tutti i beni che si assumono oggetto di ricettazione non fossero in alcun modo occultati, ma perfettamente visibili; circostanza, questa, incompatibile con il dolo, financo nella sua forma eventuale, la cui sussistenza avrebbe richiesto il ricorso a pur modeste precauzioni nel conservare i beni in modo non cosi’ agevolmente rilevabile. Quanto sopra vale tenuto peraltro conto che trattasi, nella specie, di beni comuni e tali da non destare sospetto alcuno in ordine alla loro provenienza o “un’indicazione alternativa”. La motivazione sarebbe inoltre contraddittoria, stante l’assoluzione degli imputati dal capo C della rubrica, con riferimento ai beni di cui ai nn. 5 e 6, avendo cosi’ i giudici “dato atto di un proprio convincimento”, e avendo assolto gli imputati dall'”accusa particolarmente indicativa delle alterazioni delle targhe di cui alla lettera D) dell’imputazione. La circostanza che i ricorrenti abbiano ricevuto o acquisito beni di limitato valore e tali da non suscitare sospetti non avrebbe inoltre potuto costituire la fattispecie di ricettazione, giacche’, ai fini della configurabilita’ di tale reato, occorrono elementi oggettivi da cui desumere la sussistenza del dolo specifico (nonche’ degli altri elementi costitutivi) di cui alla norma incriminatrice, non potendosi inoltre accettare forme di responsabilita’ oggettiva ovvero di un giudizio di responsabilita’ basato su fatti indimostrati, riscontri inesistenti e deduzioni arbitrarie. Invece, nella specie, l’aspetto psicologico del delitto – nella sua duplice declinazione di consapevolezza dell’illegittima provenienza dei beni e del dolo specifico -, secondo quanto stabilito dall’articolo 648 c.p., sarebbe stato indebitamente desunto dalla proprieta’ e gestione, da parte dei coimputati, dell’area di servizio.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti eccepiscono il “vizio della motivazione con riferimento alla strutturazione della circostanza delle attenuanti generiche”. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe “considerato la riduzione di pena ai sensi dell’articolo 62 c.p.”, in relazione alla quantificazione del trattamento sanzionatorio, che avrebbe potuto essere diminuita, con applicazione della pena nel minimo edittale. Pur prescindendosi il fatto a (OMISSIS) sia stata applicata – immotivatamente ed ingiustificatamente, in assenza di elementi di differenziazione nella condotta posta in essere – una sanzione superiore a quella inflitta a (OMISSIS), i ricorrenti rilevano come la pena avrebbe dovuto essere piu’ mite, in considerazione dell'”economia del fatto”, della mancanza di un danno particolarmente rilevante e dell'”inesistenza di particolare condotta”, trattandosi invece di un episodio assai modesto e comunque non connotato di una particolare pericolosita’. Ne’ sarebbe possibile rinvenire nella condotta dei ricorrenti, alla luce altresi’ dei principi giurisprudenziali cui si e’ fatto supra riferimento, la partecipazione alla commissione del delitto di ricettazione sotto il profilo dell’elemento soggettivo.
Posizione (OMISSIS).

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