Inammissibilità appello: limiti di ricorso

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 gennaio 2025| n. 1224.

Inammissibilità appello ricorso ammesso per vizi propri

Massima: L’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex articolo 348-ter del Cpc emessa per manifesta infondatezza nel merito del gravame non è ricorribile per cassazione, neppure ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione trattandosi di provvedimento carente del carattere della definitività, giacché il comma 3 del medesimo articolo 348-ter consente di impugnare per cassazione il provvedimento di primo grado. Al contrario, l’ordinanza ex articolo 348-ter del Cpc è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’articolo 111, comma 7, della Costituzionale limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale.

Ordinanza|17 gennaio 2025| n. 1224. Inammissibilità appello ricorso ammesso per vizi propri

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Tag/parola chiave: Responsabilità civile PA – Dipendenti comunali – Personale del cimitero – Sepoltura contestuale di prodotti abortivi – Risarcimento danno non patrimoniale – Lesione diritto inviolabile della persona – Insussistenza

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28894/2021 R.G. proposto da:

Ca.An. e Ca.Se., rappresentati e difesi dagli avvocati AL.GA. (Omissis) e FR.RO., elettivamente domiciliati presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori

-ricorrenti-

Contro

COMUNE DI POZZUOLI, rappresentato e difeso dall’avvocato CA.DE. (Omissis), elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore

-controricorrente-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1549/2021 depositata il 29/04/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/10/2024 dal Consigliere GABRIELE POSITANO.

Inammissibilità appello ricorso ammesso per vizi propri

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 30 marzo 2007, Ca.An. e Ca.Se. evocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Pozzuoli, l’omonimo Comune per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per la condotta illecita dei dipendenti del cimitero comunale per la dispersione del corpo della propria figlia, morta dopo poche ore dal parto. Aggiungevano di avere verificato che nella fossa numero 57, presso la quale i coniugi credevano fosse sepolto il feretro, in realtà si trovava il cadavere di un altro bambino, mentre non erano più presenti i resti della loro figlia.

Si costituiva in giudizio il Comune di Pozzuoli che eccepiva il difetto di giurisdizione e contestava la fondatezza della domanda.

Ammessi mezzi istruttori ed espletata la prova testimoniale il Tribunale di Napoli, con sentenza del 18 febbraio 2016, respingeva la domanda, ritenendo insussistente la lesione di un diritto inviolabile della persona tale da assurgere a danno non patrimoniale meritevole di tutela risarcitoria, giacché dalle risultanze processuali era emersa soltanto la prova della contestuale sepoltura dei due corpi nella stessa fossa e non anche la perdita dell’involucro contenente il prodotto abortivo.

Avverso tale sentenza proponevano appello i già menzionati coniugi, con atto notificato il 17 ottobre 2016, censurando un’erronea valutazione delle prove dalle quali, invece, sarebbe emersa lo smarrimento, ad opera dei dipendenti comunali, dei resti della piccola figlia che avrebbe ingenerato degli attori sentimenti di dolore, sconforto, turbamento e indignazione in animi già prostrati dall’evento luttuoso.

Si costituiva il Comune di Pozzuoli chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte d’Appello di Napoli con sentenza del 29 aprile 2021 rigettava l’impugnazione condannando gli appellanti al pagamento delle spese di lite.

Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione Ca.An. e Ca.Se., affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Pozzuoli.

I ricorrenti depositano memoria.

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Motivi della decisione

Preliminarmente va rilevato che i ricorrenti hanno conferito procura alle liti congiuntamente all’avvocato Et.Pa. e all’avvocato AL.GA.. Con la successiva memoria, attesa la revoca del mandato conferito all’avvocato Et.Pa., si costituiscono con l’avvocato FR.RO., unitamente all’avvocato AL.GA.. Quest’ultimo non compare nell’elenco speciale degli avvocati cassazionisti abilitati a svolgere tale attività.

Opera il principio secondo cui “il ricorso per cassazione è validamente sottoscritto anche da uno soltanto dei due o più difensori muniti di procura, quando il ministero difensivo sia loro affidato dalla parte senza l’espressa volontà di esigere l’espletamento congiunto dell’incarico, atteso che, ai sensi dell’art. 1716 cod. civ., in caso di coesistenza di più mandati con lo stesso oggetto, ciascun mandatario è abilitato al compimento dell’atto se la delega non richieda l’azione congiunta” (Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 11/06/2008, Rv. 603444 – 01).

Tale fattispecie ricorre nel caso di specie come emerge dal contenuto della procura alle liti.

Con il primo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La Corte territoriale avrebbe considerato come piena prova dei fatti di causa le risultanze delle dichiarazioni testimoniali dedotte dal Comune di Pozzuoli. In particolare, gli odierni ricorrenti, davanti al giudice di appello, avevano sostenuto l’inconsistenza della deposizione del teste Luigi Salzano che avrebbe riferito solo circostanze apprese de relato. Anche gli ulteriori elementi tratti dalle dichiarazioni testimoniali sarebbero stati erroneamente valutati e la Corte avrebbe omesso di considerare il fatto decisivo costituito dal rinvenimento di un’unica scatolina contenente i resti mortali del feto interrato al posto di quello della figlia degli attori.

Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, la censura è formulata ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c. e ciò non è consentito dal disposto dell’articolo 348-ter c.p.c. che preclude la proposizione del ricorso per cassazione per l’omesso esame dei fatti storici allorché la sentenza di secondo grado che confermi la decisione del Tribunale abbia preso in esame le medesime questioni valutate dal primo giudice. In presenza di una pronuncia c.d. doppia conforme, com’è nel caso in esame, per evitare l’ipotesi di inammissibilità il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado erano diverse rispetto a quelle su cui si fonda la decisione di appello. Al contrario, nel caso di specie, entrambe le decisioni si fondano sulla stessa ricostruzione storica e cioè la dimostrazione limitata alla contestuale sepoltura di due prodotti abortivi nella stessa fossa e non anche l’elemento decisivo della distruzione della piccola scatola contenente il prodotto abortivo facente capo agli odierni ricorrenti.

In secondo luogo, la doglianza è inammissibile perché mira ad una rivalutazione del materiale probatorio e tale profilo, di esclusiva competenza del giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità, poiché mira a determinare una “surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo non consentito terzo grado di merito “(Cass. n. 1872 del 2018).

Inammissibilità appello ricorso ammesso per vizi propri

Con il secondo motivo deducono, ai sensi dell’articolo 360, n. 4, la violazione degli articoli 132 c.p.c., 118 delle disposizioni di attuazione e 111, ultimo comma della Costituzione, oltreché articolo 6 della CEDU e articolo 47 della carta di Nizza. La sentenza impugnata avrebbe violato i parametri minimi di idoneità della motivazione. In primo grado erano state contestate le risultanze delle prove testimoniali perché sarebbero state erroneamente interpretate. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe rilevato l’errata valutazione operata dal Tribunale che aveva fondato la decisione sul parere tecnico reso da un testimone con ciò confermando la decisione sulla circostanza inammissibile che avrebbe suggerito, al più, di disporre una consulenza tecnica.

Il motivo è inammissibile per le medesime considerazioni espresse con riferimento al motivo precedente, in quanto mira ad una inammissibile rivalutazione del materiale probatorio con riferimento all’elemento centrale della ricostruzione in fatto e cioè la mancata dimostrazione della perdita, per causa umana riferibile al personale del cimitero, del prodotto abortivo degli attori. Solo tale circostanza avrebbe costituito il presupposto per la lesione di un diritto inviolabile da risarcire a titolo di danno non patrimoniale.

Tale evenienza è stata esclusa dalla Corte che con argomentazioni giuridicamente corrette e logicamente ragionevoli ha ribadito che “l’unica certezza è la contestuale sepoltura di due prodotti abortivi nella stessa fossa e null’altro, certo non la perdita, per distruzione umana, della piccola scatola contenente il prodotto abortivo, in quanto mai provata”.

Con il terzo motivo si deduce la violazione delle medesime disposizioni oggetto del precedente motivo, attesa la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui si afferma che il sentimento di pietà verso i defunti non sarebbe automaticamente leso nella vicenda in esame. Secondo la Corte d’Appello la violazione del diritto di culto non rientrerebbe nel novero dei diritti inviolabili e sarebbe comunque esercitabile anche lontano dal luogo di sepoltura. Al contrario, secondo i ricorrenti, si tratterebbe di un interesse legittimo etico e sociale diffuso nella collettività e riferibile alla centralità della persona umana.

In secondo luogo, non si condivide l’interpretazione dei principi affermati dalle sentenze di San Martino del 2008 nella parte in cui la Corte territoriale ritiene di non inserire tra i diritti inviolabili della persona, riconosciuti a livello costituzionale, quello della pietà verso i defunti. Non trattandosi di un numero chiuso, l’articolo 2 della Costituzione deve essere interpretato inserendo i nuovi interessi emersi nella realtà sociale e, tra questi, la sofferenza psichica subita dagli attori, sia al momento della scoperta che nell’inevitabile protrarsi della stessa per tutta la vita.

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Le due censure sono destituite di fondamento perché fondate su un presupposto fattuale errato e cioè l’ipotesi di sottrazione o distruzione del feto che risulta, invece, pacificamente esclusa, sia in sede penale che in sede civile.

Preliminarmente va chiarito che la domanda di primo grado è fondata sull’ipotesi della sparizione dei resti mortali, mentre le prove riguardano compresenza dei due feti.

La Corte d’Appello, con argomentazione logica e ragionevole, dopo aver escluso la risarcibilità dei danni morali da reato, non sussistendone gli estremi, ha precisato che il sentimento di pietà per i defunti, quale diritto soggettivo degli attori ad esercitare il culto dei propri defunti, non sarebbe leso nella vicenda in esame. Ciò in quanto i genitori del feto potrebbero continuare a praticare i riti tipici del culto dei defunti, contraddistinti da una spiritualità che si esprime in larga parte in preghiere, ricordi, pensieri e commozioni. Tale nucleo di valori non sarebbe modificato dalla contestuale esistenza dei resti di un secondo feto nella medesima fossa, contrassegnata dal numero 57. Correttamente ricostruita la vicenda sotto il profilo fattuale, non sindacabile in sede di legittimità, le generiche doglianze relative alla configurabilità di ulteriori e più ampi diritti inviolabili dell’individuo ai sensi dell’articolo 2 Cost. appaiono inconferenti.

Con il quarto motivo si lamenta la violazione dell’articolo 112 c.p.c., ai sensi dell’articolo 360 n. 4 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe omesso di pronunziarsi su una delle due voci del danno. La Corte avrebbe esaminato solo il pregiudizio connesso alla impossibilità di praticare il culto dei defunti all’interno del cimitero, ma non anche sul turbamento patito per la vicenda in sé, cioè la scoperta dell’avvenuta violazione del sepolcro della figlia da parte degli operai inumatori e la esumazione delle spoglie mortale della bimba, mai rinvenute e lo stress per la rilevanza del penoso accadimento, ripreso anche da alcune testate giornalistiche.

La doglianza è in parte inammissibile perché generica e in parte infondata. Quanto alla rilevanza mediatica della vicenda, le allegazioni sono oltremodo generiche e contraddette da quanto specificamente dedotto dal controricorrente, il quale ha fatto presente che l’operazione di sollecitazione mediatica sul fatto è consistita sostanzialmente in una intervista rilasciata dai diretti interessati nell’aprile 2005, descrivendo la vicenda umana nei termini successivamente riportati nell’atto di citazione (Cronache di Napoli del 17 aprile 2005).

Inammissibilità appello ricorso ammesso per vizi propri

Per il resto, non ricorre l’ipotesi di omessa pronunzia, l’argomento relativo al turbamento psichico connesso alla scoperta della violazione del sepolcro della figlia le cui spoglie mortali non sarebbero state mai rinvenute, deve ritenersi implicitamente superato dalle argomentazioni poste a sostegno della sentenza del Tribunale, confermata in appello, in ordine alla carenza di prova riguardo alla sottrazione delle già menzionate spoglie mortali.

Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Inammissibilità appello ricorso ammesso per vizi propri

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore del controricorrente in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 17 ottobre 2024.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2025.

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