La locazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 18 aprile 2016, n. 7634

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8640-2013 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente-

contro

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 34/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 02/10/2012, R.G.N. 269/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato FRANCESCO DI SOMMA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- (OMISSIS), con atto del 3 aprile 2007, citava in giudizio (OMISSIS), dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, affinche’ venisse accertato l’indebito pagamento di somme superiori a quelle dovute relativamente al contratto di locazione ad uso abitativo intercorso tra le parti (registrato a Salerno il 4 settembre 2000) e per l’effetto il convenuto fosse condannato alla restituzione della somma di Euro 29.367,92, quale differenza tra il dovuto ed il corrisposto come canoni di locazione.

1.1.- Si costituiva il (OMISSIS), con comparsa di risposta del 28 giugno 2007, e, resistendo alla domanda, ne eccepiva l’irritualita’ perche’ non proposta col rito locatizio; nel merito, deduceva che in data 4 settembre 2000 le parti avevano stipulato due contratti di locazione ad uso abitativo: 1) l’uno (registrato il 4 settembre 2000) riportante la pattuizione di un canone mensile di lire 400.000, invocato da parte attrice; 2) l’altro (non registrato) con canone di locazione pattuito nella misura di lire 1.150.000 mensili (prodotto dal convenuto medesimo, unitamente alla comparsa di risposta). Aggiungeva che, proprio in base a questo secondo contratto, aveva intimato al conduttore lo sfratto per morosita’; che lo sfratto era stato convalidato all’udienza del 9 novembre 2006 del procedimento n. 5335/2006 R.G. del Tribunale di Nocera Inferiore, nella contumacia del (OMISSIS), ed eseguito il 2 maggio 2007; che inoltre era stato emesso un decreto ingiuntivo n. 1948/2006 per i canoni insoluti, che non era stato opposto; che, all’esito di espropriazione forzata mobiliare presso terzi, il locatore aveva incamerato le somme dovutegli. Pertanto, concludeva sostenendo che egli non avrebbe dovuto restituire alcunche’ al (OMISSIS), in quanto avrebbe avuto efficacia tra le parti il contratto non registrato e con il canone di locazione di maggiore importo.

1.2.- Il Tribunale, disposto il mutamento di rito, condannava il convenuto a pagare in favore dell’attore (indicato come (OMISSIS), anziche’ (OMISSIS)), la somma di Euro 35.524,39, di cui Euro 29.637,20 per sorte capitale alla data della litispendenza ed Euro 2.676,94 per rivalutazione monetaria calcolata via via sull’importo originario, aumentato degli interessi legali scaduti, i quali erano liquidati in Euro 3.210,26.

2.- Proposto appello da parte del (OMISSIS), la Corte d’Appello di Salerno, con la decisione ora impugnata, pubblicata il 2 ottobre 2012, ha rigettato il gravame, condannando l’appellante alle spese del grado.

3.- (OMISSIS) propone ricorso affidato a quattro motivi. L’intimato (OMISSIS) non si difende.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Logicamente preliminare appare l’esame del quarto motivo di ricorso. Con questo si deduce omessa ed insufficiente motivazione – nullita’ della sentenza di primo grado, al fine di censurare la decisione con la quale la Corte d’Appello ha rigettato il motivo di gravame con cui l’appellante aveva lamentato la nullita’ della sentenza del Tribunale per contrasto insanabile tra il dispositivo e la motivazione: cio’ perche’, nel dispositivo letto in udienza, la parte attrice era indicata col nome di battesimo errato di ” (OMISSIS)”, mentre nel dispositivo in calce alla sentenza depositata era indicata col nome di battesimo corretto di ” (OMISSIS)”; in quest’ultima sentenza, tuttavia, erano aggiunti ai nomi delle parti dei nominativi estranei ed il (OMISSIS) era indicato come “debitore colpevolmente inadempiente”: pertanto, non vi sarebbe stata nemmeno corrispondenza tra i due dispositivi della stessa sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore.

1.1.- La Corte d’Appello ha accertato che l’intestazione del primo dispositivo conteneva comunque la corretta indicazione della parte attrice come ” (OMISSIS)” e che, quanto alla sentenza depositata, la lettura combinata di motivazione e dispositivo rendeva evidente quali fossero le parti effettive del processo e quale la statuizione adottata nei loro confronti. Irrilevante ha reputato l’indicazione di norme non pertinenti, poiche’ non influenti sulla decisione.

Ha concluso nel senso che si sarebbe trattato di errori materiali agevolmente correggibili, senza che fosse riscontrabile alcuna situazione di incertezza in ordine ai soggetti della decisione.

1.2.- Il ricorrente contesta siffatte conclusioni, richiamando la giurisprudenza di legittimita’ riguardante il contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo, nel rito del lavoro, ed il principio per il quale, in tale eventualita’, va data prevalenza a quest’ultimo, senza che possa essere integrato con la motivazione e che possa essere adottato il procedimento di correzione di cui all’articolo 287 cod. proc. civ., con conseguente nullita’ della sentenza, da far valere mediante impugnazione. Peraltro, conclude sostenendo che il vizio della sentenza di secondo grado consisterebbe in “omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso, decisivo per il giudizio”.

1.3.- Orbene, anche a voler prescindere dall’incomprensibile denuncia del vizio di motivazione, non pertinente e comunque inammissibile, il motivo non merita di essere accolto.

Nel caso in esame, non si applica la giurisprudenza richiamata dal ricorrente poiche’ non vi e’ un contrasto tra dispositivo e motivazione. Piuttosto, i due dispositivi -quello letto in udienza e quello in calce alla sentenza depositata- contengono delle inesattezze, tutt’al piu’ rilevanti come errori materiali, correggibili ai sensi dell’articolo 287 cod. proc. civ.. Tale e’ indubbiamente l’errata indicazione del nome di battesimo di una parte, nel primo dispositivo (cfr. Cass. n. 114/93), peraltro essendo ricavabile il nome corretto dall’intestazione dello stesso dispositivo, come rilevato dalla Corte d’Appello. Errore materiale e’ altresi’ l’aggiunta al secondo dispositivo di nominativi ed espressioni privi di incidenza sulla decisione, tanto da escludere -come pure rilevato dal giudice di merito- qualsivoglia incertezza soggettiva ed oggettiva (cfr., tra le piu’ recenti, Cass. ord. n. 1207/15, nel senso che il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli articoli 287 e 288 cod. proc. civ., e’ diretto a porre rimedio ad un vizio meramente formale della sentenza, derivante da divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l’intendimento del giudice e la sua esteriorizzazione, con esclusione di tutto cio’ che attiene al processo formativo della volonta’).

Il quarto motivo di ricorso va percio’ rigettato.

2.- Passando al merito della decisione, va premesso che la Corte d’Appello, dichiarando di condividere il principio giurisprudenziale invocato dall’appellante espresso dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 16089/2003 (su cui si tornera’), ha tuttavia rigettato il gravame sulla base dei seguenti due argomenti: la prova dell’effettivo versamento di somme maggiori del dovuto, desumibile dalle ammissioni dello stesso appellante; il disconoscimento da parte del (OMISSIS), con la memoria depositata il 31 marzo 2009, del (secondo) contratto invocato dal (OMISSIS) e la mancata istanza di verificazione da parte di quest’ultimo, con conseguente operativita’ tra le parti esclusivamente del contratto registrato, nel quale il canone era determinato in misura inferiore.

I primi tre motivi di ricorso censurano questa seconda statuizione, sotto diversi profili.

2.1.- Col primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione di legge; in particolare: violazione dell’articolo 214 c.p.c., comma 1 e dell’articolo 215 c.p.c., comma 1, n. 1 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – omesso esame circa un fatto decisivo: il previo tacito riconoscimento della scrittura privata”.

Il ricorrente assume che il contratto non registrato sarebbe stato gia’ tacitamente riconosciuto dal conduttore in ragione dei seguenti due elementi, acquisiti al processo:

1) l’esecuzione della scrittura de qua nel corso dell’intera durata della locazione, dal 1 settembre 2000 al maggio 2006, epoca del versamento dell’ultimo canone, spontaneamente corrisposto dal conduttore nella maggiore misura prevista nel (secondo) contratto;

2) l’accertamento dell’obbligo contrattuale di versamento di canoni mensili pari a lire 1.150.000, contenuto in altri provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato tra le stesse parti (specificamente, l’ordinanza di convalida di sfratto del 9 novembre 2006 ed il decreto ingiuntivo n. 1948/2006).

Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 215 c.p.c., comma 1, n. 2, perche’ il disconoscimento -secondo il ricorrente- sarebbe tardivo e la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere tempestive ed utili allo scopo le note difensive del 31 marzo 2009 (espressamente indicate in sentenza).

Espone il ricorrente che, nel costituirsi in giudizio, con comparsa del 28 giugno 2007, aveva prodotto la scrittura privata contenente il contratto non registrato; che, ai sensi dell’articolo 215 cod. proc. civ., il (OMISSIS) avrebbe dovuto disconoscerne la sottoscrizione alla prima udienza successiva a tale produzione o nella prima difesa; che invece la parte attrice era comparsa alle udienze del 19 luglio 2007 e del 19 giugno 2008 (delle quali nel ricorso sono riprodotti i verbali), senza rilevare nulla in merito a detta scrittura privata; che quindi, alla stregua della giurisprudenza richiamata in ricorso, la sottoscrizione avrebbe dovuto essere reputata come riconosciuta; che non sarebbe rilevante il mutamento dal rito ordinario al rito locatizio, disposto nelle more, poiche’ detta decadenza sarebbe gia’ maturata.

2.3.- Col terzo motivo si deduce “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti: insussistenza di idoneo ed efficace disconoscimento della scrittura privata a canone maggiore”.

Il ricorrente assume che il contenuto delle note difensive indicate in sentenza sarebbe stato inidoneo ad un efficace disconoscimento, a causa della “genericita’, vaghezza ed indeterminatezza delle locuzioni usate dall’attore”. Precisa che, con dette note, l’attore non avrebbe inteso disconoscere il contratto, ma dedurre la sua inefficacia in quanto contratto di locazione a canone maggiore non registrato.

3.- Il primo motivo, anche astrattamente considerato, non puo’ che essere rigettato in ossequio al principio di diritto, che qui si ribadisce, per il quale la fattispecie del riconoscimento tacito della scrittura privata, secondo il modello previsto dall’articolo 215 cod. proc. civ., opera esclusivamente nel processo in cui essa viene a realizzarsi, esaurendo i suoi effetti nell’ammissione della scrittura come mezzo di prova, con la conseguenza che la parte interessata, qualora il documento sia prodotto in altro giudizio per farne derivare effetti diversi, puo’ legittimamente disconoscerlo, non operando al riguardo alcuna preclusione, diversamente dall’ipotesi in cui – per quanto evincibile anche dal disposto di cui all’articolo 217 c.p.c., comma 2 – si sia provveduto all’accertamento specifico con valore di giudicato dell’autenticita’ della scrittura privata prodotta in precedente giudizio, che puo’, pero’, configurarsi solo attraverso il riconoscimento espresso della scrittura medesima ovvero mediante il giudizio di verificazione dell’autenticita’ della scrittura che sia stata ritualmente disconosciuta (cosi’ Cass. n. 11460/07).

Detto cio’ in diritto, va rilevato che comunque non risulta affatto ne’ dal ricorso ne’ dagli atti da questo richiamati che vi sia stato un riconoscimento tacito del contratto non registrato, in quanto posto a fondamento dell’ordinanza di convalida di sfratto e del decreto ingiuntivo n. 1948/06. Infatti, anche a voler prescindere dalla mancata indicazione nel ricorso del punto di ciascuno dei due provvedimenti da cui si dovrebbe desumere che gli stessi sono fondati sul contratto non registrato, non risulta prodotta affatto l’ordinanza del 9 novembre 2006, mentre vi e’ in atti soltanto la copia del decreto ingiuntivo (doc. 5 fascicolo di primo grado parte ricorrente). Questa tuttavia e’ priva del ricorso monitorio, contenente la domanda del locatore-creditore (e le prove offerte, ai sensi dell’articolo 638 cod. proc. civ.), nonche’ priva qualsivoglia altro riferimento intrinseco od estrinseco (riscontrabile con la lettura del documento medesimo e/o degli altri atti prodotti dal ricorrente) da cui si possa evincere che causa petendi dell’istanza di ingiunzione fosse proprio il contratto di locazione non registrato. Cio’ comporta, oltre ad un evidente profilo di inammissibilita’ del motivo per violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, altresi’ l’impossibilita’ di delibare se il giudicato formatosi a seguito della mancata opposizione di quel decreto ingiuntivo sia rilevante ai fini del presente giudizio (cfr., tra le altre Cass. n. 1760/06, nel senso che il giudicato esterno e’ rilevabile in sede di legittimita’ a condizione che risulti da atti che siano stati acquisiti nel corso del giudizio di merito, non essendo ammissibile la loro produzione per la prima volta in cassazione, data la preclusione posta dall’articolo 372 cod. proc. civ.).

3.1.- Il terzo motivo – a prescindere dal profilo di inammissibilita’ dato dal fatto che, nel denunciare il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente non tiene conto della sostituzione del testo della norma operata con il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie (sentenza pubblicata il 2 ottobre 2012), ai sensi dell’articolo 54, comma 3, del medesimo decreto – non puo’ comunque essere accolto.

L’assunto del ricorrente non trova riscontro nel testo della memoria di controparte riportato in ricorso. Questo non e’ affatto generico, dato che vi sono sufficientemente individuati sia l’oggetto del disconoscimento che la ragione dello stesso (soprattutto quanto all’affermazione del conduttore di disconoscere “qualsiasi altro contratto di tenore diverso da quello registrato, in quanto non solo da egli stesso mai firmato (…)”): vi e’ qui il disconoscimento specifico della sottoscrizione; inoltre, il riferimento a “qualsiasi altro contratto” che non fosse quello registrato appare sufficiente, dato che in giudizio era stato prodotto soltanto un “contratto” non registrato.

Pertanto, e’ corretta la valutazione della Corte salernitana dell’idoneita’ delle espressioni utilizzate a configurare un valido disconoscimento della scrittura privata (cfr., tra le altre, Cass. n. 11460/07, nonche’ Cass. n. 18042/14, nel senso che detta valutazione costituisce giudizio di fatto riservato al giudice del merito).

Ne’ rileva che la finalita’ del disconoscimento fosse (anche) quella di ribadire che l’unico contratto valido ed efficace tra le parti fosse quello registrato in contrapposizione a quello non registrato (circostanza, questa, su cui si tornera’). Infatti, questo argomento difensivo non appare incompatibile col disconoscimento, tanto e’ vero che l’espressione utilizzata (“non solo da egli stesso mai firmato, ma (…)”) e’ atta a manifestare piu’ ragioni di contestazione del documento.

In conclusione, un disconoscimento esplicito di sottoscrizione non e’ inficiato, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 214 cod. proc. civ., solo perche’ espresso unitamente ad altre ragioni di contestazione dello stesso documento disconosciuto.

I motivi primo e terzo vanno percio’ rigettati.

3.2.- Col secondo motivo si sostiene la tardivita’ del disconoscimento. In effetti, trattandosi di produzione effettuata con la comparsa di risposta del 28 giugno 2007, l’attore avrebbe dovuto disconoscere la sottoscrizione alla “prima udienza” successiva. Questa, anche a voler escludere l’udienza del 19 luglio 2007 (dal cui verbale risulta soltanto l’astensione degli avvocati, alla quale ha dichiarato di aderire il procuratore dell’attore: fattispecie oggettivamente diversa dalla richiesta di mero rinvio, su cui Cass. n. 29909/08 richiamata in ricorso), sarebbe dovuta essere l’udienza del 19 giugno 2008 ed invece il relativo verbale contiene soltanto una generica contestazione di “tutto quanto ex adverso dedotto ed articolato in comparsa di costituzione e risposta”, inidonea ad integrare un disconoscimento (cfr. Cass. n. 3474/08).

Comunque, il rilievo della preclusione nascente dal mancato tempestivo disconoscimento, pur comportando la necessita’ di correggere la motivazione della sentenza impugnata, non consente di accogliere il ricorso e di pervenire ad una pronuncia di cassazione, in quanto il dispositivo di rigetto dell’appello e’ conforme a diritto (arg. ex articolo 384 c.p.c., u.c.).

4.- In effetti, la Corte d’Appello ha esaminato il disconoscimento del documento (contenente la previsione di un canone di locazione superiore rispetto a quello del contratto registrato) perche’ ha ritenuto di dare seguito ad un orientamento all’epoca espresso da diverse decisioni di questa Corte di Cassazione, la prima delle quali era stata Cass. n. 16089/2003, espressamente citata in sentenza. Il principio di diritto affermato era quello per il quale “In tema di locazioni abitative, la L. 9 dicembre 1998, n. 431, articolo 13, comma 1, nel prevedere la nullita’ di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (e nel concedere in tal caso al conduttore, al comma 2, l’azione di ripetizione), non si riferisce all’ipotesi della simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo (ne’ a quella della simulata conclusione di un contratto di godimento a titolo gratuito dissimulante una locazione con corrispettivo), in tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata della norma, giacche’, essendo valido il contratto di locazione scritto ma non registrato (non rilevando, nel rapporti tra le parti, la totale omissione dell’adempimento fiscale), non puo’ sostenersi che essa abbia voluto sanzionare con la nullita’ la meno grave ipotesi della sottrazione all’imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quello eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta ma non registrata. La nullita’ prevista dal citato articolo 13, comma 1, e’ volta piuttosto a colpire la pattuizione, nel corso di svolgimento del rapporto di locazione, di un canone piu’ elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario (scritto, come impone, a pena di nullita’, l’articolo 1, comma 4, della medesima legge, e registrato, in conformita’ della regola della generale sottoposizione a registrazione di tutti i contratti i locazione indipendentemente dall’ammontare del canone), la norma essendo espressione del principio della invariabilita’, per tutto il tempo della durata del rapporto, del canone fissato nel contratto (salva la previsione di forme di aggiornamento, come quelle ancorate ai dati Istat)” (cosi’, oltre a Cass. n. 16089/03 cit., anche Cass. n. 8148/09 e n. 8230/10).

Tuttavia, la questione e’ stata di recente affrontata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 17 settembre 2015 n. 18213, con la quale si e’ dichiaratamente superato e smentito il precedente orientamento.

Si e’ infatti affermato il principio di diritto per il quale “In tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullita’ prevista dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non e’ sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validita’ civilistica”.

Ai fini della decisione sul presente ricorso, e’ sufficiente percio’ ribadire l’affermazione di fondo della sentenza a Sezioni Unite, secondo cui l’ipotesi disciplinata dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, commi 1 e 2, e la relativa previsione di nullita’ del patto volto a determinare un maggior canone rispetto a quello dichiarato nel contratto registrato con canone fittizio, deve essere correttamente ricondotta nell’alveo del procedimento simulatorio, che si “(…) si sostanzia nella stipula dell’unico contratto di locazione (registrato), cui accede, in guisa di controdichiarazione – che consente la sostituzione, in via interpretativa, dell’oggetto del negozio (I.e. il prezzo reale in luogo di quello apparente) -, la scrittura (nella specie, coeva alla locazione, e redatta in forma contrattuale) con cui il locatore prevede di esigere un corrispettivo maggiore da occultare al fisco…. La sostituzione, attraverso il contenuto della controdichiarazione, dell’oggetto apparente (il prezzo fittizio) con quello reale (il canone effettivamente convenuto) contrasta con la norma imperativa che tale sostituzione impedisce, e pertanto lascia integra la (unica) convenzione negoziale originaria, oggetto di registrazione. Non la mancata registrazione dell’atto recante il prezzo reale (attesane la funzione gia’ in precedenza specificata di controdichiarazione), ma la illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, espressamente sanzionata di nullita’, e’ colpita dalla previsione legislativa, secondo un meccanismo del tutto speculare a quello previsto per l’inserzione automatica di clausole in sostituzione di quelle nulle: nel caso di specie, l’effetto diacronico della sostituzione e’ impedito dalla disposizione normativa, si’ che sara’ proprio la clausola successivamente inserita in via interpretativa attraverso la controdichiarazione ad essere affetta da nullita’ ex lege, con conseguente, perdurante validita’ di quella sostituenda (il canone apparente) e dell’intero contratto.” (cosi’ Cass. S.U. n. 18213/15 cit., in motivazione).

4.1.- Questa ricostruzione della fattispecie ed il principio di diritto che ne e’ conseguito comportano che, nel caso in esame, fermo restando il dispositivo della sentenza impugnata di rigetto del gravame, la motivazione debba essere corretta, affermandosi la perdurante validita’ dell'(unico) contratto registrato, in ragione dell’invalidita’ della convenzione del canone maggiore, risultante dal documento prodotto in giudizio dall’odierno ricorrente (peraltro contestato dalla controparte, non solo col disconoscimento, ma -come detto trattando del terzo motivo- anche mediante la deduzione della sua invalidita’ e/o inefficacia tra le parti).

Con la conseguenza che resta confermata la correttezza in diritto della condanna del locatore alla restituzione, a titolo di indebito, dei maggiori canoni percepiti, rispetto all’importo dovuto dal conduttore in esecuzione dell’unico contratto registrato.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Non vi e’ luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione perche’ l’intimato non si e’ difeso.

Avuto riguardo al fatto che il ricorso e’ stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sul ricorso, lo rigetta. Nulla sulle spese.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

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