Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|30 gennaio 2025| n. 2223.
Fallibilità: Accertamento base istruttoria prefallimentare.
Massima: La condizione di fallibilità di cui all’art. 15, comma 9, l.fall. deve sussistere al momento della dichiarazione di fallimento e va accertata sulla base delle risultanze dell’istruttoria prefallimentare, non essendo rilevanti i documenti eventualmente prodotti nel giudizio di reclamo ex art. 18 l.fall. per dimostrare il venir meno della predetta condizione, anche se formati anteriormente alla dichiarazione di fallimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che ha ritenuto irrilevante l’allegazione, soltanto in sede di reclamo, dei documenti attestanti l’adesione della società debitrice alla definizione agevolata di debiti tributari, in data antecedente all’apertura della procedura concorsuale, dopo che la stessa società non si era costituita avanti al primo giudice).
Ordinanza|30 gennaio 2025| n. 2223. Fallibilità: Accertamento base istruttoria prefallimentare.
Integrale
Tag/parola chiave: Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Apertura (dichiarazione) di fallimento – Imprese soggette – In genere condizione di fallibilità ex art. 15, comma 9, l.fall. – Accertamento – Modalità – Documenti prodotti in sede di reclamo – Rilevanza – Limiti – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente
Dott. ABETE Luigi – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. VELLA Paola – Consigliere
Dott. D’AQUINO Filippo – Relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4519/2020 R.G. proposto da:
De.An., in proprio e quale legale rappresentante di LSC Sas DI De.An. E C., elettivamente domiciliati in ROMA VIA PI.TA., presso lo studio dell’avvocato CL.AG. (Omissis) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato AL.MA. (Omissis)
-ricorrenti-
contro
FALLIMENTO LSC Sas DI De.An. E C., De.An., elettivamente domiciliato in ROMA VIA LI.AN., presso lo studio dell’avvocato GR.AN. (Omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato FE.FA. (Omissis)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 2098/2019 depositata il 18/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Consigliere FILIPPO D’AQUINO.
Fallibilità: Accertamento base istruttoria prefallimentare.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 24 aprile 2019, la società LSC Sas di De.An. E C. e la socia accomandatala De.An. sono state dichiarate fallite dal Tribunale di Pescara su ricorso di un creditore. Dalla sentenza impugnata, nonché dalla documentazione in atti, emerge che la sentenza dichiarativa di fallimento è stata deliberata in data 16 aprile 2019.
2. Hanno proposto reclamo la società dichiarata fallita e la socia accomandataria, non comparse avanti al primo giudice, deducendo la carenza dei requisiti soggettivi di cui all’art. 1, secondo comma, L.Fall. e producendo una relazione tecnica, alla quale erano state allegate le dichiarazioni dei redditi, oltre al registro IVA, il libro cespiti e alcune situazioni contabili. Le ricorrenti hanno anche dedotto il mancato superamento della soglia di cui all’art. 15, nono comma, L.Fall., atteso che i debiti erariali erano stati oggetto di definizione agevolata in data 12 aprile 2019 e, quindi, non potevano considerarsi scaduti alla data della decisione. A tal riguardo, hanno prodotto documentazione attestante l’adesione alla definizione agevolata – come risulta dalla sentenza impugnata – di cui all’art. 3, comma 10, D.L. n. 119/2018 e, in particolare, dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, con pagamento della prima rata.
3. Con la sentenza qui impugnata, la Corte di Appello de l’Aquila ha rigettato il reclamo. Ha ritenuto il giudice di reclamo – per quanto qui rileva – che la reclamante, ai fini del requisito soggettivo di cui all’art. 1, secondo comma L.Fall., non ha depositato i bilanci, limitandosi a produrre una relazione di parte, fondata su documentazione insufficiente e incompleta, ritenendo altresì irrilevante che la società debitrice fosse in regime di contabilità semplificata. In particolare, la corte di merito ha rilevato che la relazione era fondata unicamente su registri IVA, liquidazioni IVA trimestrali e situazioni contabili al 31 dicembre di ciascun periodo di imposta. Lo stesso giudice ha, inoltre, rilevato che non era stato rinvenuto né il libro inventari, né il libro giornale, che mancavano alcune delle dichiarazioni fiscali, “non comprendenti quelle riguardanti i periodi di imposta 2017 e 2018” e che il libro cespiti non poteva ritenersi attendibile, in quanto aggiornato al 2013 e non bollato. Inoltre, la sentenza impugnata ha evidenziato che le dichiarazioni fiscali non avrebbero potuto dare contezza dell’attivo patrimoniale; ha, poi, ritenuto che non potessero costituire prova in tal senso le affermazioni del consulente circa la insussistenza in ciascun periodo di imposta di attivo circolante e di rimanenze per intervenuta cessazione dell’attività di impresa, in quanto dichiarazioni apodittiche. A conferma della inattendibilità della totale cessazione di fatto dell’attività di impresa, la Corte di appello ha, infine, valorizzato l’esecuzione di alcuni pagamenti effettuati medio tempore, circostanza indiziaria della prosecuzione dell’attività di impresa.
4. Quanto, poi, al dedotto venir meno della soglia dei 30.000 Euro di debiti scaduti, la sentenza impugnata ha ritenuto che la documentazione attestante il ricorso alla definizione agevolata non era utilizzabile in reclamo, in quanto documentazione non risultante agli atti dell’istruttoria prefallimentare (“di tale richiesta di adesione nessuna prova fu fornita in sede di istruttoria”).
5. Hanno proposto ricorso per cassazione la società fallita e la socia accomandataria, affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso il fallimento, il quale ha depositato memoria.
Fallibilità: Accertamento base istruttoria prefallimentare.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1 L.Fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non provato l’assolvimento dell’onere della prova da parte del debitore relativo al mancato raggiungimento delle soglie quantitative di cui all’art. 1, secondo comma, L.Fall. del triennio precedente la dichiarazione di fallimento. Il motivo è articolato sotto diversi profili.
2. In primo luogo, si censura la statuizione di inattendibilità della perizia di parte, sul presupposto che non fosse stata redatta sulla base di bilanci, né essendo stata valorizzata la circostanza che la società contribuente versasse in regime di contabilità semplificata. Parte ricorrente osserva che l’esame dei requisiti dimensionali, ai fini di quanto prevede l’art. 1 L.Fall., può essere condotto anche sulla base di documentazione equipollente, purché attendibile, potendo i requisiti quantitativi essere accertati in qualunque modo risulti.
3. In secondo luogo, si censura il giudizio di inattendibilità della perizia di parte in ordine all’insussistenza di attivo circolante e rimanenze, in quanto perizia “reda(t)ta sulla base di 26 documenti alla stessa allegati”, che avevano evidenziato la cessazione dell’attività caratteristica sin dal 2013. Sotto diverso profilo, si deduce che l’omesso deposito delle dichiarazioni fiscali per i periodi di imposta 2017 e 2018 derivava dalla protratta inattività della società.
4. Il primo motivo è inammissibile – così assorbendo l’eccezione di inammissibilità del controricorrente, secondo cui si tratterebbe di rivalutazione del materiale probatorio – nella parte in cui censura la statuizione di inattendibilità della perizia di parte, perché non coglie pienamente la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte di appello ha ritenuto inattendibile la perizia di parte non per assenza dei bilanci, quanto per incompletezza della documentazione
sottostante e per inattendibilità del libro cespiti, non aggiornato, né vidimato.
5. Il primo motivo è, invece, inammissibile, ex art.360bis cod. proc. civ., nella parte in cui censura la statuizione del giudice di appello che ha ritenuto insufficiente la documentazione prodotta ai fini della prova del requisito patrimoniale per le società in regime di contabilità semplificata, previsto per le imprese minori (art. 18 D.P.R. n. 600/1973). Tale regime, già sul piano tributario non esonera il contribuente da adempimenti fiscali, come per l’indicazione del valore e delle categorie delle rimanenze nel registro degli acquisti ai fini IVA (Cass., n. 29105/2018; Cass., n. 8907/2018); ma, soprattutto -come rilevato dal giudice di reclamo – non può comportare il venir meno dell’obbligo civilistico di tenuta delle scritture contabili (Cass., n. 34458/2022; Cass., n. 12073/2020; Cass., n. 14724/2016), con particolare riferimento all’assolvimento dell’onere della prova richiesto dall’art. 1, secondo comma, L.Fall. Ove, pertanto, l’imprenditore sia esentato dal depositare il bilancio di esercizio e, quindi, non possa in via pratica farsi ricorso a questo canale preferenziale ai fini di quanto prevede l’art. 1, secondo comma, L.Fall., comunque “rimane a carico del debitore l’onere di dimostrare con strumenti alternativi, attraverso la produzione di materiale che appaia attendibile agli occhi del giudicante, il mancato superamento dei requisiti dimensionali” della disciplina concorsuale (Cass., n. 12073/2020, cit.). Né tale onere della prova risulta attenuato dal fatto che il contribuente operi in regime di contabilità semplificata: “il regime di contabilità semplificata non esime dalla tenuta del bilancio di esercizio, la cui mancata redazione non preclude al fallendo di ricorrere a differenti strumenti probatori, ma neppure riduce (o addirittura solleva dal)l’onere probatorio rispetto al mancato ricorrere dei requisiti dimensionali” (Cass., n. 12073/2020, cit.).
Fallibilità: Accertamento base istruttoria prefallimentare.
6. Quanto, poi, alla censura relativa alla valutazione di inattendibilità dell’omesso rinvenimento di attivo circolante e di rimanenze e alla irrilevanza del deposito delle dichiarazioni fiscali per due dei tre periodi di imposta, conseguente alla protratta inattività dell’impresa, la censura è inammissibile (come deduce il controricorrente) in quanto diretta a contrastare il giudizio di inattendibilità delle prove da parte del giudice di appello e, in particolare, l’inattendibilità delle affermazioni del consulente circa l’insussistenza di attivo circolante e rimanenze. Tale censura non può essere articolata come violazione di legge, perché in questo caso oggetto del giudizio non è l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice del merito (Cass., n. 3340/2019; Cass., n. 640/2019).
7. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 15 L.Fall., nonché dell’art. 2697 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha ritenuto di procedere a consulenza tecnica di ufficio al fine di verificare i requisiti soggettivi di assoggettamento a fallimento. Osserva parte ricorrente come la consulenza tecnica si rivelasse necessaria nel caso di specie, stanti i dubbi del giudice di reclamo sulla esistenza di fondi occulti utilizzati per pagare alcuni debiti e sull’assenza di alcune delle dichiarazioni fiscali; la Corte di appello avrebbe, pertanto, dovuto motivare specificamente in relazione al rigetto dell’istanza di nomina del CTU.
8. Il motivo è inammissibile, posto che il ricorso alla consulenza tecnica rientra nella discrezionalità del giudice del merito (Cass., n. 12499/2023; Cass., n. 18152/2020; Cass., n. 2103/2019).
9. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 18 L.Fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la condizione di procedibilità della soglia dell’indebitamento rilevante di Euro 30.000,00 di debiti scaduti. Si censura, in particolare, la statuizione della corte con cui è stata ritenuta irrilevante la documentazione attestante l’adesione da parte della società debitrice alla definizione agevolata, idonea a far scendere l’importo dei debiti scaduti da Euro 35.634,01 a Euro 26.294,64; documentazione, pertanto, idonea – secondo parte ricorrente – a far venir meno la soglia di cui all’art. 15, nono comma, L.Fall., trattandosi in ogni caso di documentazione anteriore alla dichiarazione di fallimento. Osserva parte ricorrente che detta documentazione, datata 12 aprile 2019 e anteriore alla decisione del Tribunale, sarebbe producibile in reclamo senza preclusioni, ancorché attenga alla condizione di procedibilità di cui all’art. 15 cit. Deduce, inoltre, parte ricorrente che la sussistenza della condizione di procedibilità e il venir meno della stessa vanno esaminate d’ufficio dal giudice ai fini della dichiarazione di fallimento e, negli stessi termini, in sede di reclamo, purché l’evento integrante la condizione si verifichi prima della decisione sulla domanda di dichiarazione di fallimento.
10. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, consistente nella mancata valutazione del documento che dimostrava la adesione della società debitrice alla definizione agevolata dei debiti tributari. Si deduce la decisività di tale circostanza, posto che l’adesione alla definizione agevolata (nella specie, a termini dell’art. 3, comma 10, D.L. n. 119/2018) comporta la temporanea inesigibilità dei debiti e il venir meno della scadenza degli stessi a termini dell’art. 15, nono comma, L.Fall.
11. Il terzo e il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, attesi i profili coinvolti e sono infondati. È accertato che, alla data di deliberazione della dichiarazione di fallimento (16 aprile 2019), vi erano debiti scaduti per oltre Euro 30.000,00, in virtù dei debiti tributari di cui era stata data contezza durante l’istruttoria. Parimenti, è accertato dalla sentenza impugnata che la definizione agevolata – idonea astrattamente a comportare il venir meno della soglia suddetta – è stata proposta in data 12 aprile 2019, dopo la celebrazione dell’ultima udienza istruttoria (21 marzo 2019), ma prima della deliberazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Parimenti è accertato che la società debitrice non aveva preso parte al giudizio di primo grado, senza che sia emerso o sia stato dedotto alcun vizio del relativo contraddittorio. Il giudice di reclamo ha ritenuto irrilevante l’acquisizione nella sede e per la prima volta di tale elemento ai fini di quanto prevede l’art. 15 L.Fall.
12. Osserva il Collegio che la soglia dell’indebitamento scaduto di cui all’art. 15, nono comma, L.Fall. si configura – come rilevano correttamente gli stessi ricorrenti – quale condizione afferente al ‘far luogo” alla pronuncia, che il giudice deve accertare prima di dichiarare il fallimento. Propriamente, tuttavia, non si tratta di condizione dell’azione, non configurandosi un diritto dell’istante (ricorrente o richiedente) alla dichiarazione di fallimento, né la predetta soglia condiziona la proponibilità della singola iniziativa, che ben potrà procedere da un montante individuale di credito anche più basso, posto che lo scrutinio della sommatoria indicata dal legislatore viene rimandato (o comunque assume essenzialità) alla fase successiva decisoria, assolvendo alla funzione appunto condizionante la possibilità che il procedimento – correttamente instaurato – possa giungere alla pronuncia positiva di fallimento. La norma concretizza l’interesse giuridicamente prefissato dal legislatore e rilevante nella disciplina della concorsualità della crisi d’impresa alla pronuncia sulla domanda di fallimento purché vi sia il superamento di un valore assoluto di indebitamento scaduto, al di sotto del quale la dichiarazione di fallimento non può, come si ripete, avere luogo. Perché ritenuta, secondo la scelta legislativa e per varie ragioni, sproporzionata nel bilanciamento tra risorse anche pubbliche impiegate ed efficacia dello strumento processuale.
13. Pertanto, all’atto della sussistenza dei fatti integrativi della domanda e della insussistenza di fatti impeditivi – elementi della fattispecie che rientrano nell’onere di allegazione delle parti – può essere pronunciata la sentenza dichiarativa di fallimento, ove risulti alla data della decisione un indebitamento scaduto assoluto e complessivo almeno pari al minimo normativo, come risultante da tutti gli elementi acquisiti all’istruttoria, anche indipendenti da quelli prodotti da istante e debitore e non di necessità propri dei soli crediti veicolati avanti al Tribunale (Cass., n. 26926/2017; Cass., n. 5377/2016).
Fallibilità: Accertamento base istruttoria prefallimentare.
14. Trattandosi di condizione che attiene alla finale pronunciabilità della sentenza di fallimento, essa è sottratta stricto sensu all’onere della prova e va accertata d’ufficio, per come tratta e dunque risulti “dagli atti dell’istruttoria” (Cass., n. 16683/2018). Congruenti con questa impostazione sono la previsione di informazioni urgenti a termini dell’art. 15, comma quarto, L.Fall. e l’espletamento di mezzi di prova officiosi ex art. 15, sesto comma, L.Fall., finalizzati a fare emergere la reale dimensione dell’insolvenza del debitore. In quanto condizione afferente alla procedibilità della pronuncia positiva di fallimento, il superamento di tale soglia va accertato dunque al momento della decisione e non anche al momento in cui è stata proposta la domanda di declaratoria di fallimento (Cass., n. 10952/2015), costituendo ultimo accertamento a compiersi dal giudice che procede.
15. Dalle premesse consegue che, da un lato, il legislatore esige che l’accertamento della predetta condizione sia effettuato dal
giudice chiamato a pronunciarsi sulla domanda degli istanti, dando conto di poter così procedere – fermi gli altri presupposti sostanziali – ed è a tale momento e a tale solo stato dell’istruttoria che detto riscontro va necessariamente riferito. Ne consegue inoltre, e dall’altro, che il medesimo accertamento della soglia nominale dell’insolvenza giuridicamente rilevante, quale sussistente o insussistente, cristallizza – su questo punto – i presupposti della correttezza del giudizio avanti al Tribunale, rendendo irrilevanti ai predetti fini i loro mutamenti anteriori o posteriori. Così che la rispettiva contestazione nel giudizio di reclamo avrà ad oggetto lo scrutinio della effettiva e sola loro sussistenza, al momento della pronuncia resa dal Tribunale e però secondo lo stato degli atti, con l’interrogativo cioè se essi risultavano (in ossequio alla chiara indicazione selettiva del legislatore al nono comma dell’art. 15 L.Fall.) nel processo stesso; a differenza degli altri elementi, più variamente rimessi anche alla disponibilità delle parti (legittimazione, fatti costitutivi oggettivi e soggettivi), che potranno nel reclamo essere rimeditati – rispetto al riscontro espresso dal primo giudice – sottoponendo a riaccertamento la stessa loro storica (e non solo processuale) esistenza.
16. Sono, pertanto, irrilevanti i fatti, ancorché precedenti la decisione, ma solo e benché successivamente fatti emergere in sede di reclamo, volti a dimostrare che la soglia dei cd. 30.000 Euro non era in fatto raggiunta al momento della dichiarazione di fallimento, laddove, come nel caso, il reclamante, non costituitosi avanti al primo giudice, ne proponga l’accertamento per la prima volta alla Corte d’Appello; in questo senso, anche la collocazione della norma all’interno della disposizione organizzativa processuale della fase avanti al Tribunale, si connette ad un preciso perimetro di oneri, del giudice (quanto all’accertamento) e delle parti (ove vogliano interloquire). Il che illustra la esorbitanza di ogni richiamo ai principi di devoluzione piena cui soggiace il giudizio di reclamo: diversamente dagli ordinari presupposti della fallibilità, che fondano la corretta instaurazione o non istaurazione di una procedura concorsuale e dunque possono emergere probatoriamente anche in sede di reclamo, in termini tali da sovvertire il primo giudizio che non ne abbia tenuto conto ma purché se ne provi la storica preesistenza alla decisione, laddove il reclamo solleciti la disamina della più circoscritta condizione di cui all’art. 15 comma 9, L.Fall., ai fini della procedibilità della dichiarazione di fallimento, la Corte d’Appello dovrà solo verificare se, al momento di detta pronuncia e al culmine della relativa istruttoria, tali elementi risultavano o meno avanti al Tribunale. Condizione che, nel caso, era pienamente sussistente, né vi era agli atti documentazione ad essa ostativa.
17. Non può infatti sostenersi, come deduce il ricorrente, che la definizione agevolata, in quanto avvenuta prima della dichiarazione di fallimento, potesse essere allegata anche in sede di reclamo appunto ai fini del venir meno della condizione di procedibilità della prima sentenza, dovendosi tale condizione accertare quale risultante nel primo processo e al momento della sua decisione. E tale accertamento appare correttamente essere stato condotto dal giudice di merito per il quale, al momento della dichiarazione di fallimento, la debitoria scaduta ed emersa oltrepassava i 30.000 euro. In questo senso è la parte debitrice che, sottraendosi dal partecipare al contraddittorio avanti al Tribunale, ha omesso di contraddire in quella sede ciò che risultava dalla istruttoria, non vi ha recato alcun elemento (pur in apparenza disponendone), né poi, in reclamo, ha contestato tale risultanza in sé. Invocando una più superficiale e malintesa lettura del principio pienamente devolutivo del giudizio di reclamo, non è dunque ammissibile che il reclamante sottoponga a controllo non tanto un elemento sostanziale di fallibilità, bensì un riscontro processuale di procedibilità, pienamente emerso dagli atti del processo cui la norma lo riferisce.
Fallibilità: Accertamento base istruttoria prefallimentare.
18. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:
“La condizione di cui all’art. 15, nono comma L.Fall. (debiti scaduti e non pagati inferiore a 30.000 euro) va accertata e deve risultare al momento della dichiarazione di fallimento, secondo quanto risulti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare; ne consegue che non sono rilevanti documenti (nella specie, prodotti solo nel giudizio di reclamo ex art. 18 L.Fall.) con cui provare il venir meno della stessa, rispetto a quanto risultante al momento della sentenza, benché formati anteriormente alla dichiarazione di fallimento stessa”.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna le parti ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2025.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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