Il testo integrale [1]
Il legale il quale ricopra la qualità di presidente del consiglio di amministrazione o di amministratore delegato o unico di una società commerciale si trova, ai sensi dell’art. 3, primo comma, numero 1, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, in una situazione d’incompatibilità con l’esercizio della professione forense (esercizio del commercio in nome altrui), qualora risulti che tale carica comporti effettivi poteri di gestione o di rappresentanza, e a prescindere da ogni indagine sulla consistenza patrimoniale della società medesima e sulla sua conseguente esposizione a procedure concorsuali.
Principio a cui però non si è attenuto il Cnf, che ha ritenuto la carica di presidente del consiglio di amministrazione di per sé incompatibile con l’esercizio della professione di avvocato (revocando l’autorizzazione alla pratica), senza accertare se l’incolpato, nella sua qualità di presidente dell’organo amministrativo, fosse titolare di effettivi poteri di gestione.
Nelle more del giudizio di legittimità, l’art. 3 del r.d. 27 novembre 1933, n. 1578 è stato abrogato per incompatibilità dall’art. 18 della legge 31 dicembre 2012 n. 247, che ha dettato una nuova disciplina dell’incompatibilità della professione di avvocato con l’attività d’impresa. La disposizione prevede ora, per quel che in questa sede interessa, che la professione di avvocato è incompatibile con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione di società capitalistiche.
Anche se tale norma non era applicabile al caso di specie, perché in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati (trattandosi di sanzioni amministrative) non vige, salvo diversa espressa previsione di legge, il canone penalistico dell’applicazione retroattiva della norma più favorevole, e al fatto si applica la sanzione vigente nel momento in cui il medesimo è stato commesso.
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