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1. – In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilita’ del ricorso proposto nei confronti del Consiglio distrettuale di disciplina di Lecce e del Consiglio nazionale forense.
Infatti, nel giudizio di legittimita’ avverso le decisioni disciplinari del Consiglio nazionale forense, come regolato dalla L.
n. 247 del 2012, non assume la qualita’ di parte il Consiglio distrettuale di disciplina, trattandosi di soggetto che riveste una funzione amministrativa di natura giustiziale, caratterizzata da elementi di terzieta’, ma priva di potere autonomo di sorveglianza sugli iscritti all’Ordine, sicche’, da un lato, non puo’ essere in lite con questi ultimi, pena la perdita della sua imparzialita’, e dall’altro, non e’ portatore di alcun interesse ad agire o a resistere in giudizio; parimenti, il Consiglio nazionale forense, che e’ un giudice speciale, non puo’ essere evocato dinanzi alle Sezioni Unite sui ricorsi avverso le sue sentenze (Cass., Sez. U., 10 luglio 2017, n. 16993; Cass., Sez. U., 31 luglio 2017, n. 18984).
2. – Con il primo motivo (violazione del R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 51) ci si duole che la sentenza impugnata non abbia statuito in merito all’eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare formulata dall’Avv. (OMISSIS) in sede di ricorso al CNF. Si osserva che i fatti contestati in sede penale all’Avv. (OMISSIS) che hanno dato luogo anche all’apertura del procedimento disciplinare risalgono agli anni 2008-2009, fino al 12 marzo 2009, laddove la Delib. di apertura del procedimento disciplinare e’ stata adottata il 26 marzo 2014 e notificata in data 13 maggio 2014.
2.1. – Il motivo e’ infondato.
Occorre premettere che la sospensione cautelare ai sensi della L. n. 247 del 2012, articolo 60 non e’ una sanzione disciplinare e la sua applicazione nei casi previsti (e cioe’ quando vi sia: l’applicazione di misure cautelari detentive o interdittive non impugnate o confermate in sede di riesame o di appello; la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione di cui all’articolo 35 cod. pen., anche se e’ stata disposta la sospensione condizionale della pena; l’applicazione di misure di sicurezza detentive; la condanna in primo grado per particolari reati; la condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni) prescinde dalla formale apertura del procedimento disciplinare (Cass., Sez. U., 31 luglio 2017, n. 18984, cit.). Ai sensi della citata disposizione, la durata della disposta misura cautelare risente peraltro del confronto con l’accertamento della responsabilita’ disciplinare, posto che la sospensione – che non puo’ essere irrogata per un periodo superiore a un anno – perde efficacia qualora, nel termine di sei mesi dalla sua applicazione, il Consiglio distrettuale di disciplina non deliberi il provvedimento sanzionatorio, ovvero deliberi non esservi luogo a provvedimento disciplinare, ovvero disponga l’irrogazione dell’avvertimento o della censura.
D’altra parte, e’ errata la premessa da cui muove il ricorrente, il quale fa decorrere il termine quinquennale previsto dal R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 51 dalla commissione dei fatti penalmente rilevanti, con la conseguenza che, risalendo essi ad un periodo di tempo anteriore al 12 marzo 2009, al momento della Delib. di apertura del procedimento disciplinare, adottata soltanto in data 26 marzo 2014 e notificata il successivo 13 maggio, la prescrizione sarebbe maturata.
La censura non tiene conto, infatti, del rilievo che nella specie il procedimento disciplinare a carico dell’Avv. (OMISSIS) riguarda fatti costituenti reato per i quali e’ stata esercitata azione penale.
Ora, agli effetti della prescrizione dell’azione disciplinare di cui al R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 51 occorre distinguere il caso, previsto dall’articolo 38, in cui il procedimento disciplinare tragga origine da fatti punibili solo in tale sede, in quanto violino esclusivamente i doveri di probita’, correttezza e dirittura professionale, dal caso, previsto dall’articolo 44, in cui il procedimento disciplinare abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l’azione penale. Nel primo caso, in cui l’azione disciplinare e’ collegata ad ipotesi generiche ed a fatti anche atipici, il termine prescrizionale comincia a decorrere dalla commissione del fatto; nel secondo, invece, l’azione disciplinare e’ collegata al fatto storico di una pronuncia penale che non sia di proscioglimento perche’ il fatto non sussiste o perche’ l’imputato non lo ha commesso, ha come oggetto lo stesso fatto per il quale e’ stata formulata una imputazione, ha natura obbligatoria e non puo’ essere iniziata prima che se ne sia verificato il presupposto, con la conseguenza che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto di punire puo’ essere esercitato, e cioe’ dal passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno alla condotta (Cass., Sez. U., 9 maggio 2011, n. 10071). In altri termini, qualora il procedimento disciplinare a carico dell’avvocato riguardi un fatto costituente reato per il quale sia stata esercitata l’azione penale, la prescrizione dell’azione disciplinare decorre soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza penale, anche se il giudizio disciplinare non sia stato nel frattempo sospeso, cio’ potendo incidere sulla validita’ dei suoi atti, ma non sul termine iniziale della prescrizione (Cass., Sez. U., 31 maggio 2016, n. 11367).
3. – Con il secondo mezzo (violazione dell’articolo 11 preleggi, comma 1 e della L. n. 247 del 2012, articolo 65 nonche’ erronea applicazione della L. n. 247 del 2012, articolo 60 anziche’ della norma di cui al R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 43) il ricorrente censura che la sentenza impugnata abbia applicato retroattivamente all’incolpato la disposizione meno favorevole di cui alla L. n. 247 del 2012, articolo 60 che ha inserito l’ipotesi della sospensione nel caso di sopravvenuta condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni (norma entrata in vigore in epoca successiva all’apertura del procedimento disciplinare, avvenuta il 26 marzo 2014) al posto della precedente disposizione di cui al R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 43 che ancorava la misura al presupposto dello strepitus fori, da valutare al momento dell’adozione del provvedimento cautelare.
3.1. – La censura e’ infondata.
La nuova legge professionale e’ entrata in vigore, con riguardo alla sospensione cautelare, il 1 gennaio 2015, allorquando e’ divenuto vigente il regolamento del CNF 21 febbraio 2014, n. 2, secondo la previsione contenuta nell’articolo 39 di esso (Cass., Sez. U., 26 settembre 2017, n. 22358).
E poiche’ nella specie la sospensione cautelare e’ stata disposta dal Consiglio distrettuale di disciplina di Lecce in data 7 giugno 2016, correttamente e’ stata fatta applicazione dell’articolo 60 della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, di cui alla L. n. 247 del 2012.
Non e’ pertanto condivisibile l’assunto dal quale muove la censura, secondo cui si sarebbe avuta una applicazione retroattiva della nuova disciplina ad un’ipotesi invece regolata dal R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 43.
4. – Il terzo motivo denuncia violazione del R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articoli 38 e 43 difetto di presupposto per l’adozione della misura cautelare, mancanza di collegamento del presunto illecito con l’attivita’ professionale e mancanza dello strepitus fori; omesso esame circa un fatto decisivo. Avrebbe errato la decisione impugnata a non considerare che la lesione all’immagine dell’Avvocatura leccese e il clamore mediatico connesso, di fatto, non esistevano piu’ al momento della deliberazione della misura sospensiva: cio’ in quanto la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio o con rinvio la sentenza di condanna a carico dei coimputati dell’Avv. (OMISSIS) (giudicati separatamente avendo optato per la definizione con il rito abbreviato) e la stampa locale ha commentato la notizia prefigurando un esito favorevole anche per l’impugnazione proposta dall’Avv. (OMISSIS).
4.1. – La doglianza e’ priva di fondamento.
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