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L’individuazione di un “percorso logico alternativo a quello del primo giudice”, pero’, non dovra’ necessariamente tradursi in un “progetto alternativo di sentenza”; il richiamo, contenuto nei citati articoli 342 e 434, alla motivazione dell’atto di appello non implica che il legislatore abbia inteso porre a carico delle parti un onere paragonabile a quello del giudice nella stesura della motivazione di un provvedimento decisorio. Quello che viene richiesto – in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che e’ in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata – e’ che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual e’ il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perche’ queste siano censurabili. Tutto cio’, inoltre, senza che all’appellante sia richiesto il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate.
Ritengono queste Sezioni Unite, trattandosi della risoluzione di una questione di massima di particolare importanza che riveste una portata di sistema, di dover ribadire che la riforma del 2012 non ha trasformato, come alcuni hanno ipotizzato, l’appello in un mezzo di impugnazione a critica vincolata. L’appello e’ rimasto una revisio prioris instantiae; e i giudici di secondo grado sono chiamati in tale sede ad esercitare tutti i poteri tipici di un giudizio di merito, se del caso svolgendo la necessaria attivita’ istruttoria, senza trasformare l’appello in una sorta di anticipato ricorso per cassazione. La diversita’ tra il giudizio di appello e quello di legittimita’ va fermamente ribadita proprio alla luce della portata complessiva della riforma legislativa del 2012 la quale, come ha osservato l’ordinanza interlocutoria, mentre ha introdotto un particolare filtro che puo’ condurre all’inammissibilita’ dell’appello a determinate condizioni (articoli 348 bis e 348 ter c.p.c.), ha nel contempo ristretto le maglie dell’accesso al ricorso per cassazione per vizio di motivazione; il che impone di seguire un’interpretazione che abbia come obiettivo non quello di costruire un’ulteriore ipotesi di decisione preliminare di inammissibilita’, bensi’ quello di spingere verso la decisione nel merito delle questioni poste.
D’altra parte, come ha giustamente posto in luce l’ordinanza n. 10916 del 2017, e’ una regola generale quella per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale. Ne’ deve dimenticarsi, come queste Sezioni Unite hanno gia’ ribadito nella sentenza n. 10878 del 2015, che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in piu’ occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalita’ tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra le altre, la sentenza CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia).
5.2. Deve essere, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto:
“Gli articoli 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversita’ rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado”.
6. L’esame del ricorso.
6.1. Cosi’ ricostruiti i termini giuridici del problema, occorre procedere all’esame dell’unico complesso motivo di ricorso, tenendo presente che in simili casi la Corte di cassazione e’ anche giudice del fatto, inteso come fatto processuale. Come queste Sezioni Unite hanno gia’ affermato nella sentenza 22 maggio 2012, n. 8077, infatti, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullita’ del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attivita’ deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore – come avviene nel caso odierno, relativo alla regolarita’ formale dell’atto di appello rispetto al suo modello legale – il giudice di legittimita’ non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicita’ della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma e’ investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purche’ la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformita’ alle regole fissate al riguardo dal codice di rito.
6.2. Cio’ premesso, ritiene la Corte che il ricorso sia fondato.
Dalla lettura dell’atto di appello e dal confronto tra questo e la sentenza impugnata emerge, infatti, che l’esito di inammissibilita’ al quale e’ pervenuta la Corte d’appello di Torino e’ censurabile da molti punti di vista.
Si osserva, innanzitutto, che l’atto di appello contiene tre motivi (il terzo e’ erroneamente rubricato come quarto); ognuno di essi, dopo aver illustrato la censura, si conclude con un espresso richiamo all’articolo 342 c.p.c., indicando di volta in volta quale sia l’obiettivo della censura. Il primo motivo contesta la presunta vessatorieta’ delle clausole n. 5 V e 14 V riconosciuta dal Tribunale; il secondo motivo affronta il cuore della vicenda e cioe’ il problema dell’efficacia del pagamento che Unicredit ha compiuto a seguito di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo emesso in favore della societa’ costruttrice dell’imbarcazione oggetto di leasing, nel diverso giudizio intrapreso davanti al Tribunale di Forli’ (questione che investe la portata e l’interpretazione delle clausole n. 3 e n. 5 delle condizioni generali di contratto e che contesta il punto del necessario consenso dell’utilizzatore (OMISSIS) al pagamento); il terzo motivo censura l’errata applicazione dell’articolo 1460 c.c., criticando la sentenza del Tribunale la’ dove ha affermato che il (OMISSIS) poteva rifiutare la consegna pur in presenza di difformita’ di scarso valore economico (circa 4.000 Euro per un imbarcazione il cui valore e’ stato accertato intorno ai 600.000 Euro), e cio’ perche’ si tratta di un bene di lusso; e questo motivo, mentre sostiene che il pagamento del prezzo da parte di Unicredit sarebbe equivalente alla presa in consegna del bene da parte dell’utilizzatore, lamenta anche che non potrebbe nella specie trattarsi di consegna di aliud pro alio.
Nelle ultime due pagine dell’appello (pp. 22-23), infine, l’appellante (OMISSIS) s.p.a. fa un riassunto delle censure e le sintetizza chiedendo alla Corte d’appello di considerare quattro questioni ai fini della modifica della decisione di primo grado.
Appare evidente a queste Sezioni Unite, dunque, che l’atto di appello era pienamente rispettoso della previsione dell’articolo 342 c.p.c., e che pertanto il ricorso deve essere accolto.
7. Conclusione.
Il ricorso, pertanto, e’ accolto e la sentenza impugnata e’ cassata. Il giudizio e’ rinviato alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione personale, la quale decidera’ il merito dell’appello erroneamente dichiarato inammissibile, attenendosi al principio di diritto enunciato al punto 5.2.
Al giudice di rinvio e’ demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.
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