Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 20 aprile 2015, n. 16443

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MILO Nicola – Presidente

Dott. CITTERIO Carlo – Consigliere

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. CAPOZZI Ange – rel. Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedetto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) ALIAS (OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3319/2011 CORTE APPELLO di PALERMO, del 21/01/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/03/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Luigi Riello, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio perche’ il fatto non costituisce reato;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) che chiede l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21.1.2013 la Corte di appello di Palermo, a seguito di gravame interposto, tra gli altri, dagli imputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Agrigento in data 22.2.2011, ha confermato detta sentenza con la quale gli imputati erano dichiarati colpevoli del reato di cui all’articolo 372 c.p., e condannati a pena di giustizia.

2. Agli imputati e’ stato ascritto il reato di falsa testimonianza per aver falsamente deposto nel corso del processo a carico del loro datore di lavoro (OMISSIS) – imputato del reato di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 22, per aver occupato nella sua officina il cittadino extracomunitario (OMISSIS) senza che questi fosse munito del relativo permesso di soggiorno – di non aver mai visto lavoratori extracomunitari presso la officina del (OMISSIS).

3. Avverso la sentenza propongono personalmente ricorso per cassazione gli imputati.

4. (OMISSIS) e (OMISSIS) con analoghi motivi deducono:

4.1. Violazione di legge per mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione in quanto i ricorrenti non potevano sapere se vi erano altri operai di colore o meno nella officina essendo adibiti in qualita’ di operai e non di controllori o custodi, essendo stati – inoltre – sentiti a tre anni di distanza dai fatti e non avendo alcun motivo per deporre il falso.

4.2. Inosservanza dell’articolo 384 c.p., ricorrente nella specie dovendosi i ricorrenti tutelarsi dal rischio della perdita del posto di lavoro.

5. (OMISSIS) denuncia:

5.1. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla nullita’ dell’avviso di conclusione delle indagini e del decreto che dispone il giudizio per omessa e/o incompleta enunciazione dell’accusa, non avendo la sentenza risposto alla doglianza mossa in appello.

5.2. Violazione di legge e vizio della motivazione in quanto la difformita’ dichiarativa contestata al ricorrente doveva ricondursi alle sue difficolta’ linguistiche essendogli poste domande senza l’ausilio dell’interprete. La necessita’ di nominare un interprete non e’ stata considerata dalla sentenza gravata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) sono infondati.

1.1. Il primo motivo e’ generico ed in fatto, avendo la sentenza impugnata dato conto, senza vizi logici e giuridici delle ragioni per le quali gli imputati erano a conoscenza dell’occupazione di cittadini extracomunitari presso l’officina ove loro stessi lavoravano, essendo stati ivi trovati con il cittadino extracomunitario (OMISSIS), quest’ultimo fermato il giorno prima con (OMISSIS) a poca distanza dalla officina, avendo immediatamente dichiarato di lavorarvi.

2. Il secondo motivo e’ infondato.

2.1. Ancorche’ proposto per la prima volta in sede di legittimita’, e’ rilevabile d’ufficio nel giudizio di cassazione, e quindi anche in assenza di uno specifico motivo di ricorso, la sussistenza della causa di non punibilita’ di chi ha commesso uno dei reati contro l’amministrazione della giustizia specificamente indicati dalla legge, e tra questi, come nel caso di specie, il reato di favoreggiamento personale, per esservi stato costretto dalla necessita’ di salvare un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella liberta’ o nell’onore. (Sez. 6, n. 9727 del 18/02/2014, Grieco, Rv. 259110).

2.2. La Corte intende aderire all’orientamento – reso in tema di favoreggiamento personale – secondo il quale la causa di esclusione della punibilita’ prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessita’ di salvare se’ stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella liberta’ o nell’onore opera anche nelle ipotesi in cui il soggetto agente abbia reso mendaci dichiarazioni per evitare un’accusa penale nei suoi confronti, ovvero per il timore di essere licenziato e perdere il proprio posto di lavoro, tutelando in tal modo l’esercizio sia del diritto di difesa che del diritto al lavoro, quali manifestazioni della liberta’ personale di ciascun individuo. (Sez. 6, n. 37398 del 16/06/2011, Galbiati e altro, Rv. 250878). E’ stato condivisibilmente osservato da detta decisione che la nozione di liberta’ tutelabile assunta dall’articolo 384 c.p., comma 1m quale elemento discriminante la responsabilita’ penale del favoreggiatore deve essere recepita nella sua piu’ lata interpretazione, includendo ogni forma di manifestazione della liberta’ individuale, come sembra potersi desumere dalla lettera della legge (articolo 384 c.p.) che non introduce alcuna particolare specificazione o selettivita’ della categoria concettuale (liberta’ nella pienezza della sua accezione). Cosicche’ – ha osservato la Corte – sembra arduo ipotizzare, pur senza incorrere in pleonastiche interpolazioni’ concettuali, che il lavoro, inteso come diritto ad una occupazione e come strumento di crescita della personalita’ individuale anche nei suoi aspetti di integrazione e interrelazione sociali, non possa reputarsi astrattamente sussumibile nell’ambito di esplicazione della “liberta’” personale di ciascun individuo. Ne’ in tale prospettiva e’ casuale il valore fondante riconosciuto al lavoro dalla Carta Costituzionale italiana (articoli 3, 35, 37 Cost. e ss.) e dagli stessi trattati fondamentali dell’Unione e della Comunita’ Europea (cfr.: Trattato istitutivo della Comunita’ Europea, Roma 1957, articolo 125: “Gli Stati membri e la Comunita’ si adoperano per sviluppare una strategia coordinata a favore dell’occupazione…”; articolo 136: “La Comunita’ e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali.,.hanno come obbiettivi la promozione dell’occupazione…Io sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazione elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione”; Carta dei diritti fondamentali della U.E., Nizza 2000: articolo 15: “Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata…”). Come ha, del pari condivisibilmente, osservato la decisione richiamata, un ausilio nella prefigurata impostazione interpretativa e’ offerto indirettamente dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa S.C. con cui e’ stato stabilito che e’ ravvisabile il reato di favoreggiamento nei confronti dell’acquirente di sostanze stupefacenti per uso personale che, escusso come persona informata dei fatti, si rifiuti di fornire alla P.G. informazioni sulle persone da cui ha ricevuto la droga, ferma restando, in tale ipotesi, l’applicabilita’ dell’esimente prevista dall’articolo 384 c.p., comma 1, “se, in concreto, le informazioni richieste possano determinare un grave e inevitabile nocumento nella liberta’ o nell’onore”. Nocumento che consiste anche, quanto al pregiudizio de libertate, nella prevedibile eventualita’ di “una grave compromissione della normale situazione esistenziale e lavorativa” dell’imputato di favoreggiamento, purche’ di siffatta compromissione siano acquisiti nel giudizio di merito adeguati elementi di prova (“in concreto”, affermano le Sezioni Unite) sulla situazione personale, favorativa, familiare e ambientate dell’imputato (Cass. S.U., 22.2.2007 n. 21832, Morea, rv. 236371).

2.3. Come gia’ si evince dalla ultima autorevolissima decisione, in tema di reati contro l’amministrazione della giustizia, l’esimente prevista dall’articolo 384 c.p., comma 1, non puo’ essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di un danno alla liberta’ o all’onore, in quanto essa implica un rapporto di derivazione del fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni che va rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile conseguenzialita’ e non di semplice supposizione. (Sez. 6, n. 10271 del 15/11/2012, Spano, Rv. 255716).

2.4. E, allora, la definizione della posizione processuale dei ricorrenti richiede che nel caso di specie sia emersa la effettiva situazione dei predetti ricorrenti rispetto all’addotto temuto pericolo di perdere il posto di lavoro nella officina del soggetto beneficiato dalle loro false dichiarazioni testimoniali, attraverso indicazioni relative alla natura del loro rapporto di lavoro, alle eventuali condotte poste in essere dal datore di lavoro nel loro confronti a seguito dei primi accertamenti, alle condizioni personali e familiari degli stessi ricorrenti.

2.5. A tal riguardo, osserva la Corte, alcunche’ e’ stato nemmeno dedotto nel giudizio di merito, risolvendosi il motivo di ricorso solo oggi proposto in una mera evocazione di principio sfornita di qualsiasi fondamento obiettivo.

3. Il ricorso del (OMISSIS) e’ infondato.

3.1. Il primo motivo e’ infondato avendo la Corte di merito correttamente rigettato la analoga eccezione sulla base della sua tardivita’ e, in ogni caso, avendo esplicato adeguatamente le proprie difese.

3.2. Il secondo motivo e’ inammissibile per genericita’ avendo la Corte di merito rigettato la analoga posizione difensiva sulla base della deposizione dell’operante (OMISSIS) che aveva dichiarato che entrambi gli extracomunitari parlavano perfettamente il “(OMISSIS)”, dialetto locale all’atto del controllo.

4. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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