Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 9 agosto 2016, n. 34765

Qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento concernente uno dei reati di cui all’articolo 266 del Cpp, i suoi esiti sono utilizzabili anche per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento, mentre nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso ab origine, l’utilizzazione è subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall’articolo 270 del Cpp, e, cioè, l’indispensabilità e l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 9 agosto 2016, n. 34765

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente
Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere
Dott. BASSI Alessandr – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
pubblico ministero presso il Tribunale di Roma nei confronti di:
(OMISSIS);
(OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 04/04/2016 del Tribunale di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo, quanto al ricorso del P.M., che il provvedimento impugnato sia annullato con rinvio limitatamente al peculato, con rigetto nel resto; quanto al ricorso di (OMISSIS), che il provvedimento sia annullato limitatamente alle esigenze cautelari, con rigetto nel resto del ricorso;
udito il difensore di fiducia di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza della 14 marzo 2016, il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma ha applicato nei confronti di (OMISSIS) ed (OMISSIS) la misura cautelare degli arresti domiciliari, quanto al primo indagato, in relazione alla contestazione provvisoria di plurimi episodi di falso in atto pubblico e truffa aggravata (per avere, piu’ volte ed in modo continuativo, con la collaborazione di altri pubblici dipendenti, fatto attestare falsamente la sua presenza presso il Policlinico (OMISSIS), cosi’ ingannando la pubblica amministrazione circa la sua presenza sul posto di lavoro e percependo ingiustamente pagamento delle giornate di lavoro nelle quali aveva falsamente attestato la sua presenza) nonche’ di peculato (per avere utilizzato l’automobile di servizio per scopi personali, diversi rispetto a quelli cui era deputata); quanto al (OMISSIS), in relazione alle contestazioni provvisorie di plurime condotte di falso in atto pubblico e di truffa aggravata (per avere, in piu’ occasioni con il concorso di altre persone, fatto attestare falsamente la sua presenza in ufficio e per aver indotto in errore la pubblica amministrazione circa la sua presenza al lavoro, conseguendo un ingiusto profitto per l’importo complessivo, non quantificato, delle giornate delle ore di lavoro indebitamente retribuite).
2. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Roma, sezione specializzata per il riesame, ha annullato l’ordinanza impugnata in relazione alle condotte di falso in atto pubblico ascritte rispettivamente a (OMISSIS) e (OMISSIS) (rispettivamente sub capi A, C, E, G ed I e sub capi M, O e MM) e sostituito nei confronti degli indagati la misura custodiale con quella interdittiva della sospensione dell’esercizio dal pubblico ufficio, previa riqualificazione di tutti i reati di peculato, rispettivamente contestati agli indagati in via provvisoria, nell’ipotesi del peculato d’uso ex articolo 314 c.p., comma 2.
2.1. A sostegno della decisione, il Collegio capitolino ha rilevato che secondo i principi espressi dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza n. 15983 del 2006 – il “cartellino marcatempo” ed il “foglio presenza” non costituiscono atti pubblici, essendo destinati ad attestare solo una circostanza materiale afferente al rapporto di lavoro tra lo stesso e la pubblica amministrazione.
2.3. Quanto alle imputazioni provvisorie di peculato, il Tribunale ha richiamato l’orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale l’uso dell’auto di servizio da parte dell’incaricato di un pubblico servizio per uno scopo diverso da quello istituzionale integra allorche’ sia raggiunta la soglia di rilevanza penale e, dunque, a condizione che possa ritenersi connotato da offensivita’ – il reato di peculato d’uso sanzionato dall’articolo 314 c.p., comma 2, ed, in tale senso, ha riqualificato le condotte contestate ai sensi dell’articolo 314 c.p., comma 1.
2.4. Confermato il giudizio di gravita’ indiziaria con riferimento agli episodi di truffa aggravata, il Tribunale ha stimato fronteggiabili le esigenze cautelari connesse al pericolo di reiterazione criminosa – desunto dal rilevato utilizzo continuativo a fini privati di beni pubblici e dall’accertata elusione fraudolenta del procedimento di controllo sul regolare adempimento dei propri doveri di pubblici dipendenti – anche con la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio per il periodo minimo previsto dal novellato articolo 308 c.p.p..
3. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso il pubblico ministero presso il Tribunale di Roma e ne ha chiesto l’annullamento per violazione di legge penale in relazione tanto alle ipotesi di falso ideologico, quanto a quelle di peculato. Il ricorrente evidenzia come – secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente – i cartellini marcatempo ed i fogli di presenza non abbiano l’unica funzione di dimostrare il rapporto di lavoro fra il pubblico dipendente e l’amministrazione, ma – concernendo l’organizzazione della P.A. – abbiano evidenti ed innegabili riflessi sulla sua funzionalita’ e siano strumentali al buon funzionamento dell’ufficio, di tal che deve ritenersi correttamente contestato il reato di falso in atto pubblico. In merito al secondo profilo di doglianza, la parte pubblica pone in luce come, secondo il piu’ recente insegnamento della Suprema Corte, l’utilizzo continuato dell’autovettura di servizio da parte di un pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che non ne abbia titolo integra l’ipotesi del peculato per appropriazione, ai sensi dell’articolo 314 c.p., comma 1 e non quella di peculato d’uso ritenuta sussistente dal Tribunale del riesame.
4. Ha proposto ricorso anche (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia Avv. (OMISSIS), ed ha chiesto l’annullamento del provvedimento per i seguenti motivi.
4.1. Violazione dell’articolo 273 c.p.p. ed omessa motivazione in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i residui reati di truffa; violazione dell’articolo 275, comma 2-bis cod. proc. pen. ed omessa motivazione in merito alla dedotta concedibilita’ della sospensione condizionale della pena; violazione dell’articolo 266 c.p.p. ed omessa motivazione in merito alla ritenuta utilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche per il reato di truffa aggravata. A sostegno di tali deduzioni, il ricorrente evidenzia come dai capi d’imputazione non sia dato di evincere quale sia stato il danno patrimoniale cagionato la pubblica amministrazione, sicche’ deve ritenersi mancante uno degli elementi costitutivi della fattispecie prevista dall’articolo 640 c.p., comma 2; come il Tribunale abbia completamente omesso di verificare l’applicabilita’ della sospensione condizionale della pena, trattandosi di condotte delittuose sviluppatesi per un arco temporale di meno di cinque mesi, con un ipotetico danno di poche migliaia di euro; come non possano essere utilizzate le intercettazioni disposte relazione al reato di peculato per il quale (OMISSIS) non e’ mai stato indagato.
4.2. Violazione dell’articolo 274 c.p.p., comma 1, lettera a) e c), e articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera d). Il ricorrente rileva che i fatti si sono protratti per cinque mesi e sono cessati da oltre due anni, nei quali non si e’ registrato “nulla di anomalo”; che il Giudice non ha indicato il termine di durata della misura ai sensi dell’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera d); che il termine delle indagini risulta verosimilmente scaduto; che la motivazione sulle esigenze cautelari e’ solo apparente.
5. Nella memoria depositata in cancelleria, nel chiedere il rigetto del ricorso del P.M., (OMISSIS) rileva, sotto un primo aspetto, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte espressa anche a Sezioni Unite, i cartellini marcatempo ed i fogli-presenza non costituiscono atti pubblici, con la conseguente impossibilita’ di configurare rispetto ad essi il reato di cui all’articolo 479 cod. pen.; sotto diverso aspetto, che – nel caso di specie – l’uso dell’autovettura e’ stato solo momentaneo e che, al suo utilizzo, ha sempre fatto seguito l’immediata e costante restituzione ai compiti propri della pubblica amministrazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. E’ fondato – nei termini di seguito esposti – il ricorso presentato dal P.M., mentre va rigettato il ricorso presentato da (OMISSIS).
2. Quanto al primo motivo di doglianza mosso dalla parte pubblica, il Collegio non puo’ non ribadire il principio di diritto ormai consolidato ed avallato anche dalle Sezioni Unite, alla stregua del quale non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volonta’ riferibili alla P.A. (Fattispecie in cui gli imputati, pubblici dipendenti, si erano allontanati dal luogo di lavoro senza far risultare tale allontanamento, non dovuto a ragioni di servizio, attraverso la prescritta marcatura del cartellino) (Sez. U, n. 15983 del 11/04/2006, Sepe ed altro, Rv. 233423; Sez. 5, n. 8426 del 17/12/2013 – dep. 21/02/2014, Rapicano e altri, Rv. 258987; Sez. 2, n. 5837 del 17/01/2013, Brignone, Rv. 255201).
3. Coglie, di contro, nel segno il secondo motivo di doglianza, con il quale il P.M. ricorrente denuncia l’erronea applicazione di legge penale in merito all’utilizzo continuativo e per usi privati dell’auto di servizio da parte dell’agente con qualifica di rilievo pubblicistico.
3.1. A tale proposito, ritiene il Collegio corretto – e, dunque, da ribadire anche nel caso di specie – l’insegnamento di recente espresso da questa Corte, alla stregua del quale integra il reato di peculato, e non gia’ quello di peculato d’uso, la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizza reiteratamente l’autovettura di servizio per finalita’ attinenti alla vita privata, atteso che tale condotta si risolve nell’appropriazione di un bene della pubblica amministrazione (In motivazione la Corte di cassazione ha precisato che si configura una condotta appropriativa ogni qual volta l’agente esercita sul bene un potere uti dominus tale da sottrarlo alla disponibilita’ dell’ente) (Sez. 6, n. 13038 del 10/03/2016, Bertin, Rv. 266191). Nella specie, non si e’ invero trattato di un uso sporadico da parte dell’indagato, bensi’ – come dato conto dal Tribunale nell’ordinanza in verifica – “dell’utilizzo, con frequenza giornaliera, di personale in servizio all’autoparco (autisti) per fini personali” e quindi dell’uso quotidiano dell’auto di servizio da parte di un soggetto, quale responsabile amministrativo dell’autoparco, non avente nessun titolo all’utilizzo del veicolo per gli spostamenti personali.
3.2. E cio’ a tacer del fatto che, nella specie, risulterebbe comunque integrato il peculato per appropriazione con riferimento al consumo del carburante, non essendo revocabile in dubbio che, in considerazione dell’uso quotidiano dell’auto di servizio per finalita’ squisitamente private, l’indagato abbia consumato una significativa quantita’ di carburante, arrecando un apprezzabile danno patrimoniale all’Amministrazione suscettibile di integrare la fattispecie in oggetto (Sez. 6, n. 35676 del 14/05/2015, Fumagalli, Rv. 265602).
4. Come anticipato, sono invece destituite di fondamento le doglianze mosse da (OMISSIS).
4.1. E’ inammissibile – per genericita’ – il primo profilo di doglianza in rito, con il quale il ricorrente ha eccepito l’inutilizzabilita’ delle intercettazioni in quanto disposte per un reato diverso da quello per il quale il ricorrente e’ indagato.
In linea generale, occorre rilevare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, sono sempre utilizzabili gli esiti delle intercettazioni autorizzate nel medesimo procedimento purche’ si tratti di reati per i quali le intercettazioni stesse avrebbero potuto essere autorizzate, cioe’ a condizione che ricorrano le condizioni ex articolo 266 c.p.p.. In particolare, costituisce principio di diritto acquisito quello secondo il quale, in tema di intercettazioni, qualora il mezzo di ricerca della prova sia legittimamente autorizzato all’interno di un determinato procedimento concernente uno dei reati di cui all’articolo 266 c.p.p., i suoi esiti sono utilizzabili anche per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento, mentre nel caso in cui si tratti di reati oggetto di un procedimento diverso ab origine, l’utilizzazione e’ subordinata alla sussistenza dei parametri indicati espressamente dall’articolo 270 c.p.p., e, cioe’, l’indispensabilita’ e l’obbligatorieta’ dell’arresto in flagranza (ex plurimis Sez. 6, n. 53418 del 04/11/2014, De Col e altri, Rv. 261838; Sez. 2, n. 1924 del 18/12/2015 – dep. 19/01/2016, Roberti e altri, Rv. 265989). In altri termini, una volta che le intercettazioni siano state ritualmente autorizzate, i relativi esiti sono utilizzabili anche per tutti gli altri reati relativi al medesimo procedimento, purche’, in relazione ad essi, il mezzo di ricerca della prova avrebbe potuto essere autonomamente disposto ai sensi del medesimo articolo 266 c.p.p..
4.2. Orbene, in ossequio a tali principi di diritto, nel caso sub iudice, e’ pacifica l’inutilizzabilita’ delle risultanze delle captazioni con riferimento al reato di truffa aggravata in danno dello Stato, che non e’ catalogabile tra i delitti contro la P.A. e che, in assenza di altre circostanze aggravanti a tal fine rilevanti, non rientra, quoad poenam, tra quelli per i quali l’intercettazione e’ consentita. (Sez. 6, n. 6296 del 18/01/2011, Iodice, Rv. 249327).
4.3. Cio’ nondimeno, la doglianza difensiva sviluppata sul punto si appalesa del tutto generica, la’ dove – limitandosi a formulare l’eccezione in due righe non esplicita se ed in relazione a quali aspetti il giudizio di gravita’ indiziaria per il reato de quo si sia poggiato sulle risultanze delle captazioni. Genericita’ che, secondo i principi generali in tema d’impugnazioni di cui all’articolo 591 c.p.p., riverbera in termini di inammissibilita’ del motivo.
D’altronde, come si evince dalla lettura di pagina 5 del provvedimento impugnato, i Giudici della cautela hanno fondato il presupposto di cui all’articolo 273 c.p.p. in relazione alle ipotesi delittuose elevate di via provvisoria nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di una pluralita’ di elementi, in particolare oltre che sulle intercettazioni – sulle attivita’ di osservazione e pedinamento e sulle risultanze degli accertamenti sulle celle telefoniche, stimate in termini convergenti dimostrative della induzione in errore della pubblica amministrazione circa la propria presenza in ufficio.
5. Altrettanto generico e, per tale ragione, anch’esso inammissibile e’ il rilievo col quale si e’ eccepita la genericita’ dell’imputazione ex articolo 640 c.p., essendosi il ricorrente limitato a dedurre il vizio senza esplicitare le ragioni per le quali l’incolpazione non consenta al destinatario del provvedimento coercitivo di conoscere le accuse a suo carico elevate e di difendersi compiutamente.
6. Infine, e’ destituita di fondamento l’ultima doglianza oggetto del primo motivo con il quale il ricorrente si duole dell’omessa valutazione della concedibilita’ della sospensione condizionale.
Giova rilevare come, a mente dell’articolo 275 c.p.p., comma 2 bis, “non puo’ essere applicata la custodia cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena”. Ne discende, quale logico corollario, che il Giudice della cautela – nella specie, il Tribunale del riesame – non e’ tenuto a svolgere alcuna motivazione sul punto nell’ipotesi in cui, come appunto nella specie, sia applicata una misura di natura non detentiva, in quanto non preclusa dalla prognosi circa l’applicabilita’ del beneficio di cui agli articoli 163 c.p. e seguenti.
7. Non colgono nel segno neanche le deduzioni in punto di esigenze cautelari, in quanto fondate su considerazioni connotate da genericita’ e comunque di puro merito. D’altronde, la’ dove il Tribunale ha motivato, con argomenti scevri da illogicita’ manifesta e dunque insindacabili nella sede di legittimita’, le ragioni per le quali abbia stimato sussistente, in termini di concretezza e di attualita’, il rischio di reiterazione criminosa, in considerazione della continuativa elusione delle procedure di controllo sul regolare adempimento dei doveri di pubblici dipendenti indicativa del malcostume nell’esercizio della pubblica funzione (v. pagina 7).
8. infine, costituisce principio di diritto ormai pacifico in giurisprudenza quello secondo il quale l’indicazione del termine di scadenza della misura coercitiva personale, prescritta dall’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera d, per il caso in cui le esigenze cautelari attengano al pericolo di inquinamento probatorio, non e’ necessaria quando concorrono anche esigenze diverse (da ultimo, Sez. 6, n. 1094 del 18/12/2015 – dep. 13/01/2016, De Gaetano, Rv. 265892).
9. Dal rigetto del ricorso consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

in accoglimento parziale del ricorso del P.M. annulla l’ordinanza nei confronti di (OMISSIS) in riferimento ai reati di peculato e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Roma; rigetta nel resto il ricorso del P.M.;

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