Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 16 novembre 2016, n. 48557

Esclusa la particolare tenuità del fatto per coltivazione di 10 piantine di cannabis.

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 16 novembre 2016, n. 48557

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CITTERIO Carlo – Presidente
Dott. COSTANZO Angelo – rel. Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/02/2015 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/09/2016, la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANGELO COSTANZO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ANIELLO ROBERTO, che ha concluso per rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 686 del 17/02/2015, la Corte di appello di Bologna ha ridotto la pena inflitta dal Tribunale di Rimini a (OMISSIS) Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, ex articolo 73, comma 5, per illecita coltivazione di 10 piante di cannabis indica con THC complessivo di gr. 0,010.

2. Nel ricorso presentato nell’interesse di (OMISSIS) si chiede l’annullamento della sentenza, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione: a) perche’ i risultati degli accertamenti chimico-tossicologici sono stati fallacemente valutati dalla Corte di appello, essendo stato considerato il THC complessivo (gr. 0,010) della sostanza lorda contenuta nelle 10 piante (dal peso complessivo di gr. 1,436), trascurando che da un accertamento specifico sul contenuto di THC in ciascuna pianta potrebbe risultare che nessuna e’, di per se’, in grado di fornire sostanza drogante, cosi’ mancando l’offensiva concreta della condotta, mentre e’ solo congetturale l’argomento per il quale, non essendo le piante ancora giunte a maturazione, la quantita’ di stupefacente avrebbe potuto accrescersi; b) per l’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche. Inoltre, si chiede che questa Corte ex articolo 131-bis c.p. dichiari la non punibilita’ dell’imputato per la particolare tenuita’ del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato. Per la punibilita’ della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti rileva la quantita’ complessiva di principio attivo prodotto, perche’ da questa deriva l’attitudine a produrre l’effetto stupefacente al quale si connette l’offensivita’ in concreto della condotta, intesa come effettiva e attuale capacita’ della sostanza (ricavata o ricavabil) a produrre un effetto drogante e come concreto pericolo di aumento di disponibilita’ dello stupefacente e di ulteriore diffusione dello stesso. L’offensivita’, anzi, non e’ esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, neppure quando risulti l’assenza di principio attivo ricavabile nell’immediatezza (nella fattispecie, comunque, presente), se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere, all’esito di un fisiologico sviluppo, quantita’ significative di prodotto dotato di effetti droganti, in quanto il “coltivare” e’ attivita’ che si riferisce all’intero ciclo evolutivo dell’organismo biologico (Sez. 6, n. 25057 del 10/05/2016, Rv. 266974; Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Rv. 266168).

2, Il secondo motivo di ricorso assume che la motivazione del diniego delle circostanze attenuanti generiche e’ solo apparente soprattutto perche’ trascura che la condotta si e’ risolta in una coltivazione domestica senza prova di immissione del prodotto sul mercato. Il riconoscimento delle attenuanti generiche e’ un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalita’ del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a fare emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato e alla personalita’ del reo (Cass. pen.: Sez.6, n.41365 del 28/10/2010, Rv.248737; Sez. 1, 46954 del 04/11/2004, Rv.230591). Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha adeguatamente esplicitato piu’ criteri di valutazione, aderenti alle specificita’ del caso concreto, che hanno condotto a non ravvisare i presupposti per l’applicazione dell’articolo 62-bis c.p.: “l’assenza di elementi positivi concretamente valutabili in tal senso”, i precedenti penali dell’imputato (alcuni dei quali specifici), “la mancanza di esigenze di adattamento della pena”. Pertanto, anche il secondo motivo di ricorso e’ infondato.

3. La richiesta di applicazione dell’articolo 131-bis c.p. fa leva sull’avere la Corte di appello adottato un trattamento sanzionatorio “spiccatamente ancorato ai minimi edittali”. La sentenza impugnata e’ stata emessa il 17/02/2015 2015 prima dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, avvenuta il 2 aprile 2015. Poiche’ ha natura sostanziale, l’istituto della esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto puo’ applicarsi ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 del 2015, compresi quelli pendenti davanti alla Corte di cassazione che puo’ rilevare di ufficio – ex articolo 609 c.p.p., comma 2, – la sussistenza delle condizioni per la sua applicazione, ma limitandosi, per la natura del giudizio di legittimita’, a un vaglio di astratta non incompatibilita’ della fattispecie concreta (come risultante dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali) con i requisiti ed i criteri indicati dall’articolo 131-bis c.p. e, se ravvisa la causa di non punibilita’, la dichiara d’ufficio, ex articolo 129 c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata ex articolo 620 c.p.p., comma 1, lett l), (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266594; Sez. 2, n. 41742 del 30/09/2015, Rv. 264596; Sez. 3, n. 15449 del 8/04/2015 2015 Rv. 263308; Sez. 4, 2n. 1474 del 22/04/2015 Rv. 263693).

La Corte d’appello ha confermato la valutazione del fatto come di “lieve entita’ – genere del quale la “particolare tenuita’” puo’ considerarsi una specie (Sez. 1, n. 27246 del 21/05/2015, Rv. 263925) – e ha espressamente ridotto la pena rideterminandola nel minimo edittale, ma non ha ravvisato le condizioni per riconoscere le circostanze attenuanti generiche. L’articolo 131-bis c.p. – che puo’ applicarsi solo quando in virtu’ del principio di proporzionalita’, la pena in concreto irrogabile risulterebbe inferiore al minimo edittale, determinato tenendo conto delle eventuali circostanze attenuanti – collega la “particolare tenuita’ del fatto” alle “modalita’ della condotta” e alla “esiguita’ del danno o del pericolo” “valutate ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1”. Nella fattispecie, la sentenza impugnata determina la pena nel minimo edittale, ma disconosce le circostanze attenuanti generiche cosi’ escludendo il presupposto di ogni possibile valutazione successiva in termini di particolare tenuita’ del fatto (Sez. 6, n. 44417 del 22/10/2015, Rv. 265065; Sez. 5, n. 39806 del 24/06/2015, Rv. 26531701). Risulta, inoltre, che l’imputato presenta precedenti penali, alcuni specifici. Ne deriva che egli ha commesso almeno due illeciti, oltre quello esaminato, e questo suo comportamento abituale osta, ex articolo 131-bis c.p., comma 1, alla configurabilita’ della causa di non punibilita’ (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 26659101; Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016, Rv. 26726201). Dai dati che precedono e dalle valutazioni dei giudici di merito deriva l’esclusione della compatibilita’ della fattispecie con i requisiti del fatto di “particolare tenuita’” (Sez. 4, n. 33821 del 01/07/2015, Rv. 264357).

4. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., il rigetto del ricorso impone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

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