Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 30 agosto 2016, n. 17405

La responsabilità del professionista non sussiste quando il cattivo esito dell’oggetto del contratto non va a buon fine per una responsabilità del paziente o, più in generale, del cliente

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI civile

ordinanza 30 agosto 2016, n. 17405

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25976/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1660/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA del 21/05/2014, depositata il 22/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del ricorrente che si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., la seguente relazione:
“1. Nel 2002 (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Venezia (OMISSIS), assumendo:
– di avere stipulato col convenuto, odontoiatra, un contratto di prestazione d’opera professionale, avente ad oggetto l’esecuzione di atre dentarie;
– che le cure erano state malamente eseguite dal professzonista;
– che a causa degli errori del medico aveva dovuto ricominciare daccapo l’intera cura. Chiese percio’ la risoluzione del contratto, la restituzione del corrispettivo e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.
2. Opponendosi il convenuto, il Tribunale di Venezia con sentenza n. 1111 del 2008 ngetto’ la domanda, ritenendo insussistente un valido nesso di causa tra l’opera del medico convenuto egli inconvenienti lamentati dall’attore.
La Corte d’appello di Venezia, adita da ambo le parti, con sentenza n. 1660 del 2014 rigetto’ sia il gravame principale che quello principale.
Tale sentenza e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS), sulla base di un solo motivo.
3. Con tale motivo di ricorso il ricorrente lamenta – in particolare – la violazione degli articoli 1218 e 2697 c.c.. Deduce che la Corte d’appello ha erroneamente posto a suo carico l’onere di provare l’esistenza del nesso di causa tra l’opera del professionista e l’insuccesso degli interventi protesici da questi eseguiti; soggiunge che nel giudizio di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale e’ onere del convenuto provare o che inadempimento non vi fu, ovvero che non esso fu la causa del danno lamentato dall’attore.
3.1. Il motivo e’ infondato.
Sebbene a p. 11 della sentenza la Corte d’appello affermi – erroneamente – che spetta al danneggiato l’onere di provare l’esistenza d’un nesso di causa tra il danno e l’opera del sanitario, alle successive pp. 12-13, con una seconda ed autonoma ratio decidendi, la Corte d’appello ha ritenuto in fiuto che la causa del fallimento delle cure eseguite dal convenuto non andasse ricercata nell’opera di questi, ma in pittori naturali (malocclusione) o nella condotta dello stesso paziente; ed ha soggiunto che in ogni caso il medico aveva agito con la (diligenza) prescritta dalle leges artis.
Quale che fosse la correttezza di tali statuizioni, esse per un verso costituiscono oggetto di una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di questa Code; e per altro verso non sono state nemmeno validamente censurate dal ricorrente.
4. Si propone pertanto il rigetto del ricorso”.
2. La parte ricorrente ha depositato memoria ex articolo 380 bis c.p.c., comma 2, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione.
Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dalla ricorrente nella propria memoria.
4. Deve, in primo luogo, escludersi che sia necessario disporre il rinvio della causa a nuovo ruolo, per consentire la discussione in pubblica udienza ex articolo 379 c.p.c., come invocato dal ricorrente a p. 9 della propria memoria.
Le questioni poste dal ricorso possono infatti agevolmente essere decise, per quanto si dira’, sulla base di una questione preliminare di rito, sicche’ non ha pregio il richiamo del ricorrente alla natura “rilevante” della materia.
Infatti quel che consente la decisione in camera di consiglio del ricorso, con le forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., non e’ la complessita’ della questione, ma la sua manifesta fondatezza od infondatezza, giusta la chiara previsione di cui all’articolo 375 c.p.c., n. 5.
Pertanto, anche a prescindere da qualsiasi giudizio circa la effettiva sussistenza nel caso di specie di una questione “complessa”, quel che rileva e’ stabilire se le questioni in diritto poste dal ricorrente siano o meno infondate in modo evidente: questione, per quanto si dira’, cui va data risposta affermativa.
4. Nel merito, il ricorrente con la propria memoria ex articolo 380 bis c.p.c., deduce che la Corte d’appello, addossandogli l’onere di provare la colpa del medico, avrebbe commesso un evidente errore di diritto, posto che l’articolo 1218 c.c., addossava tale prova al professionista convenuto.
Soggiunge che tale affermazione ha costituito l’unica ratio decidendi della sentenza impugnata, ed e’ stata validamente impugnata col ricorso per cassazione.
Nega, di conseguenza, che – cosi’ come rilevato nella relazione preliminare – la sentenza impugnata si fondasse su ulteriori ed autonome ragioni, non censurate dal ricorrente.
5. Queste allegazioni non possono essere condivise.
I provvedimenti giurisdizionali vanno esaminati nel loro complesso (e’ lo stesso ricorrente ad ammetterlo, a p. 10 della propria memoria).
Nel nostro caso la sentenza impugnata, dopo avere indicato le ragioni per cui doveva ritenersi incerto il nesso di causa tra l’opera del medico ed il danno (pp. 9-11), mette un punto fermo ed introduce un nuovo tema d’indagine, introdotto dalla congiunzione “peraltro” (p. 11), che per l’appunto ha il significato di “inoltre”, “per di piu'”, “aggiungasi che”.
La suddetta congiunzione avvia una serie di considerazioni in cui si afferma in sostanza che:
(a) la causa del danno non fu l’opera del medico, ma le condizioni pregresse del paziente;
(b) il medico, correttamente informando il paziente e segnalandogli i possibili rischi dell’intervento, tenne una condotta diligente (ibidem, p. 12).
Pertanto, quand’anche si affermasse erronea la statuizione secondo cui il nesso di causa era incerto e tale incertezza ridondava a sfavore dell’attore, le suddette affermazioni sarebbero di per se’ idonee a sorreggere comunque una sentenza di rigetto. E’ dunque evidente che esse non costituiscono obiter dicta, ma distinte ed autonome ragioni (ulteriori rispetto quelle enunciate a p. 11 della sentenza) che si sarebbero dovute impugnare autonomamente, e che non lo sono state.
6. Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate integralmente tra le parti, in considerazione dell’esito alterno delle consulenze d’ufficio nei gradi di merito, circostanza che di per se’ poteva incolpevolmente indurre il ricorrente a ritenere incerto l’esito del ricorso.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’articolo 380 c.p.c.:
(-) rigetta il ricorso;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio;

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