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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI

SENTENZA 28 ottobre 2015, n. 43464

Ritenuto in fatto

Con sentenza del 18.2.2015 la Corte di appello di Genova, a seguito di gravame interposto dall’imputato L.C. e dal P.M. avverso la sentenza emessa il 20.3.2012 dal locale Tribunale, in parziale riforma di detta decisione ha rideterminato la pena inflitta confermando la responsabilità dell’imputato in ordine ai reati di cui ai capi 1) artt. 61 n. 2,81 co. 2, 619 cod. pen. e 2) artt. 81, comma 2, 314 cod. pen. in relazione alla appropriazione di plichi postali e del loro contenuto.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato che, a mezzo del difensore, deduce:

2.1. Violazione ai sensi dell’art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni del teste di p.g. B.D. che, in quanto de relato e prive delle fonti di riscontro, dovevano ritenersi inutilizzabili ai sensi dell’art. 195, commi 4 e 5 cod. proc. pen., risultando insufficiente la motivazione resa sul punto dalla Corte che fa riferimento a notizie apprese dai responsabili della struttura, dei quali non v’è traccia, come pure alla testimonianza del teste R.F. , irrilevante e neanche pertinente all’oggetto della testimonianze del B. .

2.2. Vizio di illogicità della motivazione in ordine alla esclusione delle circostanze attenuanti generiche, già riconosciute in primo grado, sulla base della irrilevanza della missiva dell’imputato illogicamente ritenuta inincidente rispetto all’accertamento dei fatti; alla irrilevanza del risarcimento effettuato dall’imputato per il solo presunto grave danno all’immagine sofferto da Poste italiane; irrilevanza della condizioni di salute dell’imputato; precedenti penali dell’imputato, nonostante la loro notevole risalenza; costanza della condotta criminosa che tuttavia non ha definito il numero della condotte appropriative.

Considerato in diritto

Il ricorso è parzialmente fondato nei sensi che seguono.

Il primo motivo è inammissibile per genericità.

2.1. La Corte ha rigettato la doglianza difensiva proposta in appello sul rilievo – da un lato – che l’oggetto della testimonianza del B. – ancorché apprese dei responsabili della struttura – erano notizie di carattere generale e di comune dominio nell’ambito del luogo di lavoro e che – in ogni caso – analoghe informazioni le aveva direttamente fornite altro teste; dall’altro, ne ha affermato l’irrilevanza rispetto all’assenza di ricostruzione alternativa dei fatti da parte della difesa.

2.2. Pertanto, la doglianza non si confronta con il giudizio di resistenza operato dalla sentenza rispetto alla eventuale inutilizzabilità della testimonianza del B. , genericamente assumendo la irrilevanza dell’altra testimonianza assunta sul funzionamento delle operazioni e le mansioni svolte dall’imputato.

2.3. Ritiene, tuttavia, la Corte che il fatto sub 2) – sussunto nell’ambito del reato di peculato – debba essere diversamente qualificato, rientrando la questione sulla qualificazione giuridica del fatto nel novero di quelle su cui la Corte di Cassazione può decidere ex art. 609 comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 13387 del 16/05/2013, Rossi, Rv. 259730) purché la qualificazione operi entro i limiti in cui il fatto sia stato storicamente ricostruito dai giudici di merito (Sez. 1, n. 3763 del 15/11/2013, Rv. 258262).

2.4. È stato già affermato – con orientamento che il Collegio condivide – che non riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il dipendente dell’ente Poste italiane che opera nel reparto di smistamento della corrispondenza, con il compito di sopperire all’episodico malfunzionamento delle macchine, per la presenza di buste non regolamentari, sgualcite o male affrancate, poiché trattasi di attività di semplice esecuzione e di prestazioni meramente materiali, ordinariamente compiute dal sistema meccanizzato e prive di ogni carattere di discrezionalità o autonomia decisionale (Sez. 6, n. 5064 del 19/11/2013, Guarneri e altri, Rv. 258768) ed in applicazione del principio, la Corte ha riqualificato il fatto, definito nella sentenza impugnata come peculato, ‘sub specie’ di appropriazione indebita aggravata dall’abuso di relazioni d’ufficio. È stato condivisibilmente spiegato nella motivazione della richiamata decisione che “con la modificazione del testo dell’art. 358 c.p., introdotta dalla L. 26 aprile 1990, n. 96, art. 18, è stato escluso dall’attività di pubblico servizio lo ‘svolgimento di semplici mansioni di ordine’ e la ‘prestazione di opera meramente materiale’. In applicazione di tale innovazione, con cui il legislatore ha voluto espressamente restringere le qualifiche pubblicistiche rilevanti nei reati propri contro la pubblica amministrazione, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio l’impiegato dell’ente ‘Poste italiane’ addetto alla regolarizzazione, mediante affrancatura, dei bollettini dei pacchi da restituire al mittente, e alla tenuta di un apposito registro nel quale annotare i dati identificativi di ciascuna operazione, di attività di natura non meramente applicativa od esecutiva (cfr. Sez. 6, n. 39591 del 02/11/2010, Rv. 248532; Sez. 6, n. 37102 del 07/05/2004, Rv. 230374); il portalettere che si impossessi di un vaglia postale di cui abbia la disponibilità per ragioni del suo servizio, riscuotendone successivamente l’importo, assumendo egli la qualifica di incaricato di pubblico servizio in ragione dei compiti di certificazione della consegna e della ricezione della specifica tipologia di corrispondenza in oggetto (Sez. 6, n. 27981 del 12/05/2011, Rv. 250543); il dipendente dell’ente Poste che svolga mansioni di ‘cedolista’, in quanto tale attività comporta non solo mansioni d’ordine o prestazioni materiali come il trasporto dei dispacci, ma anche significativi compiti accessori quali quelli di apposizione di firma liberatoria di quanto ricevuto in consegna dalle ditte accollatane della corrispondenza speciale (Sez. 5, n. 22018 del 21/03/2003, Rv. 224671). La qualifica di incaricato di pubblico servizio, dunque, è stata riconosciuta alle figure di dipendenti dell’ente Poste italiane sempreché le attività esercitate siano connotate, in concreto, dall’esercizio di attività disciplinate nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza di poteri tipici di quest’ultima. Per volontà del legislatore vanno, invece, esclusi dal novero degli incaricati di pubblico servizio coloro che esplicano semplici mansioni d’ordine, vale a dire mansioni meramente esecutive, prive di qualsivoglia carattere di discrezionalità e di autonomia decisionale” richiamandosi precedente conforme decisione secondo la quale non riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il dipendente delle Poste italiane s.p.a. che risulti esclusivamente addetto, con mansioni di ‘ripartitore’, ad attività di mero smistamento della corrispondenza (Sez. 6, n. 46245 del 20/11/2012, Rv. 253505).

2.5. Nella specie, si versa – con ricostruzione incontroversa in fatto – nella analoga ipotesi di un soggetto – quale l’attuale imputato ricorrente – addetto alla lavorazione della Posta prioritaria presso il Centro di meccanizzazione postale di Genova – Aeroporto con le mansioni di smistamento e ripartizione dei plichi la cui attività, pertanto, rientra nelle sole mansioni esecutive e d’ordine, prive di qualsiasi carattere di autonomia e decisionalità.

2.6. La relativa condotta appropriativa deve, quindi, essere ricondotta alla meno grave ipotesi di cui all’art. 646 cod. pen. aggravata dall’abuso della relazione di ufficio e prestazione d’opera ai sensi dell’art. 61 comma 11 cod. pen..

2.7. Pertanto, la sentenza – previa riqualificazione del fatto di cui al capo 2) come appropriazione indebita aggravata e continuata – deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, che dovrà essere rideterminato alla stregua della predetta riqualificazione giuridica della condotta sub 2), con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova.

Il secondo motivo è assorbito dal precedente rilievo.

Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Riqualificato il fatto di cui al capo 2) come appropriazione indebita aggravata e continuata, annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e trasmette gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Genova per la determinazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso.

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