Cassazione10

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 7 gennaio 2016, n. 155

Ritenuto in fatto

1. M.F. , Mo.Ag. , M.G. , M.I.A. , M.G.L. , M.S.C. propongono ricorso per cassazione contro l’ordinanza della Corte di appello di Lecce del 7 marzo 2015, con la quale è stato rigettato l’appello contro il decreto del tribunale di Lecce del 15 febbraio 2012, con cui è stata disposta la confisca di alcuni beni nella disponibilità di M.F. , sebbene tutti di proprietà della moglie Mo.Ag. .
2. In primo luogo, i ricorrenti ribadiscono le due eccezioni di illegittimità costituzionale dell’articolo 12-sexies del decreto legge 306-1992, già proposte del procedimento numero 38.262-2015, in trattazione davanti a questa quinta sezione della suprema Corte in data odierna.
Con la prima eccezione deducono la violazione degli articoli 3, 42, 27 della costituzione, nella parte in cui non fissa un principio di corrispondenza tra la confisca e i beni riconducibili alla sola sproporzione, consentendo invece la confisca di tutti i beni del soggetto proposto o a lui riconducibili e dunque anche di quelli legittimamente acquisiti, contrariamente a quanto previsto per la confisca per equivalente. Con la seconda eccezione, sollevano la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 12-sexies nella parte in cui non fissa un termine entro il quale l’autorità proponente debba avanzare la propria richiesta di confisca.
3. In relazione al contenuto della decisione, sollevano i seguenti motivi di ricorso:
a. violazione degli articoli 187, 192 del codice di procedura penale, 936 del codice civile e 111 della costituzione con riferimento alla individuazione della proprietà dei beni richiamati nell’ordinanza ai numeri 14-27, totalmente privi di accatastamento e formale intestazione….
b. Violazione di legge con riferimento agli articoli 187-192 del codice di procedura penale, 521 dello stesso codice, con riferimento agli articoli 4 e 16 del decreto legislativo 159-2011, nonché con riferimento all’articolo 111 della costituzione in relazione gli indizi di appartenenza ad una associazione mafiosa.
c. Violazione di legge con riferimento agli articoli 192 del codice di procedura penale, 111 della costituzione, anche in relazione alle modalità di analisi scelte dalla Corte ed ai criteri utilizzati per la determinazione dei costi resisi necessari all’epoca per la costruzione dei beni, nonché al contrasto redditi-patrimonio.
d. Violazione degli articoli 192 del codice di procedura penale e 111 della costituzione, anche in relazione alle modalità di analisi scelte dalla Corte e per aver escluso la stessa dai redditi quelli scaturenti dall’attività di autodemolizione e vendita di pezzi di ricambio per auto.
4. Il procuratore generale presso questa suprema Corte, dottor Gaeta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
5. Il 18.11.2015 l’avv. Bellisario ha depositato memoria.

Considerato in diritto

1. Le conclusioni del procuratore generale vanno condivise quanto ad infondatezza dei ricorsi; deve preliminarmente dichiararsi la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità proposte. Sul punto, questa Corte si è già pronunciata (“È manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 42 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-sexies D.L. n. 306 del 1992, conv. con modd. nella L. n. 356 del 1992, nella parte in cui, a differenza di quanto previsto dall’art. 2-ter L. n. 575 del 1965, consente la confisca anche oltre il biennio dalla data di esecuzione del sequestro dei medesimi beni, nonché nella parte in cui, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, può disporsi la confisca di beni nella disponibilità del condannato a prescindere da qualsiasi nesso di pertinenzialità o cronologico con i delitti contestati ed anzi con l’onere di allegazione o dimostrazione probatoria a carico dello stesso condannato circa la liceità della provenienza. La diversità di disciplina del sequestro e della confisca dei beni nel processo penale, instaurato per l’accertamento della responsabilità dell’imputato in ordine ad uno dei delitti di cui all’art. 12-sexies predetto, rispetto alla parallela disciplina del sequestro e della confisca nel procedimento di prevenzione ex art. 2-ter L. n. 575 del 1965, è, infatti, giustificata dalla obiettiva disomogeneità, strutturale e funzionale, delle situazioni procedimentali considerate; né contrasta con i parametri costituzionali suindicati la ragionevolezza della presunzione di provenienza illecita dei beni patrimoniali, posto che l’elemento della “sproporzione” deve, comunque, essere accertato attraverso una ricostruzione storica della situazione dei redditi e delle attività economiche del condannato al momento dei singoli acquisti, il quale può esporre fatti e circostanza specifiche e rilevanti, indicando puntualmente le proprie giustificazioni (v. Corte cost. n. 18 del 1996)”; Sez. 1, n. 21357 del 13/05/2008, Esposito, Rv. 240091) per cui, non essendovi motivi per discostarsi dal precedente orientamento, si fa integrale rinvio alla relativa motivazione.
2. Va, poi, condiviso quanto affermato dal giudice di prime cure, il quale ha osservato che i principi costituzionali e quelli contenuti nella Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo non impongono che sia imposto un limite temporale alla possibilità di chiedere la confisca, né l’assenza di un tale limite appare irragionevole (considerata la particolare natura e finalità del procedimento di prevenzione) e tale da determinare una compromissione del diritto di difesa, nel fornire la prova di legittima provenienza dei beni. Invero, la difesa può ricorrere a qualsiasi mezzo di prova, non solo documentale, di cui a distanza di molti anni potrebbe essere non agevole il reperimento, ma anche a prove orali ed il giudice, nel valutare le stesse, deve tener conto delle difficoltà di fornire una prova precisa in relazione a redditi percepiti o a spese sostenute in anni assai risalenti. In ogni caso, la questione appare inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo, atteso che la difesa non ha addotto concrete e reali impossibilità di fornire la prova di specifici elementi e circostanze rilevanti a causa del tempo decorso.
3. Ciò premesso, va detto che il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato; in assenza di intestatari formali per alcuni degli immobili sequestrati, il giudice di merito ha fatto correttamente riferimento alle norme sull’accessione, essendo irrilevante il fatto che alcuni di questi beni siano attualmente occupati da soggetti terzi, in quanto il provvedimento ablativo non può che essere indirizzato contro colui che ne risulta formale intestatario e quindi, in assenza di un titolo autonomo ed idoneo di proprietà dell’immobile, al proprietario del terreno su cui esso sorge, ai sensi dell’articolo 934 del codice civile; l’art. 936 c.c., d’altronde, non introduce una ipotesi di trasferimento od acquisizione a titolo originario, ma semplicemente una ipotesi di regolamentazione dei rapporti tra il proprietario ed il terzo costruttore. L’accusa, pertanto, null’altro doveva provare in merito alla riconducibilità degli immobili alla Mo. , specie in mancanza di accatastamento e dunque di formale intestazione dei beni. Perciò ben ha fatto la Corte d’appello a dichiarare inammissibile il ricorso dei terzi, in quanto non avevano provato di aver alcun diritto reale sull’immobile, validamente acquisito tramite atto scritto e con data certa. D’altronde, l’acquisto per accessione delle opere in favore del proprietario del suolo, ai sensi dell’art. 934 cod. civ., si realizza istantaneamente, senza che occorra alcuna manifestazione di volontà di questo volta a ritenere quanto edificato sul proprio terreno (Sez. 2, Sentenza n. 11742 del 15/05/2013, Rv. 626227) ed “È legittima la confisca di un fabbricato costruito su un terreno sottoposto a sequestro e poi a confisca, ancorché non menzionato nell’originario provvedimento di sequestro e nel successivo provvedimento di confisca, in quanto, in virtù del principio di accessione, i beni costruiti sul fondo appartengono al relativo proprietario, con la conseguenza che l’edificazione di un nuovo fabbricato resta automaticamente esposta alla misura patrimoniale che colpisce il bene principale, senza che ciò comporti alcun peggioramento della misura in atto”; cfr. sez. 5, n. 44994 del 27/10/2011 – dep. 02/12/2011, Albanese, Rv. 251442). In più, già il giudice di prime cure diceva che l’affermazione che gli immobili sarebbero stati realizzati dai figli era generica ed apodittica e che risultava, invece, che era stato M.F. il committente delle opere relative alla costruzione degli immobili (cfr. pag. 7), così difettando lo stesso presupposto di fatto su cui si fonda la censura.
4. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si eccepisce la violazione dell’articolo 521 del codice di procedura penale, in considerazione del fatto che la proposta originaria indicava quale fonte della pericolosità sociale qualificata l’appartenenza di M.F. ad un sodalizio criminale di tipo mafioso, mentre la Corte di merito ha confermato la confisca sulla base di una pericolosità generica, sia sufficiente rammentare che, per costante giurisprudenza, ciò non viola il principio di correlazione: “Nel procedimento di prevenzione, non viola il principio di correlazione tra contestazione e pronuncia, ritenere sussistente la pericolosità generica in luogo di quella qualificata originariamente ipotizzata, purché sugli elementi fattuali fondanti la decisione sia stato garantito il contraddittorio” (Sez. 1, n. 32032 del 10/06/2013 – dep. 23/07/2013, De Angelis, Rv. 256451). Nel caso di specie, non vi è stata, da parte dei ricorrenti, alcuna specifica contestazione circa asserite lesioni del contraddittorio.
5. Il terzo motivo di ricorso censura il provvedimento in relazione alle modalità di analisi ed ai criteri utilizzati per la determinazione dei costi di costruzione, in relazione ai redditi del nucleo familiare; trattasi di censura attinente a valutazioni di merito operate dalla Corte e corredate di idonea motivazione ed in ogni caso non si versa nel caso di motivazione inesistente o meramente apparente, che solo legittima la censura motivazionale in sede di legittimità contro i provvedimenti cautelari di natura reale. Ciò che, in concreto, ottengono ottenere i ricorrenti è la richiesta di nuova valutazione di elementi di fatto con riferimento ai costi di costruzione ed ai risparmi ottenuti mediante l’attività diretta dei membri della famiglia, ma la sede di legittimità non è il luogo opportuno per contestazioni di merito, tanto più se ancorate a valutazioni di tipo tecnico confluite in una perizia.
6. Infine, è inammissibile anche l’ultimo motivo di ricorso, relativo alla esclusione dai redditi di lecita provenienza e di quelli scaturenti dall’attività di autodemolizione e vendita di pezzi di ricambio per auto; sul punto è lo stesso ricorso a riconoscere come la suddetta attività non abbia alcun corredo documentale e che pertanto la circostanza, che è stata peraltro adeguatamente valutata nella opportuna sede di merito, non possa essere oggetto di adeguata valutazione nell’ambito dei parametri di valutazione relativi ai redditi leciti familiari.
7. In conclusione, considerato che la sentenza di annullamento ha censurato esclusivamente la mancanza di motivazione su alcuni redditi del nucleo familiare, senza individuare violazioni di legge nelle modalità di calcolo e considerato altresì, da un lato, che la Corte ha rimediato a tali omissioni, motivando in modo specifico sui predetti redditi, dall’altro, che il ricorso per cassazione contro i provvedimenti cautelari di natura reale non può essere dedotto per vizi della motivazione (peraltro esistente e priva di vizi logici), ne consegue, sotto il primo profilo, la infondatezza del ricorso e la inammissibilità dello stesso nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione, non prospettabile in questa sede. Ne consegue che i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti alle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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