Cassazione 6Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza 7 gennaio 2016, n. 98

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa in data 13/12/2011, la Corte d’appello di Genova ha confermato la decisione in data 10/3/2011 con la quale il Tribunale di Genova ha condannato V.M. alla pena di giustizia, in relazione ai reati di violenza sessuale, violenza privata e lesioni personali, commessi, ai danni di S.S. , in (…), dall'(omissis) del (omissis).
Su ricorso dell’imputato, con sentenza in data 29/1/2013, la terza sezione della Corte di cassazione ha annullato la sentenza d’appello per vizio di motivazione, evidenziando come la corte territoriale avesse riconosciuto l’attendibilità della persona offesa sulla base di criteri illogici e privi di fondamento, omettendo altresì di confrontarsi con il complesso delle argomentazioni esplicitamente dedotte dalla difesa a sostegno della ritenuta inattendibilità del racconto della vittima.
Con sentenza resa in data 5/2/2015, la corte d’appello di Genova, giudicando in sede di rinvio, ha confermato la decisione di condanna emessa dal primo giudice.
2. Avverso la sentenza del giudice del rinvio, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, dolendosi della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte d’appello di Genova, per aver confermato in sede di rinvio la condanna del V. originariamente pronunciata dal primo giudice, omettendo di confrontarsi correttamente con il complesso delle circostanze di fatto evidenziate dalla corte di cassazione in sede di annullamento (e analiticamente riproposte nel corpo dell’odierno ricorso), idonee a compromettere l’effettiva credibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, in tal modo pervenendo a un giudizio di attendibilità complessiva della S. sulla base di un percorso motivazionale del tutto illogico e contraddittorio.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver illogicamente negato il riconoscimento, in favore dell’imputato, della circostanza attenuante tipica della provocazione della persona offesa, di cui all’art. 62, n. 2, c.p., nonché delle circostanze attenuanti generiche.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato.
Osserva il collegio come, diversamente da quanto asserito dall’odierno ricorrente, il giudice del rinvio abbia raggiunto la conclusione, circa l’inequivocità del compendio probatorio complessivamente acquisito sul tema della responsabilità dell’imputato (in relazione a tutti i reati allo stesso ascritti dal giudice di primo grado), a seguito di un’analitica disamina della serie di circostanze di fatto, già richiamate dalla corte di legittimità in sede di annullamento, in relazione alla questione dell’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa; dichiarazioni di cui il giudice del rinvio ha coerentemente e congruamente evidenziato gli aspetti di soggettiva e oggettiva credibilità, sì da escludere che gli apporti argomentativi offerti dalla difesa siano valsi a giustificare il riconoscimento di una chiave interpretativa delle stesse idonea a screditarne il valore.
E invero, con motivazione elaborata con persuasiva coerenza, la corte d’appello genovese, dopo aver provveduto all’integrazione dell’istruttoria attraverso l’escussione della vittima, ha sottolineato come gli elementi di valutazione ricavati da tale incombente avessero consentito di pervenire a una migliore collocazione e comprensione dei fatti oggetto del processo, con il conseguente chiarimento di ciascuno dei punti ritenuti ancora controversi, secondo la sentenza di annullamento del giudice di legittimità, a seguito dell’emissione dell’originaria sentenza d’appello.
In particolare, il giudice del rinvio ha sottolineato come non potesse definirsi in alcun modo singolare la decisione della S. di passare la sera del (omissis) in casa con l’imputato (con il prevedibile rischio di eventuali aggressioni), evidenziando come il ritorno in casa della donna trovasse spiegazione nella circostanza che quella fosse la sua abitazione, alla quale ella tornava ogni sera, pur essendo stata programmata una prossima separazione dei due coniugi e malgrado la S. avesse già subito violenza da parte del marito. Sul punto, la corte ha evidenziato come non apparisse affatto irragionevole che una donna si determinasse ad abbandonare la casa coniugale (non già dopo una prima violenza da parte del compagno, bensì) solo dopo aver subito numerosi aggressioni, allorché la soglia di tollerabilità della situazione (dipendente da diverse circostanze della vita e dalla diversa personalità degli interessati) non fosse dalla stessa ritenuta ancora irrimediabilmente travalicata.
Sotto altro profilo, con riguardo alla questione concernente i contenuti del referto del pronto soccorso acquisito agli atti del giudizio (che la corte di legittimità ha sottolineato come privo di riferimenti a tracce di violenza nelle parti intime della vittima), la corte d’appello di Genova ha evidenziato come il documento acquisito in sede processuale fosse mancante dei dati concernenti il referto relativo alla visita ginecologica che proprio il pronto soccorso ebbe a prescrivere alla S. : integrazione colmata in sede di rinvio, attraverso la fotocopia del referto redatto dalla dottoressa W.F.Y. , dalla quale emerge la descrizione di tracce pienamente compatibili con la manipolazione violenta subita ad opera dell’imputato, secondo i termini della denuncia della vittima.
Sul punto, la corte genovese ha ritenuto assai meno rilevante l’assenza di tracce di lesioni al collo, avendo la parte offesa ridimensionato in sede di esame l’episodio originariamente narrato al pubblico ministero, essendosi in tal caso trattato di una mera compressione, i cui segni ebbero a scomparire dopo poche ore, a dimostrazione del carattere più contenuto della violenza esercitata, senza nulla togliere alla circostanza del vissuto emotivamente più intenso della vittima a breve distanza dal fatto, tenuto altresì conto della riscontrata presenza di tracce di violenza all’interno delle cosce della donna, correttamente ritenute dal giudice di primo grado del tutto compatibili con il racconto reso dalla vittima.
In modo del tutto congruo, sul piano logico, e coerente in termini argomentativi, la sentenza impugnata ha quindi sottolineato come la prova diretta delle lesioni nelle parti intime relativamente all’episodio del novembre del 2008, manifestasse necessariamente una non trascurabile efficacia (sul piano dell’attendibilità della persona offesa) in relazione anche agli altri episodi narrati dalla donna (pur privi di riscontri diretti), attesa la sostanziale sovrapponibilità delle modalità di esecuzione delle aggressioni denunciate in ciascuna delle diverse circostanze, ed avuto riguardo al significativo rilievo dei riscontri indiretti e delle condotte violente o persecutorie poste in essere dall’imputato successivamente ai fatti, tanto nei confronti della vittima, quanto in relazione alla madre di questa.
Ciò posto, del tutto plausibilmente la corte territoriale ha sottolineato come la lunga relazione intercorsa tra la S. e l’imputato avesse inevitabilmente generato passioni contrastanti nel vissuto emotivo della donna, tali da rendere difficile e travagliata la scelta di accusare il proprio coniuge, esponendolo al rischio di una sanzione penale: premessa alla luce della quale andavano necessariamente esaminate le contraddizioni, più apparenti che reali, denunciate dall’imputato e richiamate dal giudice di legittimità nella sentenza di annullamento.
Da questa prospettiva, la corte d’appello di Genova ha escluso che le cosiddette dichiarazioni “a rate” rese dalla vittima ne potessero inficiare la rilevante attendibilità, attesa la sostanziale immediatezza della denuncia, rispetto all’aggressione subita in data (omissis), non potendosi pretendere completezza e lucidità in un contesto emotivo così compromesso dalla vicinanza dei fatti e ulteriormente aggravato dalle minacce dell’imputato di divulgare nell’ambiente di lavoro della vittima l’infedeltà coniugale contestatale dal marito.
Al riguardo, appare del tutto coerente, con tale impostazione interpretativa, la maggiore completezza e il dettaglio che ebbero a caratterizzare la successiva denuncia scritta del (omissis) , redatta con la collaborazione di un professionista, in un contesto cronologicamente più distante dai fatti traumatici subiti, e certamente più sereno in considerazione dell’intervenuta separazione di fatto tra i due coniugi: denuncia, contenente peraltro un nucleo sostanzialmente comune alla prima, con divaricazioni minime, verosimilmente dovute ai tortuosi percorsi della memoria e non già ad una consapevole scelta della vittima.
Quanto al punto concernente il mancato approfondimento, denunciato dal giudice di legittimità, dell’asserita superiorità o aggressività della vittima, rispetto alla persona dell’imputato, il giudice del rinvio ha persuasivamente e logicamente sottolineato come, pur quando la vittima avesse dimostrato di essere una persona certamente non succube al marito, con una personalità evidentemente più spiccata o narcisista, tale circostanza non poteva in ogni caso ritenersi incompatibile con le dinamiche sottese ai fatti denunciati; al contrario, le violenze compiute dall’uomo dovevano ritenersi il frutto evidente della sua frustrazione nei confronti di una donna percepita a lui superiore, incline a preferire la compagnia di un uomo più giovane, in un crescendo di sensazione di inadeguatezza e di incontrollabile gelosia.
La stessa decisione della donna di recarsi al lavoro la mattina successiva alla grave violenza subita non deve ritenersi incongruente, secondo l’argomentata e logica spiegazione fornita dal giudice del rinvio, avendo la vittima semplicemente preferito fuggire dalla casa dove il marito l’aveva percossa e violentata nel corso della notte, e dove, al mattino, continuava a minacciarla e blandirla, alternando gesti rabbiosi a pianti ossessivi; dovendo in tal senso ritenersi pienamente comprensibile che l’unico pensiero in quel momento seguito dalla donna fosse quello di fuggire altrove, trovando ricovero sul lavoro, presso quelle colleghe in parte informate delle sue vicende, che, come in passato, le erano state vicino, consigliandola.
4. Deve pertanto ritenersi, una volta rilevata la coerenza logica e la congruità argomentativa del percorso motivazionale elaborato dal giudice del rinvio, come le proposte reinterpretative dell’odierno ricorrente altro non siano che mere prospettazioni di un’alternativa rilettura del complessivo compendio probatorio acquisito, come tale inammissibilmente sottoposto all’esame di questa corte di legittimità.
Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n. 46/2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valu-tazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893).
Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n. 35683/2007, Rv. 237652).
Sotto altro profilo, con riguardo alla valutazione e all’interpretazione delle risultanze testimoniali esaminate dai giudici del merito – di cui il ricorrente contesta la correttezza -, osserva il collegio come secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della correttezza e della logicità della motivazione della sentenza, non occorre che il giudice di merito dia conto, in essa, della valutazione di ogni deposizione assunta e di ogni prova, come di altre possibili ricostruzioni dei fatti che possano condurre a eventuali soluzioni diverse da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è indispensabile che egli indichi le fonti di prova di cui ha tenuto conto ai fini del suo convincimento, e quindi della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato (cfr. Cass., Sez. 1, n. 1685/1998, Rv. 210560; Cass., Sez. 6, n. 11984/1997, Rv. 209490), sempre che non emergano elementi idonei a sostanziare la ragionevolezza del dubbio in ordine alla responsabilità dell’imputato: evenienza plausibilmente del tutto esclusa nel caso di specie.
Tali principi, in particolare, appaiono coerenti con il circoscritto orizzonte riservato all’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento.
Conviene sul punto insistere nel rilevare l’estraneità, alle prerogative del giudice di legittimità, del potere di procedere a una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (v. Cass., Sez. Un., n. 6402/1997, Rv. 207944, ed altre di conferma).
In altri termini, una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di cassazione prendere in considerazione, sub specie di vizio motivazionale, la diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente secondo il proprio soggettivo punto di vista (Cass., Sez. 1, n. 6383/1997, Rv. 209787; Cass., Sez. 1, n. 1083/1998, Rv. 210019).
Deve, pertanto, concludersi che la motivazione elaborata dalla corte territoriale, sul punto relativo all’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa in relazione alla commissione dei reati di violenza sessuale, violenza privata e lesioni personale ascritti all’imputato, valga a confermare la corretta ricostruzione del giudizio di responsabilità dello stesso, con la conseguente conferma della relativa condanna, così come pronunciata nella sentenza impugnata.
5. Del tutto prive di fondamento devono, da ultimo, ritenersi le censure sollevate dal ricorrente con riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti della provocazione (art. 62, n. 2, c.p.) e quelle generiche di cui all’art. 62-bis, c.p., avendo la corte territoriale correttamente rilevato, con motivazione immune da vizi d’indole logica o giuridica, come il preteso tradimento della donna con un uomo più giovane (individuato dall’imputato come fonte dell’asserita provocazione) fosse comunque noto al V. già prima dei fatti di causa, dovendo pertanto ritenersi che l’assenza di contestualità tra le azioni delittuose e l’asserito fatto ingiusto dimostri che il movente delle aggressioni vada identificato, non già con la presunta infedeltà della donna, bensì con la frustrazione dell’imputato derivante dall’evidente intenzione della moglie di lasciarlo: premessa da cui discende l’accertamento dell’insussistenza di alcuna reazione immediata a un tradimento, e, per converso, il riscontro di una pluralità di condotte dell’imputato, anche anteriori o molto successive alla conoscenza del preteso tradimento, causate da frustrazione e da senso d’inferiorità o inadeguatezza.
Allo stesso modo, ai fini della valutazione fermata sul possibile ricorso di eventuali circostanze attenuanti generiche, la corte territoriale ha evidenziato come dall’istruttoria non fosse emerso alcun elemento positivo valutabile in modo favorevole per l’imputato, a fronte dell’estrema gravità dei fatti accertati (anche in ragione della relativa ossessiva reiterazione) e del successivo comportamento processuale del V. , giunto fino al punto di compromettere, con intimidazioni, la libertà di determinazione di una testimone.
6. All’accertamento dell’infondatezza delle censure sollevate dal V. segue a pronuncia de, rigetto de, ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

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