cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 28 ottobre 2015, n. 43488

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo Antonio – Presidente

Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – rel. Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Orvieto;

nel procedimento nei confronti di:

(OMISSIS), nata ad (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/4/2013 del Tribunale di Orvieto;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PISTORELLI Luca;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DELEHAYE Enrico, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. Con la sentenza impugnata il Tribunale di Orvieto ha dichiarato non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di (OMISSIS), imputata per i reati di minaccia, ingiuria e percosse, nonche’ di (OMISSIS), imputato per quello di lesioni personali, previa esclusione delle aggravanti di discriminazione razziale e dell’uso di armi, rispettivamente contestate in riferimento ai primi due reati addebitabili alla (OMISSIS) e a quello attribuito al (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Orvieto deducendo errata applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta insussistenza delle due aggravanti. Quanto a quella dell’odio razziale il ricorrente evidenzia come la stessa riguardi anche l’ipotesi della discriminazione etnica e sussista a prescindere dalle finalita’ perseguite dall’agente. Con riguardo all’aggravante di cui all’articolo 585 c.p., il ricorrente obietta come la stessa non dipenda dalla natura dell’oggetto utilizzato per offendere, bensi’ dalla sua destinazione funzionale, dovendosi dunque l’aggravante in questione ritenersi integrata anche attraverso l’utilizzo di un pezzo di legno da ardere come nel cado di specie.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. Il ricorso e’ fondato.

2. Quanto all’aggravante di cui alla Legge n. 122 del 1993, articolo 3, va ricordato che essa e’ configurabile quando la condotta dell’agente si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorita’ di una sola razza, etnia o nazione (Sez. 5 , n. 49694 del 29 ottobre 2009, B. e altri, Rv. 245828), quando cioe’ l’azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, nel contesto in cui e’ maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l’origine etnica o nazionale e cioe’ di un sentimento immediatamente percepibile come connaturato alla esclusione di condizioni di parita’ (Sez. 5 , n. 11590 del 28 gennaio 2010, P.G. in proc. Singh, Rv. 246892).

2.1. In tale prospettiva e’ vero, come sostenuto dal ricorrente, che non assume rilievo la mozione soggettiva dell’agente, ma nel senso che una volta oggettivatasi la finalita’ in un consapevole comportamento esteriore non e’ necessaria alcuna indagine su quest’ultima. In altri termini, qualora l’agente nel commettere il reato scelga consapevolmente modalita’ fondate sul disprezzo razziale deve ritenersi che lo stesso persegua la finalita’ che caratterizza l’aggravante in questione a prescindere dal movente che ha innescato la condotta e che puo’ essere anche di tutt’altra natura. In definitiva l’aggravante sussiste allorquando risulti che il reato sia stato oggettivamente strumentalizzato all’odio o alla discriminazione razziale, etnica o nazionale (Sez. 5 , n. 30525 del 4 febbraio 2013, Del Dotto, Rv. 255558).

2.2. Sul punto il Tribunale ha altresi’ errato nel circoscrivere la portata del dettato normativo alla discriminazione razziale, quando il Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 3, chiaramente configura l’aggravante di cui si tratta anche in riferimento ai fatti espressivi di odio e di discriminazione etnica, nazionale o religiosa.

2.3. Nel caso di specie, dunque, il ricorso ad espressioni come “marocchino di merda” o “immigrati di merda” con cui l’imputata avrebbe accompagnata le condotte addebitategli, al di la’ del loro intrinseco carattere ingiurioso, denota l’orientamento dei fatti, rivelando l’inequivoca volonta’ di discriminare la vittima del reato in ragione della sua appartenenza etnica o nazionale.

3. Quanto al reato di lesioni parimenti erronea e’ l’esclusione dell’aggravante di cui all’articolo 585 c.p., atteso che il pezzo di legno brandito dall’imputato e’ stato utilizzato come oggetto contundente rimanendone dimostrata la sua idoneita’ offensiva e dunque la sua doverosa classificazione come arma impropria nel senso accolto dalla disposizione citata (Sez. 5 , n. 4405/09 del 5 dicembre 2008, P.G. in proc. Ramaj, Rv. 242617).

4. Ricorrendo le aggravanti contestate era dunque irrilevante, ai sensi del Decreto Legge n. 122 del 1993, articolo 6, la mancata presentazione della querela da parte delle persone offese per i reati di ingiuria, minaccia e lesioni, con la conseguenza che illegittimamente il Tribunale ha prosciolto gli imputati per difetto di una condizione di procedibilita’. La sentenza deve dunque essere annullata limitatamente ai reati sunnominati con rinvio al Tribunale di Terni per nuovo esame.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di terni per nuovo esame.

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