Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 24 febbraio 2016, n. 7244

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio – Presidente

Dott. BRUNO Paolo Antonio – Consigliere

Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 9715/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del 05/12/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/07/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PEZZULLO Rosa;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. SELVAGGI Eugenio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore della parte civile, (OMISSIS), avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto del ricorso, come da conclusioni scritte depositate unitamente alla nota spese;

udito il difensore dell’imputato, avv.to (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi al ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5.12.2013 la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale in data 23.12.2010, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per il residuo reato di diffamazione cui al capo b), perche’ estinto per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili della sentenza appellata.

1.1. Al (OMISSIS) era stato contestato, con la suddetta imputazione, di aver rilasciato alla stampa le dichiarazioni riportate da alcuni quotidiani (dal (OMISSIS) e da (OMISSIS) dell'(OMISSIS), nonche’ dall’Ansa il 10.11.2005), con le quali rivolgeva a (OMISSIS), conduttore televisivo, tra l’altro, gli epiteti “demente”, “quaraqua’ “, “frocio”, “servo di (OMISSIS) e (OMISSIS)”. In particolare, l’imputato, il 9.10.2005, aveva verbalmente aggredito a piazza (OMISSIS), la parte offesa – per avere quest’ultima, durante la conduzione della trasmissione (OMISSIS), andata in onda quello stesso giorno, criticato le trasmissioni condotte dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), dei quali il (OMISSIS) era agente – ingiurandolo tra l’altro con le espressioni indicate, specificate nel capo di imputazione sub A) (capo dal quale e’ stato, poi, assolto in quanto non punibile per aver agito in stato d’ira); il giorno successivo, l’imputato aveva rilasciato alla stampa dichiarazioni del medesimo contenuto oggetto della contestazione di cui capo b).

2. Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando: la nullita’ della sentenza, ai sensi dell’articolo 606 codice procedura penale, comma 1, lettera b) ed e), per mancanza contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, non considerando che nella fattispecie in esame vi sarebbero tutti gli estremi per ravvisare le ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui all’articolo 129 codice procedura penale; in particolare, l’imputato e’ stato assolto dal reato di ingiuria (ex articolo 594 codice penale) in danno di (OMISSIS), per aver tenuto il comportamento contestato al capo A) in occasione dell’incontro a (OMISSIS), a (OMISSIS), agendo nello stato d’tra determinato dal fatto ingiusto altrui, ai sensi dell’articolo 599 codice penale, comma 2, individuato nella condotta tenuta dalla p.o. nel corso della trasmissione (OMISSIS), per aver rivolto critiche e rilievi faziosi nei confronti di personaggi dello spettacolo, tra cui (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), dei quali il (OMISSIS) era procuratore, mentre analoga valutazione non e’ stata effettuata per il delitto di diffamazione del (OMISSIS), per le espressioni in contestazione pronunciate il giorno successivo; tale valutazione non e’ corretta, facendo riferimento ad un automatismo del tutto arbitrario e illogico, dell’immediatezza della reazione, analizzandolo sotto il mero profilo temporale, laddove il concetto di immediatezza, espresso dall’articolo 599 codice penale, comma 2, con la locuzione avverbiale “subito dopo”, in presenza di un nesso eziologico tra fatto ingiusto e stato d’ira, deve essere interpretato in relazione a ciascuna fattispecie, tenendo necessariamente conto di una serie di fattori emotivi e non; dunque, non appare logica e conforme alla ratio dell’articolo 599 codice penale, la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, valorizzando il dato temporale, attribuisce alle dichiarazioni rese dal (OMISSIS), il giorno successivo all’episodio oggetto di giudizio, la veste e di una “mera ritorsione vendicativa”, escludendo per tale ragione l’applicabilita’ dell’esimente dell’articolo 599 codice penale, comma 2; l’esimente de qua e’ applicabile anche nel caso in cui la reazione dell’agente sia diretta nei confronti del provocatore in un tempo anche successivo al fatto ingiusto e non immediatamente contestuale, di guisa che la reazione dell’imputato, verificatasi il giorno successivo, rientra in pieno nel concetto di “immediatezza”, cosi’ come interpretato all’unanimita’ dalla giurisprudenza; inoltre, la sentenza impugnata incorre in un evidente travisamento del fatto e in un omesso esame di una prova rilevante nella parte in cui fa riferimento a delle dichiarazioni virgolettate e ricondotte dalla giornalista direttamente alla paternita’ del (OMISSIS), senza considerare che la testimone (OMISSIS), autrice di uno degli articoli incriminati, non e’ stata assolutamente in grado di riportare con sicurezza se quanto pronunciato dal (OMISSIS) fosse stato a lei riferito direttamente da quest’ultimo, o se invece avesse tratto il contenuto delle affermazioni del (OMISSIS) dal lancio dell’agenzia ANSA, ne’ e’ stata in grado di riferire con assoluta sicurezza cio’ che il (OMISSIS) avrebbe detto; in buona sostanza la motivazione della sentenza impugnata, travisando il fatto, non ha dato atto che non e’ stata mai raggiunta una prova sicura circa le frasi e le parole che sono state pronunciate dal (OMISSIS) e le circostanze nell’ambito delle quali esse sono state proferite, giungendo a conclusioni di certezza, pur in presenza di dati di fatto e di diritto del tutto contrari alla conclusione proposta dalla sentenza impugnata, con la conseguenza che l’imputato andava assolto ex articolo 129 codice procedura penale, comma 2.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va respinto.

1. Non merita censura la valutazione della Corte territoriale che ha dichiarato la prescrizione del reato di diffamazione ascritto all’imputato al capo b) non ravvisando nella fattispecie in esame cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 codice procedura penale, comma 2 (Sez. Un., n.23428 del 22/03/2005; Sez. IV, n.31344 dell’11/06/2013). Ed invero, se l’obbligo della immediata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, sancito dall’articolo 129 codice procedura penale, comma 1, comporta nel contempo la valutazione della sussistenza in modo evidente di una ragione di proscioglimento dell’imputato, alla luce della regola di giudizio posta dal medesimo articolo 129 codice procedura penale, comma 2, tuttavia, tale ragione e’ ravvisabile soltanto nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi’ che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga piu’ al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessita’ di accertamento o di approfondimento (Sez. III, n. 10221 del 24/01/2013).

2. Nel caso di specie i giudici d’appello, avendo ritenuto sussistenti tutti gli elementi del delitto di diffamazione e la non configurabilita’ della scriminante di cui all’articolo 599 codice penale, comma 2, hanno ritenuto non applicabile l’articolo 129 codice penale, comma 2, confermando le statuizioni civili scaturenti dal reato e tale valutazione non appare in alcun modo viziata per quanto si dira’.

3. Va premesso che la Corte territoriale ha ritenuto di confermare le valutazioni del primo giudice, circa l’operativita’ della scriminate dello stato d’tra dell’imputato, esclusivamente con riguardo al reato di ingiurie di cui al capo a), commesso subito dopo l’andata in onda della trasmissione (OMISSIS) condotta dal (OMISSIS), in occasione dell’incontro tra i due a (OMISSIS), evidenziando che, invece, non fosse configurabile tale scriminante per le dichiarazioni rilasciate dal (OMISSIS) agli organi di stampa il giorno successivo per l’elemento temporale che l’articolo 599 c,p. richiede, riconducendo la condotta tipica non punibile alla sostanziale immediatezza del fatto ingiusto che ha provocato la reazione. I giudici d’appello hanno evidenziato altresi’ che le dichiarazioni rilasciate dal (OMISSIS) il giorno successivo, una volta persa la natura di sfogo immediato per l’ingiustizia subita hanno assunto la veste di una mera ritorsione vendicativa, stante l’evidente soluzione di continuita’ nello stato emozionale del soggetto, il quale non puo’ certo essere ritenuto preda dell’incontenibile tra (che aveva giustificato la reazione immediata) addirittura il giorno successivo ed in un contesto del tutto diverso dal diretto contatto con l’autore stesso del fatto ingiusto.

Tale ultima valutazione si presenta corretta con le seguenti precisazioni.

4. Il ricorrente ha posto in risalto la contraddittorieta’ della valutazione dei giudici d’appello che hanno escluso l’operativita’ dell’articolo 599 codice penale, comma 2, per il delitto di diffamazione in dipendenza dell’elemento temporale, ossia per la sostanziale non immediatezza della reazione, pur essendosi essa verificata ad un giorno di distanza. Tale doglianza, tuttavia, non pare tener conto dell’intero iter argomentativo della Corte territoriale di condivisione della sentenza del primo giudice, piu’ diffusa sul punto, che ha correttamente considerato l'”immediatezza” della reazione non come un dato esclusivamente temporale, ma quale espressione del legame di interdipendenza tra la reazione irata ed il fatto ingiusto subito, legame questo non ravvisabile nell’episodio di cui al capo b), non potendosi piu’ parlare di “ira”, ma di rancore, non scriminato dalla previsione di cui all’articolo 599 codice penale, comma 2.

5. Sul punto, occorre rilevare che questa Corte, ai fini del riconoscimento dell’esimente della provocazione nei delitti contro l’onore, ha piu’ volte affermato i principi, secondo cui non e’ necessario che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l’offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finche’ duri lo stato d’tra suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l’offesa; l’immediatezza della reazione, infatti, deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle stesse modalita’ di reazione in modo da non esigere una contemporaneita’ che finirebbe per limitare la sfera di applicazione dell’esimente in questione e di frustarne la ratio e tanto piu’ deve considerarsi il tempo necessario alla reazione quando questa assuma la forma della diffamazione; per l’integrazione della provocazione e’, dunque, sufficiente che l’azione reattiva sia condotta a termine persistendo l’accertamento dello stato d’tra provocato dal fatto ingiusto altrui e che tra l’insorgere della reazione e tale fatto sussista una reale contiguita’ temporale, senza che occorra che la reazione si esaurisca in una reazione istantanea (Sez. 5, n. 8097 del 11/01/2007 Rv. 236541; Sez. F, n. 32323 del 31/07/2007).

Il dato temporale della reazione, dunque, deve essere interpretato con elasticita’ : l’immediatezza della reazione rispetto al fatto ingiusto altrui rende piu’ evidente la sussistenza dei presupposti di tale circostanza attenuante, mentre il passaggio di un lasso di tempo considerevole puo’ assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l’odio o il rancore a lungo provato (Sez. 1, n. 16790 del 08/04/2008, Rv. 240283).

6. Di tali principi hanno fatto corretta applicazione i giudici di merito, ritenendo che solo con riguardo alle ingiurie proferite dall’imputato nei confronti del (OMISSIS) in occasione dell’incontro a (OMISSIS), subito dopo la messa in onda della trasmissione (OMISSIS), si configurasse la scriminante in questione, laddove nella successiva condotta illecita dell’imputato dell’aver rilasciato dichiarazioni ai media, contenenti espressioni ingiuriose nei confronti della p.o., fosse ravvisabile un diverso atteggiamento psicologico, non piu’ improntato ad un “dolo d’impeto” per l’offesa subita, ma a rancore non riconducibile alla previsione di cui all’articolo 599 codice penale, comma 2.

7. Invero, dalle modalita’ con le quali si sono svolti i fatti si coglie chiaramente che l’imputato il giorno successivo all’incontro con il (OMISSIS), decise di rilasciare ai media di dichiarazioni diffamatorie nei confronti dello stesso, in quanto non appagato dello “sfogo” personale avuto in occasione di quell’incontro, ritenendo, pertanto, di portare all’attenzione pure degli organi di stampa e dei lettori dei quotidiani la vicenda in questione. Non e’ dato cogliere in tale condotta, dunque, il nesso causale tra fatto ingiusto e reazione, avendo l’imputato, una volta esaurita la spinta emotiva determinante l’aggressione verbale, dato spazio, come correttamente rilevato dai giudici di merito, al diverso sentimento della ritorsione vendicativa, in soluzione di continuita’ con la precedente condotta. Cio’, non solo per il diverso contesto temporale in cui e’ stata posta in essere, ma per la presenza in tale successiva condotta di una “pianificazione” nel rappresentare agli organi di stampa la vicenda, incompatibile con quella spontaneita’ ed emotivita’ che normalmente deve caratterizzare la scriminante di cui all’articolo 599 codice penale, che non lascia spazio ad una reazione per cosi’ dire “frazionata”.

8. Peraltro, questa Corte ha gia’ avuto modo di evidenziare che lo stato d’ira, rilevante ai fini della configurazione della provocazione, e’ escluso dalla sedimentazione nell’agente di un sentimento vendicativo e dalla perpetrazione di un’aggressione lucida e fredda (arg. ex ez. 1, n. 29480 del 25/10/2012).

9. Manifestamente infondata si presenta, poi, l’ulteriore doglianza sviluppata nel ricorso, secondo cui non sarebbe configurabile nella fattispecie il delitto di diffamazione in quanto la testimone (OMISSIS), autrice di uno degli articoli incriminati, non sarebbe stata in grado di riportare con sicurezza se quanto pronunciato dal (OMISSIS) fosse stato a lei riferito direttamente da quest’ultimo, o se invece avesse tratto il contenuto delle affermazioni dell’imputato dal lancio dell’agenzia ANSA. Tale doglianza omette, invero, di confrontarsi compiutamente con la circostanza di fatto, in sostanza messa in risalto, senza illogicita’, dai giudici di merito e ritenuta dirimente – non specificamente censurata in questa sede – secondo cui il (OMISSIS) non ha riportato dei commenti, ma dichiarazioni virgolettate, che normalmente, per tale modalita’ della pubblicazione, sono da ricondurre direttamente al dichiarante, nella specie il (OMISSIS), sicche’ si presenta non rilevante che esse siano state apprese dal comunicato Ansa, ovvero dalla viva voce dell’imputato.

10. Il ricorso va, dunque, rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonche’ al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che si ritiene di liquidare in complessivi euro 1200,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in complessivi euro 1200,00 oltre accessori come per legge.

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