Cassazione 13

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza  21 ottobre 2015, n. 42395


Ritenuto in fatto

1. II difensore di M.A. propone ricorso per cassazione contro la sentenza pronunciata Corte d’Appello di Cagliari, in data 7 luglio 2014, che confermava la decisione dei Tribunale di Cagliari con la quale l’imputata, all’esito dei giudizio abbreviato, era stata ritenuta responsabile del reato previsto dagli articoli 624 e 625 n. 2 dei codice penale perché, mediante l’utilizzo di una chiave non originale, si era introdotta, in due occasioni, all’interno di un locale adibito a magazzino per l’attività commerciale di bar tabaccheria, impossessandosi di merce e denaro, con l’aggravante di avere commesso il fatto con un mezzo fraudolento.
2. II ricorso per cassazione è articolato in tre motivi, con i quali il difensore lamenta:
violazione dell’articolo 56 del codice penale e vizio di motivazione per avere la Corte d’Appello escluso la sussistenza del delitto tentato, in favore del reato di furto consumato;
violazione dell’articolo 625 n. 2 del codice penale e vizio di motivazione dovendosi escludere che l’utilizzo della chiave possa integrare l’aggravante in parola;
violazione degli articoli 529 e 129 del codice di rito, con riferimento al reato di furto contestato e vizio di motivazione per la mancata adozione della sentenza di non doversi procedere.
Con memoria datata 22 maggio 2015 il difensore di M.A., con riferimento al primo motivo di ricorso, richiama la decisione adottata, nelle more del giudizio, dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. n. 52117 del 17 luglio 2014) secondo cui, nella fattispecie in esame, sarebbe prospettabile solo il delitto tentato e non quello consumato.

Considerato in diritto

La sentenza impugnata merita censura.
1. Con il primo motivo e con le memorie del 22 maggio 2015 il difensore deduce violazione dell’articolo 56 del codice penale e vizio di motivazione per avere la Corte d’Appello escluso la sussistenza del delitto tentato, in favore dei reato di furto consumato. Rileva la difesa come dalle risultanze processuali emerga pacificamente che era stato predisposto un servizio di osservazione, sia all’interno che all’esterno del locale pubblico, ed uno dei Carabinieri, nascosto all’interno dei deposito, aveva osservato l’imputata mentre, in più occasioni, prelevava da uno scaffale diverse stecche di sigarette. L’imputata, dopo avere messo la refurtiva nella borsa, era uscita dal magazzino chiudendolo a chiave ed aveva raggiunto la sala bar tabacchi. Pertanto, non avrebbe esercitato sul bene un autonomo potere di disposizione, analogamente a quanto ritenuto dalle Sezioni Unite della Cassazione in tema di tentativo di furto nel supermercato, nell’ipotesi in cui ricorra una sorveglianza continua della azione criminosa (Cass. SSUU n. 34952 del 19 aprile 2012). Contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale il furto non si sarebbe completato con l’introduzione della refurtiva nella borsa e conseguente fuoriuscita della merce dal dominio ed al controllo anche del Carabiniere, oltre che del proprietario, poiché contraddittoriamente il Giudice del merito non considera che l’imputata era sottoposta al controllo fin dall’inizio della condotta (Cass. n. 52117 del 17 luglio 2014).
2. La censura è fondata trovando applicazione il principio, espresso anche da questa Sezione, secondo cui integra il delitto di furto tentato e non consumato la condotta di colui che prelevi merce dai banchi di un supermercato e superi le casse sottraendosi al pagamento, se il fatto avviene sotto il costante controllo del personale incaricato della sorveglianza, non potendosi in tal caso ritenere realizzata la sottrazione della cosa dal momento che il possessore originario conserva una relazione col bene e può in ogni momento interrompere l’azione delittuosa. (Sez. 5, Sentenza n. 10535 del 31/10/2014 Rv. 262683; Sez. 5, n. 2151 del 12/06/2013 – dep. 17/01/2014, Trevisan, Rv. 258871)
3. Come rilevato anche dal Procuratore generale in udienza e dal difensore nelle memorie da ultimo depositate, sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte affermando il principio secondo cui, in caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica dei movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione dei delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014 – dep. 16/12/2014, Pg in proc Prevete ed altro, Rv 261186).
4. Conseguentemente la decisione va annullata sotto tale profilo.
5. Con il secondo motivo la difesa lamenta violazione dell’articolo 625 n. 2 del codice penale e vizio di motivazione, dovendosi escludere che l’utilizzo da parte dell’imputata di una chiave comune, che accidentalmente aveva consentito l’apertura della porta del magazzino, possa integrare l’aggravante in parola. Secondo la difesa, trattandosi di un ordinario accorgimento che non limitava in modo apprezzabile le difese apprestate dal proprietario, difettando di una qualche escogitazione particolare, deve escludersi che l’apertura della porta, facilmente apribile con un’altra chiave a causa delle caratteristiche della serratura, possa integrare l’aggravante contestata.
6. II motivo è manifestamente infondato. Correttamente la Corte territoriale ha evidenziato che costituisce escogitazione capace di sorprendere la volontà contraria dei proprietario e vanificare le difese che questi ha apprestato a difesa delle proprie cose, il fatto di introdursi nel luogo in cui sono custodite servendosi di una chiave falsa (Sez. 1, n. 320 del 17/12/1991 – dep. 15/01/1992, P.G. in proc. Sacco ed altri, Rv. 191102).
7. In secondo luogo costituisce certamente mezzo fraudolento, che attenua la difesa del patrimonio contro le aggressioni altrui, la condotta posta in essere dall’imputata la quale ha provveduto, non solo ad aprire la porta del magazzino con una chiave falsa, ma anche a richiuderla, per evitare che il titolare dei bar potesse accorgersi dell’intrusione. Scoperta verificatasi, non a causa dell’apertura della porta, ma per la buona abitudine del titolare di contare le stecche delle sigarette.
8. Con il terzo motivo il difensore deduce violazione degli articoli 529 e 129 del codice di rito, con riferimento al reato di furto contestato e vizio di motivazione per la mancata adozione della sentenza di non doversi procedere. Secondo la difesa, dovendosi escludere l’aggravante dei mezzo fraudolento, la Corte d’Appello avrebbe dovuto adottare la decisione sopra indicata, per mancanza della condizione di procedibilità.
9. II motivo è superato dalle considerazioni poste a sostegno dei motivo precedente, per cui, dovendosi ritenere sussistente l’aggravante del mezzo fraudolento, il reato è perseguibile d’ufficio.
10.In conclusione la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla qualificazione dei delitto di cui al capo a), con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello per la rideterminazione della pena.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui al capo a) che riqualifica come furto tentato ai sensi degli artt. 56, 624 e 625 n. 2 c.p..
Rigetta nel resto il ricorso e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Cagliari per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio.

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