Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 21 luglio 2015, n. 31654

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo Antonio – Presidente

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. GUARDIANO Alfredo – rel. Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1724/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 27/11/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere estinto per prescrizione il reato ascritto all’imputato, da qualificare come esercizio arbitrario delle proprie ragioni;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che ha concluso associandosi alla richiesta del P.G..

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 27.11.2013 la corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Napoli, in data 18.2.2009, nel procedimento sorto a carico di (OMISSIS), imputato dei reati ex articoli 81 cpv. e 644 c.p., (capo A) e articolo 61 c.p., n. 2, articolo 629 c.p., (capo B), aveva condannato il suddetto (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al solo reato di cui al capo B), dopo averlo riqualificato in tentativo di violenza privata continuata, assolvendolo dal delitto di cui al capo A), rideterminava in senso piu’ favorevole al reo il trattamento sanzionatorio, dopo avere dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in relazione alle condotte di cui al capo B) contestate come commesse nell’anno 2001, per estinzione del reato, conseguente ad intervenuta prescrizione, confermando nel resto l’impugnata sentenza in ordine alla sola condotta contestata come commessa il 13.2.2006.

2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, l’imputato ha proposto tempestivo ricorso per cassazione per mezzo del suo difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), del Foro di (OMISSIS), con cui lamenta il vizio di violazione di legge, in quanto nella condotta del (OMISSIS) non e’ ravvisabile il tentativo di violenza privata ma il semplice esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che non e’ escluso dalla circostanza che l’imputato, nel momento in cui ha formulato la propria pretesa creditoria, ha appoggiato una pistola sulla scrivania del genero della persona offesa, in quanto tali modalita’ della condotta evidenziano come la stessa non vada oltre lo scopo di esercitare il diritto creditorio; inoltre, evidenzia il ricorrente, la previsione della

circostanza aggravante dell’uso di armi contenuta nell’articolo 393 c.p., u.c., rende evidente che l’uso di un’arma non e’ di perse incompatibile con l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

3. Il ricorso e’ fondato e va accolto nei termini che seguono.

4. Da tempo la giurisprudenza di legittimita’ ha definito i rapporti che intercorrono tra le diverse fattispecie di cui agli articoli 610 e 393 c.p., giungendo alla condivisibile conclusione, che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone si differenzia da quello di violenza privata – che ugualmente contiene l’elemento della violenza o della minaccia alla persona – non nella materialita’ del fatto, che puo’ essere identica in entrambe le fattispecie, bensi’ nell’elemento intenzionale, in quanto nel reato di cui all’articolo 393 c.p., come in quello di cui all’articolo 392, in cui la violenza e’ esercitata sulle cose, l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, richiedendosi, inoltre, che la sua condotta rivesta i connotati dell’arbitrarieta’.

La pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve, peraltro, corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico di guisa che cio’ che caratterizza il reato in questione e’ la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato; e’, inoltre, necessario che la condotta illegittima non ecceda macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, anche arbitrariamente, un proprio diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell’altrui liberta’ di determinazione, giacche’, in tal caso, ricorrono gli estremi della diversa ipotesi criminosa di cui all’articolo 610 c.p. (cfr., ex plurimis, Cass., sez. 5 , 16/05/2014, n. 23923; rv. 260584; Cass., sez. V, 28/01/2014, n. 23216; Cass., sez. 5 , 28/11/2013, n. 7468, rv. 258985).

Tanto premesso, nel caso in esame si tratta di verifica re se la condotta posta in essere dall’imputato, pacificamente volta ad ottenere l’adempimento di un’obbligazione debitoria, la cui legittimita’ non viene messa in discussione, gravante sul (OMISSIS), esibendo una pistola, che appoggiava su di una scrivania, nel momento in cui, recatosi presso lo stabilimento di quest’ultimo, aveva formulato la relativa pretesa nel corso di una breve conversazione avuta con il (OMISSIS), genero del (OMISSIS), abbia oltrepassato o meno i limiti dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, trasmodando nel piu’ grave reato di tentativo di violenza privata.

La corte territoriale ha risolto tale questione nel senso di ritenere l’esibizione dell’arma incompatibile con il ragionevole intento da parte del (OMISSIS) di far valere il proprio diritto di credito, peraltro, gia’ riconosciuto dal tribunale di Modena, che aveva emesso decreto ingiuntivo, opposto dal debitore.

Tale decisione non puo’ condividersi, in quanto non tiene conto che lo stesso articolo 393 c.p., comma 3, prevede espressamente che la violenza o la minaccia, in cui si concretizza l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, possa essere commessa con armi.

Ne consegue che l’assunto della corte territoriale, per come motivato, si traduce in una sostanziale e non consentita abrogazione tacita della menzionata disposizione normativa, ponendosi, inoltre, in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’ in ordine all’elemento differenziatore tra le due fattispecie di reato, che, come si e’ detto, non puo’ essere individuato nella materialita’ del fatto, che permane identico anche nella forma aggravata dall’uso delle armi, posto che all’aggravante di cui al citato articolo 393 c.p., comma 3, corrisponde quella prevista per la violenza privata commessa con armi dal combinato disposto dell’articolo 610 c.p., comma 2, e articolo 339 c.p., comma 1, (cfr., in questi sensi, Cass., sez. 2 , 1.10.2013, n. 705, rv. 258071).

Escluso, dunque, che la semplice esibizione di un’arma da parte dell’agente possa essere considerata di per se’ un ostacolo alla configurazione del delitto di cui all’articolo 393 c.p., occorre stabilire se con la condotta serbata il (OMISSIS) abbia macroscopicamente ecceduto i limiti insiti nel fine di esercitare, sia pure arbitrariamente, un preteso diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell’altrui liberta’ di determinazione, in termini di particolare gravita’.

La risposta non puo’ che essere negativa, proprio per le modalita’ non particolarmente allarmanti con cui e’ stata utilizzata l’arma, non e’ dato sapere se carica o meno, che l’imputato si e’ limitato ad esibire, riponendola su di una scrivania, senza puntarla all’indirizzo del (OMISSIS) (ed al riguardo non puo’ non rilevarsi come di ben altro spessore siano state le minacce poste in essere nel caso concreto esaminato nella decisione n. 35610 del 27.6.2007, del Supremo Collegio richiamata dalla corte territoriale, in cui la vittima era stata intimorita con minacce di morte dagli imputati, che all’uopo si erano serviti di una pistola e di un ordigno esplosivo).

5. Sulla base delle svolte considerazioni la condotta addebitata al (OMISSIS), va, pertanto, riqualificata ai sensi dell’articolo 393 c.p., commi 1 e 3, imponendosi, non essendo perento a tutt’oggi il relativo termine di prescrizione nella sua estensione massima, in considerazione dei periodi di sospensione del relativo decorso intervenuti in primo ed in secondo grado, l’annullamento della sentenza impugnata ad altra sezione della corte di appello di Napoli, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, con l’ovvia precisazione, imposta dall’articolo 624 c.p.p., che l’impugnata sentenza deve ritenersi passata in giudicato nella parte in cui afferma la responsabilita’ del (OMISSIS) per la commissione del fatto storico qualificato da questa Corte come esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone commessa con armi.

P.Q.M.

Riqualificato il fatto ai sensi dell’articolo 393 c.p., commi 1 e 3, annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Napoli per la determinazione della pena.

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