Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 1 marzo 2016, n. 8331

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza del 11.6.2014 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza con la quale il G.U.P. del locale Tribunale, all’esito del rito abbreviato, aveva condannato T.N., riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 8 di reclusione ed € 200,00 di multa, oltre al risarcimento danni in favore della parte civile, per il delitto di furto aggravato ex art. 625 n. 7 c.p. di un telefono cellulare, di un portafogli contenente € 20,00 e di occhiali da sole, sottraendoli a P.A. che li teneva custoditi in uno scomparto dell’armadietto situato nel locale block house, posto all’esterno della Casa Circondariale di Torino.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputata, a mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo i vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), c.p.p., per erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 625, n. 7, c.p., nonché per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, atteso che costituisce fatto acclarato nella fattispecie in esame quello che l’armadietto era regolarmente chiuso con il lucchetto e che l’imputata lo apriva, seppur senza danneggiarlo, ma da ciò non è possibile ritenere che gli oggetti ivi riposti dalla persona offesa fossero esposti (né per consuetudine, né per necessità) alla pubblica fede, posto che l’affidamento alla pubblica onestà era stato ampiamente superato dalla condotta della persona offesa della chiusura a chiave dell’armadietto; delle due l’una: o si ritiene che la persona offesa non avesse chiuso a chiave l’armadietto, o l’avesse chiuso male, oppure l’imputata aveva aperto l’armadietto, rubando il contenuto che non poteva ritenersi esposto alla pubblica fede; conseguentemente deve escludersi, anche implicitamente, la ricorrenza della condizione di procedibilità
3.La p.o., P.A., ha prodotto in data 23.6.2015 memoria concludendo per il rigetto del ricorso, essendo irrilevante ai fini della ricorrenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede che l’armadietto fosse chiuso o aperto.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.
1.La ricorrente pone con l’unico motivo di impugnazione la questione di diritto relativa ali’ impossibilità di configurare l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, nel caso in cui gli oggetti sottratti siano custoditi con sistema di chiusura mediante lucchetto, ma ovviamente la questione è estensibile a tutte le ipotesi in cui determinati accorgimenti impediscano l’immediato accesso al bene. Secondo la ricorrente risulterebbe pacifico, nella fattispecie in esame, che gli oggetti asportati erano stati collocati nell’apposito armadio posto all’esterno del carcere destinato al deposito degli effetti personali dei visitatori e che la p.o aveva apposto un lucchetto al relativo scomparto, aperto dal ladro senza segni di effrazione.
2. La questione posta dalla ricorrente è inammissibile, non solo perché non risulta essere stata posta nei termini in questione con l’atto di appello, in relazione al disposto di cui all’art. 606, terzo comma ultima parte, ma per essere, in ogni caso, completamente destituita di fondamento.
2.1.Ed invero, va innanzitutto evidenziato che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che l’armadietto contenente i beni sottratti alla P. fosse esposto alla pubblica fede, atteso che la necessità dell’esposizione deve essere intesa non in senso assoluto, come impossibilità della custodia da parte del titolare del bene, bensì relativo, cioè in rapporto alle particolari circostanze che possono indurre il soggetto a lasciare le proprie cose incustodite(Sez. 4,n. 45488 del 08/07/2008;Sez. 5, n. 5226 del 19/11/2013). In particolare, per pubblica fede deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui sul quale fa affidamento chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente, incustodita (Sez. 4, n. 5113 del 07/11/2007) e la ratio dell’aggravamento della pena, previsto dall’art. 625 n. 7, terza ipotesi, codice penale, non è correlata alla natura – pubblica o privata – del luogo ove si trova la “cosa”, ma alla condizione di esposizione di essa, sicchè tale condizione può sussistere anche se “la cosa” si trovi in luogo privato cui si possa liberamente accedere, (Sez. 2, n. 11977 del 04/07/1989). In tale contesto, non è idoneo ad incidere sulla configurabilità dell’aggravante in questione l’adozione, o meno, da parte del proprietario, di cautele, (Sez. 2, n. 11977 del 04/07/1989,Sez. 2, n. 8504 del 16/05/1985) che non eliminano il pubblico affidamento della res. In ogni caso cautele che si traducono in congegni di chiusura quali l’apposizione di un lucchetto, una serratura con chiave, od un antifurto, non realizzano un ostacolo tale da costituire impedimento assoluto alla sottrazione del bene, attesa la limitata efficienza di tali congegni e la facilità con la quale possono essere superati, non costituendo un serio ostacolo all’azione furtiva, che non fa venir meno l’esposizione della cosa alla pubblica fede (Rv. 123198 Rv. 131871).
2.2. Più volte questa Corte ha affermato, invero, il principio secondo cui la chiusura a chiave degli sportelli di un’auto parcheggiata sulla pubblica strada, non costituendo un serio ostacolo all’azione furtiva, non fa venir meno l’esposizione della cosa alla pubblica fede, con la conseguenza che sussiste la relativa aggravante, nel caso in cui il furto venga consumato con modalità violente o fraudolente, che concorre con quella prevista dall’art 625 n 2 cod pen., avendo diversa obiettività giuridica. (Rv. 141356; Rv.137830; Rv. 153618; Rv. 131871 Rv. 123198).
2.3. Facendo applicazione dei suddetti principi emerge che nella fattispecie in esame correttamente è stata ritenuta sussistente l’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 c.p. essendo all’uopo ininfluente l’adozione di un meccanismo di chiusura dello scomparto dell’armadio esposto alla pubblica fede contenente i beni sottratti, o la forzatura di esso.
3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 500,00, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in complessivi € 500,00 oltre accessori come per legge e distrazione a favore dell’erario.

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