Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 29 febbraio 2016, n. 8161

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 24 giugno 2015 la Corte di Appello di Salerno Sezione per i minorenni, ha confermato la sentenza di condanna alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 400,00 di multa emessa nei confronti di S.M. dal Tribunale per i minorenni di Salerno in data 8.5.2014, in ordine ai reati di cui agli artt. 110, 648 cod. pen. e 171 ter, comma 2, lett. a), I. 633 del 1941.
2. Avverso tale provvedimento il difensore dell’imputato, Avv. Vincenzo Vegliante, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
Deduce, innanzitutto, il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., sotto il profilo della nullità della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza al ricorrente, indicato come domiciliato presso lo studio del difensore, anziché presso il domicilio eletto in (OMISSIS) .
Lamenta altresì la nullità della notifica telematica a mezzo P.E.C. del decreto di citazione per il giudizio di appello nei confronti dell’odierno ricorrente, consentita soltanto per le persone diverse dall’imputato.
Con un secondo motivo, censura la violazione del divieto di bis in idem, avendo la Corte territoriale confermato la sentenza di condanna anche con riferimento al reato di ricettazione, in ordine al quale l’imputato era stato assolto nel primo giudizio erroneamente instaurato presso il Tribunale ordinario; del resto, lo stesso concorrente, maggiorenne, è stato assolto dal medesimo reato di ricettazione.
Deduce, poi, i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., ritenendo carente la motivazione in ordine all’identificazione dell’odierno ricorrente con l’autore del fatto, in ordine alla denunciata insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 171 ter, comma 2, I. 633 del 1941, alla mancanza di una condotta di accertata vendita, ed in ordine al trattamento sanzionatorio, ritenuto incongruo.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nei limiti di cui alla motivazione.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
L’estratto contumaciale della sentenza risulta infatti notificato presso il difensore di fiducia, in quanto il tentativo di notifica presso il domicilio eletto dall’imputato, in (OMISSIS) , si era rivelato infruttuoso, essendo questi irreperibile e sconosciuto presso lo stabile indicato, come si evince dal verbale di vane ricerche del 03/07/2014; correttamente, dunque, la notifica è stata eseguita ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., al difensore di fiducia.
Anche con riferimento alla notifica mediante P.E.C. (posta elettronica certificata) al difensore del decreto di citazione a giudizio dinanzi alla Corte di Appello, dalla relazione di servizio della Polizia Municipale del Comune di Salerno si evince che l’imputato non è stato rinvenuto presso il domicilio eletto, e non risulta residente nel Comune indicato. Anche in tal caso, dunque, la notifica del decreto di citazione è stata eseguita al difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., con le forme di cui agli artt. 148, comma 2 bis, cod. proc. pen. e 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni, nella l. 17 dicembre 2012, n. 221) (in senso analogo, Sez. 6, n. 39176 del 15/09/2015, El Hassani, Rv. 264571: “È valida la notificazione avvenuta mediante consegna al difensore dell’indagato irreperibile di un’unica copia dell’atto da comunicare, con l’espressa indicazione che la notifica è inviata al difensore in proprio ed in rappresentanza del sottoposto alle indagini. (Fattispecie relativa alla notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale dinanzi al Tribunale del riesame, effettuata mediante invio al difensore tramite “pec” di un unico atto)”).
Al riguardo, se è vero che la notifica c.d. telematica è consentita soltanto nei confronti delle persone diverse dall’imputato, la lettura sistematica delle norme che vengono in rilievo (artt. 148, comma 2 bis, 150, 157, comma 8 bis, cod. proc. pen. e 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179) non esclude che la notifica di un atto, sebbene destinato all’imputato, possa essere eseguita al difensore, in quanto domiciliatario nominato ovvero consegnatario (domiciliatario ex lege, per impossibilità della notifica, ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen.), con mezzi tecnici idonei, e, dunque, anche con le forme telematiche, purché assicurino la conoscenza dell’atto.
Invero, se la giurisprudenza ha sempre affermato che nel caso della notifica “mediante consegna al difensore”, ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., per impossibilità di eseguirla presso il domicilio dichiarato o eletto, la modalità di trasmissione dell’atto con mezzi tecnici idonei è legittima (Sez. 3, n. 46703 del 03/11/2009, Choukoukou, Rv 245406; Sez. 4, n. 41051 del 02/12/2008, Davidovits, Rv 241329; Sez. 1, n. 40324 del 24/09/2008, Aboussad, Rv 241704; Sez. 5, n. 20586 del 12/04/2007, Gatterer, Rv 236614), le Sezioni Unite hanno risolto anche il contrasto interpretativo insorto sulla legittimità di tale forma di notifica nei confronti del difensore nominato domiciliatario, affermando che “La notificazione di un atto di cui sia destinatario l’imputato o altra parte privata, in ogni caso in cui esso possa o debba essere consegnato al difensore, può essere eseguita con telefax o altri mezzi idonei a norma dell’art. 148, comma 2 bis, cod.proc.pen.” (Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv. 250121).
Tra i mezzi tecnici idonei rientra, ormai pacificamente, anche la notifica c.d. telematica, mediante P.E.C. (in tal senso, Sez. U, n. 32243 del 26/06/2015, Nedzvetskyi, Rv. 264864, che, pur affrontando un profilo particolare della notifica c.d. telematica, relativo alla verifica dell’idoneità degli strumenti telematici degli uffici giudiziari, ha ribadito che “non v’è ragione di ritenere che tra i mezzi tecnici idonei non possano essere ricompresi gli strumenti atti alla trasmissione telematica, se essi siano in grado di fornire prova della trasmissione stessa e della avvenuta ricezione, garanzie che il sistema della P.E.C. è certo in grado di assicurare” (5.1.), e che, anche in assenza dell’adozione dei regolamenti attuativi, “già la ricordata disposizione del vigente codice di rito avrebbe consentito (a far tempo dalla introduzione del comma 2 bis nell’art. 148, vale a dire sin dal 2001) la notificazione al difensore tramite P.E.C.”).
Va, pertanto, ritenuta legittima la notificazione del decreto di citazione a giudizio dinanzi alla Corte di Appello eseguita al difensore domiciliatario ex lege (ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen.), per l’impossibilità di eseguire la notifica presso il domicilio eletto dall’imputato, destinatario dell’atto.
In tali casi, infatti, si verifica, ai fini dell’adozione delle forme di notificazione, una scissione tra destinatario e consegnatario (perché domiciliatario, nominato o ex lege) dell’atto: anche qualora le notifiche abbiano quale destinatario l’imputato, nondimeno, allorquando debbano essere eseguite al difensore consegnatario, possono essere effettuate con le forme di cui all’art. 148, comma 2 bis, cod. proc. pen., e quindi con mezzi tecnici idonei (compresa la modalità telematica), in ragione delle qualità professionali del difensore e degli obblighi derivanti dal mandato fiduciario ricevuto ovvero per disposizione di legge.
In tal senso si è espressa anche la Corte costituzionale, che, nella sentenza n. 136 del 5 maggio 2008, ha rilevato che il rapporto fiduciario, che lega l’imputato al suo difensore implica “l’insorgere di un rapporto di continua e doverosa informazione da parte di quest’ultimo nei confronti del suo cliente, che riguarda ovviamente, in primo luogo, la comunicazione degli atti”. Tale dovere di informazione da parte del difensore nei confronti del proprio assistito, sia pure riferito in generale alla illustrazione dei diritti e facoltà dell’imputato e degli atti che lo riguardano, era stato già affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con sentenza in data 18 ottobre 2006 nel procedimento Hermi contro Italia (pp. 92 – 97) e ribadito nella successiva sentenza in data 28 febbraio 2008 nel procedimento Demebukov contro Bulgaria (pp. 50 – 57).
Del resto, la scissione tra destinatario e consegnatario dell’atto, ai fini delle modalità della notificazione, è confermata dall’art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., che, per le notifiche all’imputato successive alla prima, dispone la consegna al difensore di fiducia, espressamente prevedendo l’adozione delle modalità tecniche previste dall’art. 148, comma 2 bis, cod. proc. pen. (“Per le modalità della notificazione si applicano anche le disposizioni previste dall’articolo 148, comma 2 bis”).
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Invero, a prescindere dalla irrilevanza del differente destino processuale dell’originario coimputato maggiorenne, assolto nel relativo giudizio dal reato di ricettazione, trattandosi di argomentazione coinvolgente profili esclusivamente di merito (peraltro concernenti un distinto giudizio) in questa sede incensurabili, va osservato che il ricorrente si duole che la sentenza impugnata abbia confermato la sentenza di primo grado anche con riferimento alla condanna per il reato di ricettazione, in ordine al quale l’imputato era stato assolto nel primo giudizio erroneamente instaurato presso il Tribunale ordinario.
In mancanza di impugnazione del P.M., la sentenza del Tribunale ordinario, successivamente annullata per il difetto di competenza, avrebbe dovuto, nell’assunto del ricorrente, ritenersi irrevocabile in ordine all’assoluzione dal reato di ricettazione.
Va, al riguardo, evidenziato che l’annullamento integrale della sentenza, per un vizio che impone il rinvio al primo grado, e dinanzi a diverso giudice, caduca interamente l’attosentenza (fase rescindente), elidendone qualsiasi effetto giuridico; anche l’eventuale assoluzione parziale da uno dei reati contestati (in senso conforme, Sez. 5, n. 22422 del 28/04/2009, Bono, Rv. 244106: “L’annullamento integrale, per vizio che impone il rinvio al primo grado, della sentenza di appello che ha assolto l’imputato da taluno degli addebiti, non impedisce che nel giudizio di rinvio sia pronunciata condanna, in ordine a detti addebiti, seppure la statuizione assolutoria non sia stata impugnata dal pubblico ministero”).
Nel caso di annullamento per difetto di competenza, infatti, la Corte di Appello dichiara la nullità della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 604, comma 4, cod. proc. pen., trattandosi di nullità assoluta ed insanabile (art. 179 cod. proc. pen.) concernente “le condizioni di capacità del giudice” (art. 178, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.) e rinvia gli atti all’autorità giudiziaria competente per un nuovo giudizio, senza poter adottare alcuna deliberazione che, esplicitamente o implicitamente, costituisca parziale conferma della sentenza annullata (Sez. 6, n. 46760 del 21/11/2012, Ciardo, Rv. 253988: “Il giudice d’appello, quando annulla una sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 604 cod. proc. pen. rilevando una delle cause di nullità come indicate dall’art. 179 cod. proc. pen., non può adottare alcuna deliberazione che, esplicitamente o implicitamente, ne costituisca parziale conferma”).
La sentenza dichiarata nulla, dunque, è improduttiva di effetti, tamquam non esset, e la fase rescissoria rimessa al giudice del rinvio competente vedrà la riespansione dell’oggetto del giudizio, senza i limiti derivanti dall’effetto devolutivo, avendo ad oggetto ex novo l’intera vicenda processuale oggetto di giudizio, comprese le imputazioni in ordine alle quali l’imputato fosse stato prosciolto dalla sentenza annullata; del resto, la totale caducazione degli effetti è confermata dalla possibilità per l’interessato di ricorrere per cassazione avverso la sentenza di appello dichiarativa della nullità della sentenza di primo grado (ex multis, Sez. 4, n. 11228 del 04/03/2015, Forti, Rv. 262715: “È ammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza con la quale il giudice d’appello abbia dichiarato la nullità di quella di primo grado e ordinato la trasmissione degli atti al P.M., sempre che sussista un concreto interesse della parte ad impugnare. (Fattispecie in cui la S.C. ha ravvisato la sussistenza del concreto interesse ad impugnare, avendo l’imputato proposto ricorso avverso una sentenza di appello che aveva dichiarato la nullità, per errores in procedendo, della decisione di primo grado con la quale era stata pronunciata la sua assoluzione da uno dei reati ascrittigli nonché dichiarata la prescrizione per gli altri)”).
Del resto, “poiché la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza (nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli), e non sui punti di essa, che possono essere unicamente oggetto della preclusione correlata all’effetto devolutivo del gravame e al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni” (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239), non può ritenersi irrevocabile il capo della sentenza avente ad oggetto l’assoluzione da uno dei reati, allorquando la decisione sia stata caducata come atto, in quanto resa in assenza di “capacità del giudice” che la emessa, e dunque affetta da nullità assoluta ed insanabile.
4. Il terzo motivo è parzialmente fondato.
Il ricorrente censura la carenza di motivazione in ordine all’identificazione dell’odierno ricorrente con l’autore del fatto, in ordine alla denunciata insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 171 ter, comma 2, l. 633 del 1941, alla mancanza di una condotta di accertata vendita, ed in ordine al trattamento sanzionatorio, ritenuto incongruo, anche in riferimento alla pena irrogata al coimputato maggiorenne.
Giova al riguardo premettere che il sindacato di legittimità è circoscritto alla verifica sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza, e non può essere esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen. mediante una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito; le valutazioni espresse dalla sentenza impugnata, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767). Ed anche la novella codicistica, introdotta con la l. n. 46 del 2006, che ha riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso (ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716, che ha altresì precisato che resta esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova).
Pertanto, l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato per espressa volontà del legislatore a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dal testo della sentenza o da altri atti specificamente indicati, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
4.1. Ebbene, esclusa l’ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va osservato che, in ordine all’identificazione dell’autore del fatto, la sentenza impugnata ha adeguatamente motivato, rilevando, con argomentazioni prive di illogicità, che l’imputato fu sorpreso in flagranza mentre deteneva in mano alcuni supporti contraffatti lungo la pubblica via, e, nonostante il tentativo di fuga, venne ritualmente identificato mediante l’accertamento di autenticità della carta consolare di identità della quale era in possesso, presso l’ambasciata della Repubblica del Senegal.
Analogamente a dirsi con riferimento all’asserita incongruità del trattamento sanzionatorio, irragionevole anche con riferimento alla pena applicata al coimputato maggiorenne in distinto processo (che, peraltro, non viene indicata); anche in tal caso, con motivazione congrua, seppur sintetica ed operata anche per relationem alla sentenza confermata, la Corte di Appello ha individuato il quantum sanzionatorio applicabile nel caso di specie, con valutazione priva di illogicità ed incensurabile in sede di legittimità (in senso
analogo, sebbene con riferimento ad unico giudizio, Sez. 3, n. 27115 del 19/02/2015, La Penna, Rv. 264020: “In tema di ricorso per cassazione, non può essere considerato come indice del vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso, che si prospetta come identico, sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali”).
4.2. Va invece ritenuto fondato il motivo riguardante il riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 171 ter, comma 2, lett. a), l. 633 del 1941.
Invero, il ricorrente lamenta l’omessa motivazione in ordine alla prova della condotta di vendita, non essendo sufficiente, in tale ipotesi, la mera detenzione per la vendita accertata.
Al riguardo, giova rilevare che l’imputato veniva notato mentre proponeva in vendita alcuni supporti detenuti in mano, e, all’esito del controllo, veniva rinvenuto uno zaino nel quale egli custodiva molti altri supporti destinati alla vendita. Da tali circostanze deriva la contestazione dell’aggravante avente ad oggetto la vendita di oltre cinquanta copie (nella fattispecie, venivano rinvenuti 220 tra c.d. musicali e dvd).
Ebbene, già l’imputazione concerne la “detenzione per la vendita” di oltre 50 copie duplicate di opere dell’ingegno; la sentenza impugnata afferma la responsabilità dell’imputato in ordine alla condotta contestata, nell’ipotesi aggravata, ritenendo “evidente che stesse vendendo gli stessi al minuto”.
La motivazione deve ritenersi sul punto carente, in quanto, alla stregua del tenore letterale delle norme, e nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, mentre per la fattispecie semplice è sufficiente la mera “detenzione per la vendita” (art. 171 ter, comma 1, lett. c) e d), l. 633 del 1941), per la fattispecie aggravata è necessaria (oltre alle altre condotte alternative propedeutiche) la vendita o la cessione delle copie abusivamente duplicate (art. 171 ter, comma 2, lett. a): “…vende o pone altrimenti in commercio, cede a qualsiasi titolo…oltre cinquanta copie…”).
Invero, la riforma del 2000 (art. 14 I. 18 agosto 2000, n. 248) che ha novellato alcune fattispecie in materia di tutela penale delle opere d’ingegno ha espressamente previsto, per l’ipotesi semplice di cui alle lett. c) e d) dell’art. 171 ter, la criminalizzazione anche della mera “detenzione per la vendita”, in tal senso modificando la precedente norma ed anticipando la soglia di tutela penale, lasciando invece inalterata la disposizione contenuta nel comma 2, lett. a), che, nel prevedere un aggravamento di pena, non indica, tra le condotte alternative integranti la tipicità della fattispecie, la mera “detenzione per la vendita”, bensì le sole condotte di vendita e cessione a qualsiasi titolo di oltre 50 esemplari di copie abusivamente duplicate.
La mancata previsione di tale condotta la “detenzione per la vendita” quale ipotesi integrante la fattispecie aggravata dal superamento della soglia quantitativa di supporti abusivamente duplicati, lungi dall’essere irragionevole, è frutto di una scelta pienamente rientrante nell’ambito della discrezionalità legislativa, che non può essere obliterata da un’interpretazione in malam partem, vietata dal principio di stretta legalità, nella dimensione della tassatività e determinatezza della fattispecie penale, e dal divieto di analogia, vigenti in materia penale (art. 25, comma 2, Cost., e art. 1 cod. pen.).
Ai fini dell’integrazione della tipicità della fattispecie aggravante di cui all’art. 171 ter, comma 2, l. 633 del 1941, dunque, occorre non soltanto il superamento della soglia quantitativa dei 50 esemplari di opere abusivamente duplicate, ma altresì un effettivo atto di vendita o di messa in commercio o di cessione di tali esemplari, non essendo sufficiente la propedeutica attività consistente nella sola detenzione o nella predisposizione per tali fini (in tal senso, ex multis, Sez. 3, n. 15516 del 18/01/2006, Diop, Rv. 233922: “In tema di tutela del diritto di autore, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 171 ter, comma secondo lett. a), della legge 22 aprile 1941 n. 633, occorre che gli esemplari di opere tutelate superino il numero di cinquanta e che vi sia stato un effettivo atto di vendita o di cessione del detto numero di copie o esemplari, atteso che per questa diversa e più grave ipotesi di reato è esclusa la equiparazione alla vendita e cessione delle condotte di semplice detenzione, sia pure a fini di vendita, sussistente per l’ipotesi di cui allo stesso art. 171 ter, comma primo, come esplicitato con le modificazioni introdotte dalla legge 18 agosto 2000 n. 248”; Sez. 3, n. 15060 del 23/01/2007, Esposito, Rv. 236334).
Nel caso in cui non risulti provata la concreta cessione, ma la mera detenzione per la vendita, di oltre 50 copie di supporti abusivamente duplicati, dunque, il superamento della soglia quantitativa, o comunque il numero elevato di supporti, sarà suscettibile di valutazione soltanto nella dimensione della concreta commisurazione della pena, nell’ambito dei limiti edittali previsti dall’art. 171 ter, comma 1, non anche nella dimensione della astratta determinazione legale della pena, individuata, nel caso di specie, attraverso gli autonomi limiti edittali sanciti dall’art. 171 ter, comma 2, l. 633 del 1941.
Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha motivato su tale profilo, ovvero sulla prova della vendita o cessione di oltre 50 copie di opere dell’ingegno abusivamente duplicate.
Va pertanto annullata la sentenza, limitatamente al punto del riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 171 ter, comma 2, lett. a), l. 633 del 1941, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, sezione minori, per un nuovo esame.
La regola della c.d. formazione progressiva del giudicato (art. 624 cod. proc. pen.) comporta che, in conseguenza del giudizio della Corte di cassazione di parziale annullamento dei capi della sentenza e/o dei punti della decisione impugnati, il giudicato si formi su quelle statuizioni suscettibili di autonoma considerazione, quale quella relativa all’accertamento della responsabilità in merito al reato ascritto, che diventano non più suscettibili di ulteriore riesame (Sez. U, n. 373 del 23/11/1990,Agnese,Rv. 186165; Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, Cellerini, Rv. 196886; Sez. 2, n. 44949 del 17/10/2013, Abenavoli, Rv. 257314).

P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata alla Corte di Appello di Napoli sezione Minori.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

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