Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 7 settembre 2017, n. 40824 

L’art. 598 c.p. disciplina la non punibilità delle offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinnanzi all’autorità giudiziaria, ovvero dinnanzi all’autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo; ciò significa che l’impiego di un termine offensivo costituisce il presupposto per l’applicazione della norma – altrimenti non sarebbe neppure ipotizzabile la commissione del delitto di diffamazione- e che il riconoscimento della causa di non punibilità dipende, non dalla gravità dell’offesa, ma dalla strumentalità o meno rispetto alle ragioni fatte valere innanzi all’autorità giudiziaria o all’autorità amministrativa. In altri termini, non è in questione la continenza del linguaggio che si presuppone essere offensivo, quanto piuttosto il contesto in cui le offese vengono pronunciate. 
Nel caso di specie, l’imputato (avvocato) agiva in giudizio contro parte offesa per ottenere il ristoro dei danni subiti a seguito di un procedimento disciplinare, iniziato su denuncia di costei, poi definito con una archiviazione. È evidente che l’avere definito come dettata da “motivi abietti e dovuti alla rabbia per essere stata criticata” l’iniziativa della parte offesa, che aveva portato all’instaurazione del procedimento disciplinare nei confronti dell’imputato , è strumentale rispetto alla pretesa di vedere riconosciuta la mala fede della controparte ed il proprio diritto al risarcimento dei danni che da quell’illegittima iniziativa derivarono. 
Il termine abietto non è stato, quindi, utilizzato per qualificare in senso negativo e dispregiativo la persona della parte offesa in modo del tutto avulso dal contenzioso in atto, ma piuttosto per stigmatizzare – anche se con l’impiego di un termine non consono e dal significato intrinsecamente offensivo, ma proprio in questo sta la ragione della causa di non punibilità- l’illegittimità dell’iniziativa disciplinare da costei posta in essere con il deliberato intento di danneggiare la ricorrente. 
Sussiste, pertanto, il carattere di strumentalità fra l’offesa e l’oggetto della controversia, nei termini chiariti dalla costante giurisprudenza di legittimità,  secondo cuiin tema di delitti contro l’onore, perché possa ricorrere la scriminante prevista dall’art. 598 cod. pen. (relativa alle offese eventualmente contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi alla autorità giudiziaria od amministrativa), è necessario che le espressioni ingiuriose concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l’accoglimento della domanda proposta. 

Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

sentenza 7 settembre 2017, n. 40824

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Lecco ha confermato la sentenza del Giudice di Pace di Lecco che aveva condannato V.L. alla pena di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile in quanto colpevole di diffamazione in danno di R.L. .
1.1. Viene fatto carico alla V. , avvocato e parte attrice in proprio in un procedimento civile volto ad ottenere il risarcimento del danno, di avere scritto frasi denigratorie ed offensive all’indirizzo della sua controparte R. , pure avvocato, in una memoria conclusionale datata 24.3.11 e in una memoria datata 14.4.11.
1.2. A fronte delle censure formulate dalla difesa con l’atto di appello, secondo cui il Giudice di Pace aveva illegittimamente estrapolato le frasi contestate dall’insieme degli atti di causa, senza tenere conto del fatto che espressioni analoghe erano state impiegate dalla stessa parte civile, nei suoi atti, all’indirizzo dell’avversaria e, in ogni caso, era operante la scriminante di cui all’art. 598 c.p., il Tribunale ha ritenuto che l’accusa, rivolta alla R. , di avere agito per “motivi abietti” non possa essere scriminata né ai sensi dell’art. 599 c.p., in quanto non corrisponde ad una analoga provocazione da parte della persona offesa, né ai sensi dell’art. 598 c.p., posto che non vi è un nesso di strumentalità fra le frasi utilizzate e la tesi sostenuta dall’imputata in giudizio attraverso gli atti incriminati.
2. Propone ricorso l’imputata, personalmente, deducendo, con il primo motivo, violazione di legge e vizi motivazionali quanto alla ritenuta insussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 599 c.p..
Si sostiene che il complessivo scorretto comportamento professionale della R. in danno della ricorrente aveva indotto quest’ultima a scrivere nei propri atti le frasi indicate nell’imputazione, non dissimili da quelle, parimenti offensive, che la controparte aveva scritto nei propri atti.
Sarebbero quindi integrati tutti i presupposti per l’operatività dell’art. 599 c.p..
2.1. Con il secondo motivo si deducono violazione di legge e vizi motivazionali con riguardo alla ritenuta insussistenza dell’esimente di cui all’art. 598 c.p. in quanto gli atti nei quali erano state formulate le espressioni, a dire dell’accusa, offensive, erano parte di un giudizio civile in cui la ricorrente agiva contro la R. allo scopo di ottenere il risarcimento dei danni subiti in quanto quest’ultima aveva presentato un esposto contro la V. al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecco, ne era sorto un procedimento disciplinare all’esito del quale la V. era stata prosciolta, sicché il giudizio negativo sulla condotta della collega era strumentale rispetto al diritto che si intendeva far valere in giudizio.
3. All’odierna udienza è comparso il difensore della parte civile che ha depositato un atto di rinnovazione della costituzione di parte civile, ha chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso, anche per vizi formali, ed ha depositato conclusioni e nota spese.

Considerato in diritto

1. Le eccezioni di inammissibilità del ricorso formulate dalla difesa di parte civile all’odierna udienza non colgono nel segno.
Il ricorso è stato presentato dalla V. personalmente, in ciò legittimata nella sua qualità di imputata, a nulla rilevando, quindi, che ella sia un avvocato non abilitato al patrocinio innanzi alla Corte di Cassazione.
Poiché il ricorso reca il timbro di deposito avanti all’Ufficio del Giudice di Pace, è da ritenere che sia stato depositato dall’imputata personalmente e che la stessa sia stata identificata.
2. Il secondo motivo di ricorso è fondato, in quanto ricorre, nella specie, la causa di non punibilità di cui all’art. 598 c.p..
Va premesso che se il Tribunale, nel corso del giudizio di secondo grado, ha fondato la propria motivazione sulla sola espressione “motivi abbietti”, se ne deve trarre la conclusione che abbia implicitamente escluso la rilevanza penale di tutte le altre frasi indicate nell’imputazione, peraltro assai meno incisive ed ampiamente riconducibili all’aspro contenzioso in atto fra le due avvocatesse.
Anche in questa sede, pertanto, i motivi di ricorso verranno esaminati con esclusivo riguardo alla affermazione, contenuta nella memoria conclusionale del 24.3.11, secondo cui la R. , controparte della V. nel procedimento civile volto ad ottenere il risarcimento del danno, “aveva sottoposto una collega che sapeva innocente ad un procedimento disciplinare ingiusto.. per motivi abietti, dovuti alla rabbia di essere criticata”.
Il giudice d’appello fonda la propria decisione sulla valenza particolarmente negativa del termine “abietto” ed è essenzialmente in ragione di ciò che esclude la strumentalità fra le frasi utilizzate e le tesi prospettate nella controversia civile a cui attengono.
La motivazione non è condivisibile.
L’art. 598 c.p. disciplina la non punibilità delle offese contenute negli scritti o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinnanzi all’autorità giudiziaria, ovvero dinnanzi all’autorità amministrativa, quando le offese concernono l’oggetto della causa o del ricorso amministrativo; ciò significa che l’impiego di un termine offensivo costituisce il presupposto per l’applicazione della norma – altrimenti non sarebbe neppure ipotizzabile la commissione del delitto di diffamazione- e che il riconoscimento della causa di non punibilità dipende, non dalla gravità dell’offesa, ma dalla strumentalità o meno rispetto alle ragioni fatte valere innanzi all’autorità giudiziaria o all’autorità amministrativa.
In altri termini, non è in questione la continenza del linguaggio che si presuppone essere offensivo, quanto piuttosto il contesto in cui le offese vengono pronunciate.
2.1. Nel caso che ci occupa, la V. agiva in giudizio contro la R. per ottenere il ristoro dei danni subiti a seguito di un procedimento disciplinare, iniziato su denuncia di costei, poi definito con una archiviazione.
È evidente che l’avere definito come dettata da “motivi abietti e dovuti alla rabbia per essere stata criticata” l’iniziativa della R. , che aveva portato all’instaurazione del procedimento disciplinare nei confronti della V. , è strumentale rispetto alla pretesa di vedere riconosciuta la mala fede della controparte ed il proprio diritto al risarcimento dei danni che da quell’illegittima iniziativa derivarono.
Il termine abietto non è stato, quindi, utilizzato per qualificare in senso negativo e dispregiativo la persona della R. in modo del tutto avulso dal contenzioso in atto, ma piuttosto per stigmatizzare – anche se con l’impiego di un termine non consono e dal significato intrinsecamente offensivo, ma proprio in questo sta la ragione della causa di non punibilità- l’illegittimità dell’iniziativa disciplinare da costei posta in essere con il deliberato intento di danneggiare la ricorrente.
Sussiste, pertanto, il carattere di strumentalità fra l’offesa e l’oggetto della controversia, nei termini chiariti dalla costante giurisprudenza di legittimità, fra cui, da ultimo Sez. 5, n. 2507 del 24/11/2016.dep. 18/01/2017, Rv. 269075 “In tema di delitti contro l’onore, perché possa ricorrere la scriminante prevista dall’art. 598 cod. pen. (relativa alle offese eventualmente contenute in scritti presentati o discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori in procedimenti innanzi alla autorità giudiziaria od amministrativa), è necessario che le espressioni ingiuriose concernano, in modo diretto ed immediato, l’oggetto della controversia ed abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l’accoglimento della domanda proposta”.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è punibile ai sensi dell’art. 598 c.p.

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